Volodyk - Paolini2-Eldest
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Christopher Paolini ELDEST - L'EREDITÀ (2005)
Libro Secondo
Traduzione di Maria Concetta Scotto di Santillo
FABBRI
EDITORI
© 2005 Christopher Paolini per il testo © 2005 John Jude Palencar per l'illustrazione di copertina © 2002 Christopher Paolini per l'illustrazione dei risguardi
Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2005
da Alfred A. Knopf, un marchio di Random House Children's Books,
una divisione di Random House, Inc., New York,
e simultaneamente in Canada da Random House of Canada Limited, Toronto.
© RCS Libri S.p.A., Milano I edizione Narrativa Fabbri Editori ottobre 2005
ISBN 88-41-1356-6
Ancora una volta, dedico questo libro alla mia famiglia.
E ai miei incredibili fan.
Siete stati voi a rendere possibile questa avventura. Sé onr svedar sitja hvass!
Sinossi di Eragon Libro Primo dell'Eredità
Eragon, un ragazzo di quindici anni, resta di stucco quando vede comparire davanti a sé una pietra blu, liscia e rotonda, durante una battuta di caccia sull'impervia catena montuosa conosciuta come Grande Dorsale. Eragon prende la pietra e la porta con sé alla fattoria dove vive con suo zio Garrow e suo cugino Roran. Sono stati Garrow e la sua defunta moglie, Marian, ad allevare Eragon fin da piccolo; non si è mai saputo nulla dell'identità di suo padre, mentre la madre, Selena, sorella di Garrow, ha fatto perdere le sue tracce subito dopo aver dato alla luce Eragon.
In seguito, la pietra si frantuma e dal suo interno emerge un cucciolo di drago. È una femmina, e non appena Eragon la tocca, sul palmo della sua mano compare un luccicante marchio d'argento: fra i due si crea un inscindibile legame mentale che fa di Eragon uno dei leggendari Cavalieri dei Draghi.
L'ordine dei Cavalieri dei Draghi era stato fondato migliaia di anni prima al termine della grande guerra degli elfi contro i draghi, allo scopo di impedire ulteriori ostilità fra le due razze. I Cavalieri erano diventati garanti di pace e di giustizia, saggi maestri, guaritori, filosofi e potenti stregoni - era lo stesso vincolo con il drago che conferiva alla persona straordinarie capacità magiche. Sotto la loro egida, il paese aveva vissuto un'epoca d'oro.
Quando anche gli umani erano approdati in Alagaèsia, alcuni di loro erano stati accolti nell'ordine. Dopo molti anni di pace e prosperità, i mostruosi e bellicosi Urgali uccisero il drago di un giovane Cavaliere umano di nome Galbatorix. Reso folle dallo strazio della perdita e dal rifiuto degli anziani di concedergli un altro drago, Galbatorix elaborò un piano per distruggere i Cavalieri.
Rapì un altro drago - che chiamò Shruikan e rese proprio servitore usando oscuri sortilegi - e radunò intorno a sé un gruppo di tredici traditori: i Rinnegati. Con l'aiuto dei suoi crudeli discepoli, Galbatorix uccise tutti i Cavalieri, compreso il loro capo, Vrael, e si autoproclamò re di Alagaésia. Il suo successo tuttavia fu parziale, in quanto gli elfi e i nani riuscirono a restare autonomi rifugiandosi nei loro nascondigli segreti, mentre alcuni umani fondarono una nazione indipendente nel sud del paese, il Surda. Dopo ottant'anni di conflitti, scaturiti dalla caduta dei Cavalieri, si era creata una situazione di stallo tra le diverse fazioni che durava ormai da una ventina di anni.
In questa fragile situazione politica Eragon capisce di essere in pericolo mortale: tutti sanno, infatti, che Galbatorix non ha esitato a uccidere qualunque Cavaliere si fosse rifiutato di giurargli fedeltà. Decide così di non rivelare alla propria famiglia l'esistenza della dragonessa, che battezza Saphira dopo aver ascoltato il cantastorie del villaggio, Brom, che narrava di un drago con quel nome. Nel frattempo, Roran lascia la fattoria per accettare una proposta di lavoro che gli consentirà di guadagnare abbastanza denaro da chiedere la mano di Katrina, la figlia del macellaio. Saphira cresce, ed è già diventata ben più alta di Eragon, quando nel villaggio di Carvahall giungono due stranieri dall'aria minacciosa e il corpo deforme. Sono i Ra'zac, e vanno in cerca della pietra blu, ossia l'uovo di Saphira. Spaventata, la dragonessa rapisce Eragon e si rifugia in volo sulla Grande Dorsale. Eragon la persuade a tornare alla fattoria, ma solo per scoprire che la sua casa è stata distrutta dai Ra'zac: fra le macerie, Eragon trova Garrow ridotto in fin di vita per le torture subite.
