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Volodyk - Paolini2-Eldest

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Anch'io. Adesso vai, sto bene.

Saphira brontolò e si ritrasse a malincuore.

Eragon restò seduto a guardare con odio il rasoio. Alla fine borbottò: «Al diavolo!» e si ricompose, ripassando il suo inventario di parole nell'antica lingua per scegliere quelle che gli servivano. Si fece rotolare sulla lingua l'incantesimo improvvisato, e una debole pioggia di polvere nera gli cadde dalla faccia, mentre la rada peluria svaniva, lasciandogli le guance perfettamente lisce.

Soddisfatto, Eragon andò a sellare Saphira, che subito si alzò in volo, diretta verso la rupe di Tel'naeìr. Atterrarono davanti al capanno dove trovarono Oromis e Glaedr ad attenderli.

Oromis esaminò la sella di Saphira. Seguì ogni cinghia con le dita, soffermandosi sulle cuciture e sulle fibbie, e poi lo dichiarò un lavoro discreto, considerato come e quando era stato eseguito. «Brom è sempre stato bravo con le mani. Usa questa sella quando vuoi viaggiare a gran velocità. Ma quando vuoi stare comodo...» rientrò nel capanno e ricomparve con una grossa sella ricurva, decorata da incisioni dorate sul sedile e sugli alloggiamenti per le gambe, «... usa questa. È stata fatta a Vroengard e dotata di potenti incantesimi perché non ti tradisca mai nel momento del bisogno.»

Eragon barcollò sotto il peso della sella ricevuta da Oromis. Per forma era simile a quella di Brom, con una serie di fibbie che servivano a immobilizzargli le gambe. Il cuoio del sedile era sagomato per consentirgli di volare per ore senza stancarsi, sia seduto eretto che proteso sul collo di Saphira. Inoltre le corregge che cingevano il petto di Saphira erano dotate di passanti e nodi per poterle allungare e adattarsi alla sua crescita. Una serie di lunghi legacci ai lati del pomo della sella catturarono l'attenzione di Eragon. Ne chiese lo scopo.

Glaedr borbottò: Servono a legarti i polsi e le braccia per non farti morire come un topo sballottato quando Saphira esegue una manovra complessa.

Oromis aiutò Eragon a liberare Saphira dalla sella. «Saphira, oggi tu andrai con Glaedr, mentre io lavorerò qui con Eragon.»

Come desideri, disse lei, vibrante di eccitazione. Sollevando la mole dorata dal suolo, Glaedr prese il volo verso nord, seguito a ruota da Saphira.

Oromis non diede tempo a Eragon di riflettere sull'eccessivo entusiasmo di Saphira, e lo condusse in un recinto quadrato di terra compatta, sotto un salice dall'altro lato della radura. Parandosi davanti a lui, Oromis disse: «Sto per mostrarti la Rimgar, la Danza del Serpente e della Gru. Si tratta di una serie di pose che sviluppammo per preparare i nostri guerrieri al combattimento, anche se adesso gli elfi la usano per mantenere la salute e la forma fisica. La Rimgar consiste in quattro livelli, ognuno più difficile del precedente. Cominceremo dal primo.»

L'apprensione per il compito che lo aspettava fece venire a Eragon una tale nausea che quasi non riusciva a muoversi. Strinse i pugni e incurvò le spalle, con la cicatrice che gli tirava la pelle della schiena, tenendo lo sguardo fisso a terra. «Rilassati» lo ammonì Oromis. Eragon aprì le mani e le lasciò pendere dalle braccia rigide. «Ti ho chiesto di rilassarti, Eragon. Non puoi eseguire la Rimgar se resti rigido come un ciocco di legno.»

«Sì, maestro.» Eragon fece una smorfia e a malincuore sciolse i muscoli e le articolazioni, anche se gli rimaneva un nodo di tensione nello stomaco.

