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Volodyk - Paolini2-Eldest

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La donna fissò Nasuada con uno sguardo tenace. «Funzionerà, purché tu non chieda scusa per il tuo aspetto. Non solo, ti garantisco che le altre signore rimarranno così colpite dal tuo nuovo abito che vorranno imitarti. Aspetta e vedrai.» Farica andò alla porta e la socchiuse quel tanto da infilarci il braccio teso che reggeva il tessuto danneggiato. «Tieni» disse rivolta a una guardia. «La tua signora vuole che lo bruci. Fallo in segreto e non dire una parola ad anima viva, altrimenti ne risponderai a me.» La guardia battè i tacchi e si allontanò.

Nasuada non potè fare a meno di sorridere. «Come farei senza di te, Farica?»

«Te la sapresti cavare egregiamente, mia signora.»

Dopo aver indossato la tenuta da caccia verde - ideale, con la sua gonna leggera, per la calura opprimente della giornata - Nasuada decise che, malgrado la sua irritazione verso Orrin, avrebbe seguito il suo consiglio e interrotto le febbrili attività quotidiane con qualcosa che la distraesse, niente di più importante che aiutare Farica a togliere i punti dalla sopravveste. Trovò il lavoro ripetitivo un eccellente modo per chiamare a raccolta i pensieri. Mentre tirava i fili, discusse della situazione dei Varden con Farica, nella speranza che lei potesse intuire una soluzione che a lei era sfuggita.

Alla fine, l'unico aiuto di Farica fu un'osservazione: «A quanto pare, le cose che più contano a questo mondo hanno a che fare con l'oro. Se ne avessimo abbastanza, potremmo comprare il trono nero di Galbatorix, senza nemmeno dover combattere contro i suoi uomini.»

Davvero mi aspettavo che qualcuno facesse il mio lavoro per me? si disse Nasuada. lo ho condotto i Varden in questo vicolo cieco, e io devo trovare il modo di uscirne.

Con l'intenzione di tagliare un punto, tese troppo il braccio e infilò la punta delle forbicine in una guarnizione di merletto, strappandola in due. Contemplò lo squarcio frastagliato nel merletto, le estremità sfrangiate color pergamena che pendevano sulla stoffa come vermi contorti, e si sentì afferrare la gola da una risata isterica, mentre le affioravano le lacrime agli occhi. Poteva essere più sfortunata?

Il merletto era la parte più preziosa dell'abito. Anche se richiedeva estrema perizia per essere realizzato, la sua rarità e il suo prezzo erano dovuti principalmente al suo più cospicuo ingrediente: una grande, enorme, gigantesca quantità di tempo. Ci voleva così tanto tempo per produrlo che volendo farsi un velo di merletto da sola, i progressi si sarebbero misurati in mesi, non in settimane. Calcolandolo a peso, il merletto valeva più dell'oro o dell'argento. Fece scorrere le dita sull'intreccio di fili, soffermandosi sullo squarcio che aveva aperto. È come se il merletto non richiedesse tanto energia, quanto tempo... Si odiò per essere stata lei la causa dello scempio. Energia... energia... In quel momento, una serie di immagini le balenarono nella mente: Orrin che parlava di usare la magia per le sue ricerche; Trianna, la donna che aveva guidato il Du Vrangr Gata dalla morte dei Gemelli; uno dei guaritori dei Varden che spiegava i principi della magia a Nasuada quando aveva soltanto cinque o sei anni. Le diverse esperienze si collegarono in una catena di ragionamento così improbabile e sfrontata che alla fine liberò la risata prigioniera della sua gola.

Farica la guardò con aria perplessa. Nasuada si alzò, facendo cadere la sua metà di sopravveste sul pavimento. «Vai a cercare subito Trianna» disse. «Non m'importa quello che sta facendo; falla venire qui subito.»

Le piccole rughe intorno agli occhi di Farica si incresparono, ma l'ancella si limitò a fare un inchino e a dire: «Come desideri, signora.» Uscì dalla porticina nascosta.

«Grazie» mormorò Nasuada alla stanza vuota.