Garrow muore nel giro di pochi giorni, ed Eragon giura solennemente di rintracciare i Ra'zac per ucciderli. Il giovane viene avvicinato da Brom, che sa tutto di Saphira e gli chiede se può accompagnarlo nel suo viaggio, senza però rivelare quale sia la ragione che lo spinge a partire con lui. Quando Eragon acconsente, Brom gli fa dono della spada chiamata Zar'roc, un tempo appartenuta a un Cavaliere, ma si rifiuta di dirgli dove l'ha presa.
Durante i lunghi spostamenti, Eragon impara da Brom molte cose, fra cui l'arte della scherma e l'uso della magia. Quando perdono le tracce dei Ra'zac, Brom suggerisce di recarsi a Teirm, una città dove vive un suo vecchio amico, Jeod, che potrebbe aiutarli a localizzare il loro covo.
A Teirm, l'eccentrica erborista Angela predice a Eragon il futuro: potenti forze si scontreranno per controllare il suo destino; avrà una storia d'amore con una donna di nobile stirpe; un giorno lascerà Alagaésia per non farvi mai più ritorno; e sarà tradito da un membro della sua stessa famiglia. Anche Solembum, il gatto mannaro che si accompagna all'erborista, pronuncia fatidiche parole di ammonimento. Infine, Eragon, Brom e Saphira partono alla volta di Dras-Leona, dove sperano di trovare i Ra'zac.
Brom rivela di essere un agente dei Varden - un gruppo di ribelli che lottano per la destituzione di Galbatorix - e di essersi nascosto nel villaggio di Eragon in attesa della comparsa di un nuovo Cavaliere dei Draghi. Brom spiega anche che, vent'anni prima, lui e Jeod avevano rubato a Galbatorix l'uovo di Saphira. In quel frangente, Brom aveva ucciso Morzan, il primo e l'ultimo dei Rinnegati. Restano soltanto due uova di drago, entrambe ancora nelle mani di Galbatorix. Nei pressi di Dras-Leona, i Ra'zac tendono loro un agguato, e Brom resta mortalmente ferito nel tentativo di proteggere Eragon. I Ra'zac vengono messi in fuga da un giovane misterioso di nome Murtagh, che sostiene di essere a sua volta sulle tracce di quelle creature. Brom muore durante la notte. Prima di esalare l'ultimo respiro, confessa di essere stato a suo tempo un Cavaliere, e che la sua dragonessa uccisa si chiamava Saphira. Eragon seppellisce Brom in una tomba di pietra arenaria, che Saphira trasforma in un sepolcro di diamante.
Senza più la guida e la compagnia di Brom, Eragon e Saphira decidono di unirsi ai Varden. Per un colpo di sfortuna, Eragon viene catturato nella città di Gil'ead, e portato al cospetto dello Spettro Durza, il braccio destro di Galbatorix. Con l'aiuto di Murtagh, Eragon scappa dalla cella in cui era stato rinchiuso, e nella fuga porta con sé il corpo privo di sensi dell'elfa Arya, anch'essa prigioniera.
Eragon e Murtagh diventano grandi amici.
L'elfa entra in contatto mentale con Eragon e gli racconta che da anni trasportava l'uovo di Saphira avanti e indietro fra gli elfi e i Varden, nella speranza che l'uovo si schiudesse davanti a uno dei loro fanciulli. Tuttavia, durante il suo ultimo viaggio, era caduta in un'imboscata di Durza e aveva fatto ricorso alla magia per inviare l'uovo da qualche altra parte. Ed era così giunto a lui, Eragon. Arya è gravemente ferita e ha bisogno delle cure mediche dei Varden. Usando immagini mentali, indica a Eragon la via per trovare i ribelli. La loro è un'epica fuga. Eragon e i suoi amici coprono all'incirca quattrocento miglia in otto giorni, inseguiti da un contingente di Urgali che li chiudono in trappola ai piedi dei torreggiatiti Monti Beor. Murtagh, che aveva già manifestato la sua riluttanza a raggiungere i Varden, si vede costretto a confessare a Eragon di essere il figlio di Morzan.