«Tieni i piedi uniti e paralleli, e le braccia lungo i fianchi. Guarda dritto avanti a te. Ora fai un respiro profondo e alza le braccia sopra la testa, unendo i palmi... Sì, così. Espira e flettiti in avanti il più possibile, toccando il terreno con le mani. Fai un altro respiro... e torna indietro. Bene. Inspira, inarca il busto all'indietro e guarda verso il cielo... ed espira, alzando il bacino fino a formare un triangolo. Inspira con la gola... ed espira. Inspira... ed espira. Inspira...» Con sommo sollievo di Eragon, gli esercizi si dimostrarono abbastanza agevoli da non innescare il dolore alla schiena, pur essendo abbastanza difficili da farlo sudare e ansimare. Si ritrovò a sorridere di gioia. Svanita ogni traccia di diffidenza, Eragon passò fluidamente da una posizione all'altra - molte delle quali mettevano a dura prova la sua flessibilità - con più energia e sicurezza che prima della battaglia del Farthen Dùr. Forse sono guarito! Oromis eseguì la Rimgar insieme a lui, mostrando un livello di forza e flessibilità che sbalordì Eragon, soprattutto pensando all'età del maestro. L'elfo riusciva a toccarsi la punta dei piedi con la fronte. Durante tutta la seduta di allenamento, rimase impeccabile e composto, come se stesse facendo una semplice passeggiata nei prati. Impartiva gli ordini con più calma e pazienza di Brom, ma con inflessibile rigore. Non permetteva alcuna distrazione. «Laviamoci il sudore» disse Oromis, quando ebbero terminato.

Andarono al torrente che scorreva vicino alla casa e si spogliarono in fretta. Eragon scoccò un'occhiata furtiva all'elfo, curioso di vedere com'era senza vestiti. Oromis era molto magro, ma i suoi muscoli erano perfettamente delineati, guizzanti sotto la pelle con la perfezione di una scultura di legno. Non aveva peli sul torace e sulle gambe, e nemmeno all'inguine. Il suo corpo sembrava quasi grottesco, in confronto agli uomini che Eragon era abituato a vedere a Carvahall, anche se possedeva una certa raffinata eleganza, come quella di un gatto selvatico.

Quando si furono lavati, Oromis condusse Eragon nel folto della Du Weldenvarden, fino a una conca protetta da alberi cupi, inclinati verso il centro a oscurare il cielo con l'intrico di rami e brandelli penzolanti di licheni. I piedi gli affondavano nel muschio fino alle caviglie. Tutto era immerso nel silenzio.

Indicando un ceppo bianco dalla sommità liscia e piatta al centro della conca, Oromis disse: «Siediti lì.» Eragon obbedì. «Incrocia le gambe e chiudi gli occhi.» Il mondo intorno a lui piombò nell'oscurità. Alla sua destra, sentì Oromis bisbigliare: «Apri la mente, Eragon. Apri la mente e ascolta il mondo intorno a te, i pensieri di ogni essere di questa radura, dalle formiche negli alberi ai vermi nella terra. Ascolta finché non li sentirai tutti e comprenderai la loro natura e il loro scopo. Ascolta, e quando non sentirai più nulla, mi dirai che cosa hai imparato.»

Poi la foresta tacque.

Non sapendo se Oromis se ne fosse andato, Eragon provò ad abbassare le difese della mente per dilatare la coscienza, come faceva quando cercava di chiamare Saphira a grandi distanze. Al principio si ritrovò circondato dal vuoto, ma poi barlumi di luce e calore cominciarono a comparire nell'oscurità, crescendo d'intensità finché non si trovò al centro di una galassia di costellazioni vorticanti, e ciascun puntino brillante rappresentava una vita. Ogni volta che aveva chiamato altri esseri con la mente, come Cadoc, Fiammabianca o Solembum, il suo fuoco si era sempre concentrato su quello con cui voleva comunicare. Ma in quel momento... era come se fosse stato sordo in mezzo a una folla e all'improvviso potesse sentire i flussi di conversazione che scorrevano intorno a lui.