Comprendeva la riluttanza della cameriera; anche lei si sentiva a disagio ogni volta che aveva a che fare con gli stregoni. In effetti, lei si fidava di Eragon soltanto perché era un Cavaliere - anche se non era una prova di virtù, come aveva dimostrato Galbatorix - e per via del suo giuramento di fedeltà: sapeva che lui non lo avrebbe mai infranto. La spaventavano i poteri dei maghi e degli stregoni. Il pensiero che una persona dall'apparenza innocua potesse uccidere con una sola parola; invadere la tua mente come voleva; ingannare, mentire e rubare senza essere scoperta; e sfidare la società in ogni maniera possibile restando impunita...

Il suo cuore accelerò i battiti.

Come poteva far rispettare la legge quando una parte importante della popolazione possedeva poteri speciali? In buona sostanza, la guerra dei Varden contro l'Impero non era altro che il tentativo di restaurare la giustizia laddove un uomo aveva abusato delle proprie arti magiche, e di impedirgli di commettere altri crimini. Tutte queste sofferenze e queste devastazioni solo perché nessuno ha avuto la forza di sconfiggere Galbatorix. E potrebbe non morire dopo un normale ciclo vitale!

Sebbene non le piacesse la magia, sapeva che avrebbe svolto un ruolo cruciale nello sconfiggere Galbatorix, e che non poteva permettersi di alienarsi coloro che la praticavano, almeno fino a vittoria ottenuta. A quel punto, avrebbe trovato il modo di risolvere il problema.

Un rintocco metallico alla porta della sua camera la distolse dai suoi pensieri. Stampandosi un sorriso cordiale sul volto e difendendo la mente come le era stato insegnato, Nasuada rispose: «Avanti!» Era importante che si mostrasse cortese, dopo aver convocato Trianna in maniera tanto rude.

La porta si aprì e la maga entrò nella stanza, i folti riccioli neri ravviati sulla testa con fretta evidente. Sembrava che si fosse appena alzata dal letto. Facendo un inchino alla maniera dei nani, disse: «Hai chiesto di me, signora?» «Sì.» Nasuada si rilassò sulla sedia e scrutò Trianna da capo a piedi. La maga alzò il mento, fiera, sotto lo sguardo intenso di Nasuada. «Devo sapere una cosa: qual è la regola più importante della magia?»

Trianna aggrottò la fronte. «Qualunque cosa si faccia con la magia richiede la stessa quantità di energia che ci vorrebbe per farla altrimenti.»

«E quello che si può fare è limitato soltanto dal grado di creatività e dalla conoscenza dell'antica lingua?» «Ci sono altre limitazioni, ma in generale, sì. Signora, perché me lo chiedi? Questi sono i principi cardine della magia che, sebbene non familiari a tutti, sono sicura tu conosca bene.»

«Infatti. Volevo soltanto essere sicura di averli compresi bene.» Senza muoversi dalla sedia, Nasuada raccolse la sopravveste da terra per mostrare a Trianna il merletto strappato. «Quindi, entro questi limiti, tu dovresti essere in grado di formulare un incantesimo che ti consenta di fabbricare il merletto con la magia.»

Un sorriso di condiscendenza deformò le labbra scure della maga. «Il Du Vrangr Gata ha compiti molto più importanti che riparare i tuoi vestiti, signora. La nostra arte non è così banale da impiegarla per simili capricci. Sono sicura che troverai delle ricamatrici in grado di esaudire la tua richiesta. Ora, se vuoi scusarmi, ho...» «Calma, donna» disse Nasuada con voce atona. Lo stupore interruppe Trianna a metà frase. «Mi vedo costretta a insegnare al Du Vrangr Gata la stessa lezione che ho impartito al Consiglio degli Anziani. Sarò anche giovane, ma non sono più una bambina da redarguire. Ti ho chiesto del merletto perché se puoi fabbricarlo rapidamente e facilmente con la magia, allora potremo sostenere i Varden vendendo merletti a poco prezzo in tutto l'Impero. Sarà lo stesso popolo di Galbatorix a fornirci i fondi necessari alla nostra sussistenza.»