A dire il vero, Murtagh deplora i misfatti del padre e racconta di essere sfuggito al patrocinio di Galbatorix per seguire il proprio destino.
Mostra a Eragon una lunga cicatrice che gli deturpa la schiena, affermando che gli era stata inflitta dallo stesso Morzan, che gli aveva scagliato contro la propria spada, Zar'roc. Eragon viene così a sapere che la sua spada un tempo apparteneva al padre di Murtagh, che aveva tradito i Cavalieri per consegnarli nelle mani di Galbatorix, e che aveva ucciso tanti dei suoi excompagni.
Proprio mentre stanno per essere sopraffatti dagli Urgali, Eragon e i suoi amici vengono salvati dai Varden, che sembrano materializzarsi dalla roccia stessa. I ribelli si nascondono nel Farthen Dùr, una montagna cava alta dieci miglia, e altrettanto larga, dove si trova la capitale dei nani, Tronjheim. Una volta all'interno, Eragon viene condotto al cospetto di Ajihad, il capo dei Varden, mentre Murtagh viene imprigionato a causa dei suoi natali. Ajihad spiega molte cose a Eragon, e gli rivela che Varden, elfi e nani hanno stretto un accordo secondo cui, alla comparsa di un nuovo Cavaliere, il giovane o la giovane sarebbe stato istruito all'inizio da Brom, per poi essere mandato dagli elfi a completare l'addestramento. Eragon deve quindi scegliere se aderire all'accordo.
Eragon conosce il re dei nani, Rothgar, e la figlia di Ajihad, Nasuada; viene messo alla prova dai Gemelli, due perfidi stregoni calvi al servizio di Ajihad; si esercita nella scherma con Arya, dopo che l'elfa si è ripresa; e incontra di nuovo Angela e Solembum, che si sono uniti ai Varden. Eragon e Saphira impartiscono anche una benedizione a una piccola orfana dei Varden.
All'improvviso giunge la notizia che un esercito di Urgali si sta avvicinando attraverso le gallerie scavate nei monti dai nani. Nella battaglia che segue, Eragon viene separato da Saphira e si trova ad affrontare Durza da solo. Molto più forte di qualsiasi essere umano, in pochi istanti lo Spettro ha la meglio su Eragon, infliggendogli una profonda ferita che gli solca la schiena dalla spalla fino al fianco. Ma in quel momento, Saphira e Arya irrompono nella sala dall'alto mandando in frantumi il grande Zaffiro Stellato che copriva la volta - ed Eragon approfitta dell'attimo di distrazione di Durza per colpirlo dritto al cuore. Privati dei sortilegi dello Spettro, gli Urgali si disperdono e vengono ricacciati nei tunnel.
Nello stato d'incoscienza in cui versa dopo la battaglia, Eragon viene contattato per via telepatica da Togira Ikonoka, lo Storpio Che è Sano, che si offre di dare una risposta a tutte le sue domande. Eragon dovrà cercarlo a Ellesméra, dove vivono gli elfi.
Quando Eragon riprende i sensi, scopre che, malgrado tutti gli sforzi e le cure di Angela, gli è rimasta una terribile cicatrice, analoga a quella di
Murtagh. Sgomento, si rende conto di aver sconfitto Durza soltanto per un colpo di fortuna, e di avere un assoluto bisogno di approfondire il proprio addestramento.
Alla fine del Libro Primo, Eragon decide di partire per andare in cerca di Togira Ikonoka e completare la sua istruzione. Poiché il fosco Destino ha accelerato il passo, le prime note di guerra riecheggiano in Alagaésia, e si avvicina in fretta il momento in cui Eragon dovrà affrontare il suo unico, vero nemico: il re Galbatorix.
