Volodyk - Paolini3-Brisingr
Dopo una ventina di iarde avevano fatto così tante curve che la grotta principale non si vedeva più e piombarono in una tenebra così assoluta che nemmeno Eragon riusciva a scorgere niente.
«Forse per te è diverso, ma io non posso combattere al buio» sussurrò Roran.
«Se creo una luce, i Ra'zac non si avvicineranno, non adesso che ho trovato un incantesimo che su di loro funziona. Resteranno nascosti finché non ce ne andremo. Dovremo ucciderli mentre ne abbiamo l'opportunità.»
«E io che faccio? È più facile urtare contro una roccia e rompermi il naso che trovare quei due scarafaggi... Potrebbero strisciarci alle spalle e assalirci di sorpresa.»
«Ssst... Tieniti stretto alla mia cintura e stai pronto a chinarti.»
Eragon non riusciva a vedere, ma poteva ancora sentire, fiutare, toccare e gustare, e questo gli permetteva di avere un'idea abbastanza precisa di quanto c'era nei dintorni. Il pericolo maggiore era rappresentato da un eventuale attacco a distanza dei Ra'zac, magari armati di arco, ma era sicuro di avere i riflessi abbastanza pronti da poter salvare se stesso e Roran da una freccia.
Una corrente d'aria gli solleticò la pelle, poi si interruppe e prese a soffiare nella direzione opposta mentre la pressione dall'esterno aumentava e diminuiva. Il ciclo si ripeteva a intervalli irregolari, creando ondate invisibili che lo sfioravano come il getto spumeggiante di una fontana.
Il suo respiro e quello di Roran risuonavano forti e rauchi in confronto allo strano assortimento di rumori che si propagava nella galleria. Eragon sentì il tic, clic, clac di un sasso che cadeva da qualche parte nel labirinto di tunnel e il costante plic... plic... plic delle gocce di condensa che si tuffavano in una pozza sotterranea. Sentiva anche lo scricchiolio dei ciottoli sotto le suole degli stivali. Un lungo gemito sinistro riecheggiò in lontananza, da qualche parte davanti a loro.
Fra gli odori, nessuno gli era sconosciuto: sudore, sangue, umidità e muffa.
Passo dopo passo, Eragon e Roran si addentravano sempre di più nelle viscere dell'Helgrind, seguendo la galleria in discesa che spesso si diramava in più direzioni: se Eragon non avesse usato la mente di Katrina come punto di riferimento, si sarebbero di certo persi. In alcuni punti il percorso si restringeva e il soffitto si abbassava, tanto che una volta Eragon batté la testa e fu colto da uno snervante attacco di claustrofobia.
Sono tornata, annunciò Saphira proprio mentre Eragon posava il piede su un gradino corroso scavato nella roccia davanti a sé. Si fermò. La dragonessa non aveva subito altri danni, e la notizia contribuì a risollevare il morale di Eragon.
E il Lethrblaka?
Galleggia a pancia all'aria nel Lago di Leona. Temo però che qualche pescatore ci abbia visto lottare. Stavano remando verso Dras-Leona l'ultima volta che li ho visti.
Be', non si poteva fare altrimenti. Cerca di scoprire che cosa succede nella galleria da cui sono sbucati i Lethrblaka. E attenzione ai Ra'zac. Potrebbero cercare di sfuggirci e andarsene dall'Helgrind passando da dove siamo entrati noi.
Probabilmente hanno un'uscita di emergenza a livello del terreno.
Può darsi, ma non credo che la useranno.
Dopo quella che parve un'eternità di tenebra - anche se Eragon sapeva che non potevano essere passati più di dieci, quindici minuti - e dopo aver disceso un centinaio di gradini nel cuore dell'Helgrind, Eragon si fermò quando sentì che il pavimento tornava pianeggiante. Trasmettendo i propri pensieri a Roran, disse: La cella di Katrina è a una cinquantina di passi da noi, sulla destra.