«Ma è ridicolo» protestò Trianna. Perfino Farica sembrava scettica. «Non si può sovvenzionare una guerra con i merletti.»

Nasuada inarcò un sopracciglio. «Perché no? Le donne che altrimenti non potrebbero permettersi di possedere costosi merletti coglieranno al volo l'occasione di comprare i tuoi. Tutte le mogli di contadini che desiderano apparire più ricche li vorranno. Perfino i mercanti facoltosi e i nobili ci daranno il loro oro per i nostri merletti, perché saranno più fini e delicati di qualunque merletto fabbricato da mani umane. Guadagneremo una fortuna che competerà con quella dei nani. Sempre che tu sia in grado di eseguire con la magia ciò che voglio.»

Trianna alzò la testa di scatto. «Dubiti delle mie capacità?»

«Sei capace?»

Trianna esitò, poi prese la sopravveste dalle mani di Nasuada e ne studiò il merletto a lungo. Alla fine, disse: «Credo che sia possibile, ma devo prima effettuare qualche prova per averne la certezza.»

«Comincia subito. Da questo momento in poi, sarà il tuo più importante incarico. E trova un'esperta merlettaia che ti dia consigli sui disegni.»

«Sì, ledy Nasuada.»

Nasuada addolcì i toni. «Bene. Vorrei anche che scegliessi i membri più brillanti del Du Vrangr Gata per elaborare con loro altre tecniche magiche per aiutare i Varden. Questa è una tua responsabilità, non mia.»

«Sì, ledy Nasuada.»

«Adesso sei scusata. Torna domattina a riferirmi.»

«Sì, ledy Nasuada.»

Soddisfatta, Nasuada guardò la maga allontanarsi, poi chiuse gli occhi e si concesse il lusso di godersi un momento di orgoglio per quanto aveva fatto. Sapeva che nessun uomo, nemmeno suo padre, avrebbe mai pensato a quella soluzione. Questo è il mio contributo ai Varden, si disse, desiderando che Ajihad fosse lì a vederla. Ad alta voce, chiese: «Ti ho sorpresa, Farica?»

«Come sempre, signora.»

Elva

"Signora?... Sei desiderata, signora.» «Cosa?» Riluttante a muoversi, Nasuada aprì gli occhi e vide Jòrmundur che entrava nella stanza. Il coriaceo veterano si tolse l'elmo e se lo mise nell'incavo del gomito destro, avanzando con la sinistra poggiata sul pomo della spada.

Gli anelli metallici del suo usbergo tintinnarono quando s'inchinò. «Mia signora.»

«Benvenuto, Jòrmundur. Come sta oggi tuo figlio?» Nasuada era contenta di vederlo. Di tutti i membri del Consiglio degli Anziani, era l'unico ad aver accettato di buon grado la sua guida, servendola con la stessa determinazione e lealtà canina che aveva per Ajihad. Se tutti i miei guerrieri fossero come lui, non ci fermerebbe nessuno. «La tosse gli è passata.»

«Sono lieta di sentirlo. Che cosa ti porta da me?»

Rughe profonde solcarono la fronte di Jòrmundur. Si passò la mano libera tra i capelli, legati indietro in una coda, poi riprese un contegno e abbassò la mano lungo il fianco. «Magia, del genere più inusuale.»

«Oh.»

«Ricordi la bambina benedetta da Eragon?»

«Sì.» Nasuada l'aveva vista soltanto una volta, ma era al corrente delle voci esagerate che circolavano fra i Varden sul suo conto, come anche delle speranze che i Varden nutrivano per i suoi futuri successi una volta cresciuta. Nasuada era più pragmatica sull'argomento. Qualunque cosa fosse diventata, non sarebbe successo ancora per molti anni, e nel frattempo la battaglia contro Galbatorix sarebbe stata vinta, o persa.

«Mi è stato chiesto di portarla da te.»

«Chiesto? Chi? E perché?»