Una duplice sventura
Il canto dei morti è il pianto dei vivi. Questo pensò Eragon nello scavalcare il cadavere mutilato di un Urgali, mentre si levavano le lamentazioni funebri delle donne che portavano via le salme dei loro cari dalla piana intrisa di sangue del Farthen Dùr. Alle sue spalle, Saphira aggirò la carcassa ondeggiando sinuosa; le sue squame blu zaffiro erano l'unica nota di colore nell'oscurità che dominava la montagna cava.
Erano passati tre giorni da quando i Varden e i nani si erano battuti contro gli Urgali per difendere Tronjheim, la città-montagna alta un miglio nel cuore del Farthen Dùr, ma il campo di battaglia era ancora disseminato di cadaveri. L'enorme numero di caduti aveva rallentato le operazioni di sepoltura. In lontananza, una pira imponente rosseggiava ai piedi di un costone del Farthen Dùr: erano le carcasse degli Urgali che bruciavano. Nessun funerale e nessuna degna sepoltura per loro.
Da quando si era svegliato e aveva scoperto che Angela gli aveva guarito la ferita, per ben tre volte Eragon aveva tentato di dare il proprio contributo alla ricostruzione, ma era stato trafitto da dolori indicibili alla spina dorsale. I guaritori gli avevano somministrato varie pozioni da bere. Arya e Angela sostenevano che era perfettamente guarito. Eppure il dolore continuava a tormentarlo. Nemmeno Saphira era in grado di aiutarlo, se non condividendo la sofferenza trasfusa dal loro legame mentale.
Eragon si passò una mano sul viso e alzò lo sguardo alle stelle che si affacciavano dalla sommità aperta del Farthen Dùr, offuscate dal denso fumo nero della pira. Tre giorni. Erano trascorsi tre giorni da quando aveva ucciso Durza; tre giorni da quando la gente aveva preso a chiamarlo Ammazzaspettri; tre giorni da quando i residui di coscienza dello stregone gli avevano devastato la mente, ed era stato salvato dal misterioso Togira Ikonoka, lo Storpio Che è Sano. Non aveva fatto parola con nessuno della sua visione, tranne che con Saphira. La lotta contro Durza e gli spiriti oscuri che lo controllavano lo aveva trasformato; se in meglio o in peggio, era ancora presto per dirlo. Eragon si sentiva fragile, come se un colpo improvviso potesse mandargli in frantumi il corpo e la mente che ancora dovevano ristabilirsi. E adesso era tornato sul campo di battaglia, spinto dal desiderio morboso di vedere le conseguenze dei combattimenti. Non trovò altro che l'inquietante presenza della morte e della decomposizione; nessuna traccia della gloria di cui narravano le antiche ballate eroiche.
Prima che suo zio Garrow venisse ucciso dai crudeli Ra'zac, mesi addietro, la brutalità a cui Eragon aveva assistito fra umani, nani e Urgali lo avrebbe annientato. Ora lo rendeva quasi insensibile. Si era reso conto, con l'aiuto di Saphira, che l'unico modo per conservare la propria razionalità davanti a quel dolore straziante era fare qualcosa. Inoltre non credeva più che la vita avesse un significato intrinseco, non dopo aver visto uomini fatti a pezzi dai Kull, una tribù di Urgali giganteschi, e il terreno disseminato di membra mozzate, così zuppo di sangue da trasformarsi in un orrido pantano che gli risucchiava le suole degli stivali. Se mai esisteva un qualche tipo di onore in guerra, aveva concluso, era soltanto questo: combattere per difendere gli inermi.
Si chinò a raccogliere un molare da terra. Facendosi rimbalzare il dente sul palmo della mano, continuò a percorrere lentamente con Saphira il perimetro della piana devastata. A un tratto si fermarono nel vedere Jòrmundur, il vicecomandante di Ajihad, che usciva da Tronjheim di gran carriera, diretto verso di loro. Quando fu a breve distanza, s'inchinò: un gesto che, Eragon lo sapeva, non avrebbe mai compiuto fino a qualche giorno prima. «Sono lieto di averti trovato in tempo, Eragon.» Nel pugno stringeva un rotolo di pergamena. «Ajihad sta tornando, e vuole che tu sia presente al suo arrivo. Gli altri lo stanno già aspettando davanti al cancello ovest di Tronjheim. Dobbiamo affrettarci, se vogliamo arrivare in tempo.»