Non possiamo rischiare di liberarla finché i Ra'zac non sono morti o non se ne sono andati.
E se non si mostrano finché non l'abbiamo fatta uscire? Per qualche ragione non riesco a percepirli. Potrebbero restare nascosti fino alla fine dei tempi. Allora, aspettiamo chissà quanto o liberiamo Katrina adesso che ne abbiamo l'occasione? Posso innalzarle intorno qualche difesa magica per proteggerla da un attacco.
Roran rimase in silenzio per qualche istante. D'accordo, liberiamola.
Ripresero ad avanzare, trovando la strada a tentoni nel corridoio basso e squadrato con il pavimento di roccia sconnessa. Eragon dovette dedicare la maggior parte della sua attenzione a dove metteva i piedi per non inciampare.
Per questo motivo, poco mancò che non si accorgesse del fruscio di stoffa e del debole toin che risuonarono davanti a loro.
Si appiattì contro il muro, trascinando Roran con sé. Nello stesso momento, qualcosa gli sfiorò la faccia, scavandogli un solco nella guancia destra. La carne gli bruciava come se l'avessero cauterizzata.
«Kveykva!» gridò Eragon.
Una luce rossa fiammeggiò splendente come il sole di mezzogiorno. Non avendo origine, illuminava ogni superficie in maniera uniforme, senza proiettare ombre, e conferiva alle cose un curioso aspetto piatto. L'improvviso fulgore abbagliò Eragon, ma per il Ra'zac di fronte a lui fu anche peggio: la creatura fece cadere l'arco, si coprì la faccia col cappuccio e lanciò uno stridio acuto e lacerante. Un secondo grido, uguale al primo, rivelò a Eragon che l'altro Ra'zac era alle loro spalle.
Roran!
Eragon si voltò in tempo per vedere Roran caricare il secondo Ra'zac con il martello alzato. Il mostro, disorientato, barcollò all'indietro, ma fu troppo lento. Il martello calò. «Per mio padre!» gridò Roran. E colpì ancora. «Per la nostra casa!» Il Ra'zac era già morto, ma Roran brandì il martello ancora una volta. «Per Carvahall!» Il colpo finale frantumò il carapace del Ra'zac come la scorza di una zucca secca. Nell'impietosa luce rossa, la pozza di sangue che si andava allargando sembrava viola.
Mulinando il bastone per deviare la freccia o la spada che era sicuro stesse per colpirlo, Eragon si volse per affrontare il Ra'zac superstite. La galleria davanti a lui era vuota. Imprecò.
Allora si avvicinò a grandi passi alla figura deforme riversa sul pavimento. Alzò il bastone e lo calò con tutta la forza sul torace del Ra'zac morto, con uno schianto secco.
«Era tanto che volevo farlo» disse Eragon.
«Anch'io.»
Lui e Roran si scambiarono un'occhiata.
«Ahh!» esclamò Eragon, e si premette il palmo sulla guancia mentre il dolore aumentava.
«Bolle!» disse Roran. «Fa' qualcosa!»
Il Ra'zac deve aver intinto la punta della freccia nell'olio di Seithr, pensò Eragon. Ricordando il suo addestramento, ripulì la ferita e il tessuto intorno con un incantesimo e poi fece rimarginare la guancia. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte per assicurarsi che i muscoli funzionassero a dovere, poi, con un amaro sogghigno, disse: «Pensa in che stato saremmo senza la magia.»
«Senza la magia non dovremmo preoccuparci di Galbatorix.»
Parlerete dopo, intervenne Saphira. Non appena quei pescatori arriveranno a Dras-Leona, il re potrebbe venire a sapere della nostra impresa da uno dei suoi stregoni da quattro soldi, e non è il caso di farci divinare da Galbatorix mentre siamo ancora qui nell'Helgrind.