«Sul campo di addestramento un ragazzo mi ha detto che dovresti vedere la bambina. Dice che la troveresti interessante. Il ragazzo si è rifiutato di dirmi come si chiamava, ma assomigliava parecchio a quello in cui si trasforma il gatto mannaro dell'indovina, così ho pensato... Be', ho pensato che forse era il caso di vedere la bambina.» Jòrmundur aveva l'aria imbarazzata. «Ho chiesto ai miei uomini di fare qualche domanda sul suo conto, e a quanto pare lei... è diversa.»

«In che senso?»

Jòrmundur si strinse nelle spalle. «Abbastanza da credere che dovresti fare quel che dice il gatto mannaro.» Nasuada aggrottò la fronte. Sapeva dalle vecchie storie che ignorare quel che diceva un gatto mannaro era la più stolida delle follie, e spesso conduceva alla morte. Tuttavia la sua compagna - Angela l'erborista - era un'altra specie di strega di cui Nasuada non si fidava del tutto; era troppo indipendente e imprevedibile. «Magia» disse, come se fosse una parolaccia.

«Magia» ripete Jòrmundur, anche se lui usò la parola con un certo timore reverenziale.

«D'accordo, vediamo questa bambina. Si trova nel castello?»

«Orrin ha dato a lei e alla sua domestica un alloggio nell'ala ovest del maschio.»

«Portami da lei.»

Raccogliendo le gonne, Nasuada ordinò a Farica di posticipare gli altri appuntamenti della giornata, poi lasciò le sue stanze. Dietro di sé, sentì Jòrmundur che schioccava le dita per ordinare a quattro guardie di schierarsi intorno a lei. Un momento dopo, si pose al suo fianco per indicarle la strada.

Il caldo all'interno del Castello Farnaci era aumentato al punto da dare la sensazione di trovarsi in una gigantesca fornace. L'aria tremolava come vetro liquido lungo i davanzali.

Pur a disagio, Nasuada sapeva di sopportare meglio di tanta gente quel caldo terribile, grazie alla pelle scura. Chi aveva seri problemi a resistere alle alte temperature erano quelli come Jòrmundur e le guardie, che indossavano l'armatura tutto il giorno, anche sotto i raggi impietosi del sole.

Nasuada osservava i cinque uomini, mentre il sudore gli imperlava le parti di pelle esposta e il loro respiro si faceva sempre più affannato. Da quando erano arrivati ad Aberon, un certo numero di Varden erano svenuti per un colpo di calore - due erano addirittura morti un paio d'ore più tardi - e lei non aveva alcuna intenzione di perderne altri spingendoli oltre i loro limiti fisici.

Quando le parve che avessero bisogno di riposare, ordinò loro di fermarsi - ignorando le loro obiezioni - e chiese ai servitori acqua da bere. «Non voglio vedervi cadere come birilli.»

Dovettero fare altre due soste prima di raggiungere la loro destinazione, una porta quasi invisibile, incassata nella parete interna del corridòio. Il pavimento davanti alla soglia era disseminato di regali.

Jòrmundur bussò, e una voce tremula dall'interno chiese: «Chi è?»

«ledy Nasuada, venuta a far visita alla bambina» rispose lui.

«Sei di cuore sincero e di solida volontà?»

Questa volta rispose Nasuada. «Il mio cuore è puro e la mia volontà di ferro.»

«Varca la soglia, dunque, e sii la benvenuta.»

La porta si aprì su un ingresso illuminato da una sola lanterna rossa, tipica dei nani. Non c'era nessuno alla porta. Nasuada entrò e vide che le pareti e il soffitto erano coperti da strati di tessuto scuro, dando all'ambiente l'aspetto di una grotta o di una tana. Con sua sorpresa, l'aria era abbastanza fresca, quasi fredda, come una frizzante notte autunnale. L'apprensione affondò i suoi artigli velenosi nel suo ventre. Magia.

Una tenda di rete nera ostruiva il cammino. Scostandola, si ritrovò in quello che un tempo doveva essere un salottino. I mobili erano stati tolti, a parte una fila di sedie addossate alle pareti rivestite. Un grappolo di lanterne rosse era appeso in una piega del tessuto increspato, proiettando strane ombre multicolori in ogni direzione.

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