Sì, sì, disse Eragon. Spegnendo l'onnipresente bagliore rosso, disse: «Brisingr raudhr» e creò un fuoco fatuo rosso come quello della notte prima, solo che questo rimase fisso a sei pollici dal soffitto invece di accompagnarlo nei suoi spostamenti.
Ora che aveva l'opportunità di esaminare il corridoio nei dettagli, Eragon notò che le pareti di pietra erano intervallate da una ventina di porte di ferro. Puntò il dito e disse: «La nona a destra. Vai a prenderla. Io controllo le altre celle. I Ra'zac potrebbero averci lasciato qualche cosa d'interessante.»
Roran annuì. Si accovacciò e frugò il cadavere ai suoi piedi, ma non trovò alcuna chiave. Si strinse nelle spalle. «Dovrò usare le maniere forti.» Corse alla porta indicata, lasciò cadere lo scudo e cominciò a lavorare ai cardini col martello. Ogni colpo produceva un fragore assordante.
Eragon non si offrì di aiutarlo. Il cugino non avrebbe gradito la sua assistenza in quel momento, e per giunta c'era qualcos'altro da fare. Andò alla prima cella, mormorò tre parole, poi, quando il chiavistello scattò, aprì la porta. La piccola stanza conteneva soltanto una catena nera e un cumulo di ossa putrefatte. Non che si fosse aspettato altro che quei miseri resti; già sapeva dove si trovava l'oggetto della sua ricerca, ma per non destare i sospetti di Roran continuò a far finta di indagare.
Altre due porte si aprirono e si chiusero al tocco delle dita di Eragon. Poi, quando si spalancò la porta della quarta cella, il tremulo bagliore del fuoco fatuo illuminò proprio l'uomo che Eragon aveva sperato di non trovare: Sloan.
SEPARAZIONE
Il macellaio sedeva accasciato contro la parete della cella, con tutte e due le braccia incatenate a un anello di ferro sopra la testa.
I vestiti laceri coprivano a stento il corpo pallido ed emaciato: le ossa sporgevano da sotto la pelle esangue, percorsa da vene bluastre. Sui polsi le manette avevano provocato ulcere che stillavano sangue e siero. I pochi capelli rimasti, diventati grigi o bianchi, gli pendevano in sudice ciocche sulla faccia butterata.
Destato dal clangore del martello di Roran, Sloan alzò il mento verso la luce e, con voce tremante, chiese: «Chi è là? Chi c'è?» Col movimento, la rada cortina di capelli davanti alla sua faccia si aprì, mostrando le orbite incassate nel cranio. Dove avrebbero dovuto esserci le palpebre, lembi di pelle frastagliata orlavano le vuote cavità nere. L'area intorno era livida e squamosa.
Con raccapriccio, Eragon capì che i Ra'zac gli avevano cavato gli occhi a colpi di becco.
Esitò, indeciso sul da farsi. Il macellaio aveva rivelato ai Ra'zac che Eragon aveva trovato l'uovo di Saphira. In più, aveva ucciso la sentinella di Carvahall, Byrd, e tradito l'intero villaggio consegnandolo all'Impero. Se lo avesse portato davanti ai suoi compaesani, senza ombra di dubbio lo avrebbero dichiarato colpevole e condannato a morte per impiccagione.
A Eragon sembrava giustissimo che il macellaio morisse per i suoi crimini, quindi non era questa la fonte della sua incertezza, quanto piuttosto il fatto che Roran amava Katrina, e che Katrina, malgrado quello che aveva fatto Sloan, probabilmente nutriva ancora dell'affetto per suo padre. Assistere a un processo pubblico che avrebbe condannato a morte Sloan sarebbe stato penoso per lei e, di riflesso, anche per Roran. Una prova simile avrebbe potuto creare del malanimo fra i due, tanto da mettere in pericolo il fidanzamento. Ed Eragon era convinto che riportare Sloan con loro avrebbe seminato discordia fra lui, Roran, Katrina e gli altri abitanti di Carvahall, incendiando gli animi al punto da distrarli dalla loro battaglia contro l'Impero.
La soluzione più semplice, pensò Eragon, sarebbe ucciderlo e dire di averlo trovato morto in questa cella... Le labbra gli tremarono, mentre una delle parole di morte gli affiorava sulla punta della lingua.
«Che volete?» chiese Sloan. Voltò la testa da una parte e dall'altra, nel tentativo di sentire meglio. «Vi ho già detto tutto quello che sapevo!»
Eragon si maledisse per la propria esitazione. La colpevolezza di Sloan non era in discussione: era un traditore e un assassino. Qualunque giudice lo avrebbe condannato a morte.
Malgrado la fondatezza dei suoi ragionamenti, era pur sempre Sloan quello rannicchiato davanti a lui, un uomo che Eragon conosceva da una vita. Il macellaio poteva essere una persona spregevole, ma il bagaglio di ricordi ed esperienze che Eragon condivideva con lui generava un senso di intimità che turbava la sua coscienza. Uccidere Sloan sarebbe stato come uccidere Horst o Loring o uno qualsiasi degli altri abitanti di Carvahall.
Ancora una volta, Eragon si preparò a pronunciare la parola fatale.
Un'immagine gli comparve davanti agli occhi: Torkenbrand, il mercante di schiavi che lui e Murtagh avevano incontrato durante il viaggio verso i Varden, inginocchiato sul terreno sabbioso, e Murtagh che incombeva su di lui e lo decapitava. Eragon rammentò quanto aveva deplorato il gesto di Murtagh e come ne era rimasto sconvolto per giorni e giorni.
Sono cambiato così tanto, si chiese, da poter fare la stessa cosa? Come ha detto Roran, ho già ucciso, ma soltanto in battaglia... mai in questo modo.
Guardò indietro: Roran spezzò l'ultimo cardine della porta della cella di Katrina, lasciò cadere il martello e si preparò a caricare la porta per abbatterla con una spallata; poi ci ripensò e provò a sollevarla dall'intelaiatura. La porta si alzò di pochi millimetri, poi si bloccò, inclinandosi da un lato. «Ehi, vieni a darmi una mano!» gridò. «Non voglio correre il rischio che le cada addosso.»
Eragon guardò il macellaio. Non aveva più tempo per pensieri raminghi. Doveva scegliere. In un modo o nell'altro, doveva decidere...
«Eragon!»
Non so cosa è giusto, pensò Eragon. La sua stessa incertezza gli suggeriva che sarebbe stato sbagliato sia uccidere Sloan che riportarlo dai Varden. Non aveva però idea di che cosa fare, a meno di non trovare una terza alternativa, meno ovvia e meno cruenta.
Alzando una mano, come fosse una benedizione, Eragon mormorò: «Slytha.» Le manette di Sloan sferragliarono mentre l'uomo si accasciava inerte, cadendo in un sonno profondo. Non appena fu sicuro che l'incantesimo aveva avuto effetto, Eragon chiuse a chiave la porta della cella e innalzò di nuovo una barriera di difese magiche.
Che cosa hai in mente, Eragon? chiese Saphira.
Aspetta che torniamo insieme, poi ti spiegherò.
Spiegare cosa? Non hai nessun piano.
Dammi un minuto e ce l'avrò.
«Cosa c'era lì dentro?» chiese Roran, quando Eragon lo raggiunse, posizionandosi dall'altro lato della porta.
«Sloan.» Eragon afferrò meglio la porta. «È morto.»
Roran sgranò gli occhi. «Come?»
«A quanto pare gli hanno spezzato il collo.»
Per un istante, Eragon temette che Roran non gli avrebbe creduto. Poi il cugino sbuffò e disse: «Meglio così, immagino. Pronto? Uno, due, tre...»