Di colpo si sentì vulnerabile; era completamente esposto al mondo. Chiunque o qualunque cosa volesse impadronirsi della sua mente e controllarlo, avrebbe potuto farlo in quell'istante. La tensione lo indusse a ritirarsi in se stesso, e la consapevolezza che aveva della conca scomparve. Ricordando una delle lezioni di Oromis, Eragon rallentò la respirazione e controllò l'espansione dei polmoni fino a rilassarsi abbastanza da riaprire la mente. Di tutte le vite che percepiva, la stragrande maggioranza appartenevano agli insetti. Rimase sbalordito dal loro numero immenso. Decine di migliaia di minuscoli esseri dimoravano in un fazzoletto di muschio, milioni e milioni nel resto della piccola conca, e chissà quanti oltre. Eragon ebbe quasi paura. Aveva sempre saputo che in Alagaésia gli umani erano pochi e isolati, ma non si sarebbe mai immaginato che fossero superati in numero perfino dagli scarafaggi. Poiché erano fra i pochi insetti che conosceva, e Oromis le aveva menzionate, Eragon si concentrò sulle colonne di formiche rosse che marciavano sul terreno e risalivano lungo gli steli di un cespuglio di rose selvatiche. Ciò che colse non furono tanto pensieri - i loro cervelli erano troppo primitivi - ma urgenze: l'urgenza di trovare cibo ed evitare pericoli, l'urgenza di difendere il territorio, l'urgenza di accoppiarsi. Studiando gli istinti delle formiche, cominciò a riconoscere i loro comportamenti.

Lo affascinò scoprire che - tranne i rari individui che si avventuravano in esplorazione fuori dai confini del loro territorio - le formiche sapevano esattamente dove stavano andando. Pur non riuscendo a individuare il meccanismo che le guidava, notò che seguivano precisi percorsi dai loro nidi al cibo e viceversa. La fonte di cibo fu un'altra sorpresa. Come si era aspettato, le formiche uccidevano altri insetti e si nutrivano di loro, ma la maggior parte dei loro sforzi era concentrata sulla coltivazione di... di qualcosa che punteggiava il cespuglio di rose. Qualunque forma di vita fosse, era appena percettibile. Si concentrò con tutte le sue forze per identificarla e soddisfare la propria curiosità. La risposta fu così semplice che gli venne da ridere quando comprese: afidi. Le formiche si comportavano come pastori di afidi, guidandoli e proteggendoli, ed estraevano da essi il nutrimento massaggiando le loro pance con la punta delle antenne. Eragon non riusciva quasi a crederci, ma più le guardava, più si convinceva di avere ragione. Seguì le formiche nel sottosuolo, nel complesso labirinto di cunicoli, e osservò come si prendevano cura di un particolare membro della loro specie, molto più grosso di una normale formica. Tuttavia il ruolo dell'insetto gli rimase oscuro; non vide altro che servitori che gli sciamavano intorno, ruotandolo e rimuovendo particelle di materia che produceva a intervalli regolari.

Dopo un po', Eragon decise che aveva tratto ogni informazione possibile dalle formiche - a meno che non volesse restare lì seduto per il resto della giornata - e stava per tornare nel suo corpo quando uno scoiattolo balzò nella radura. La sua comparsa fu come un lampo abbagliante per Eragon, che si era ormai abituato alle minuscole lucine delle formiche. Sconcertato, fu travolto da un'ondata di sensazioni e sentimenti che scaturivano dall'animale. Annusò la foresta col suo naso, sentì la corteccia cedere sotto le unghie curve e l'aria frusciare intorno alla coda eretta come un pennacchio. In confronto a una formica, lo scoiattolo ardeva di energia e possedeva un'indiscutibile intelligenza. Poi saltò su un altro ramo e si dileguò dalla sua coscienza.

La foresta sembrava molto più buia e silenziosa di prima, quando Eragon aprì gli occhi. Trasse un profondo respiro e si guardò intorno, apprezzando per la prima volta tutta la vita esistente al mondo. Allungando le gambe indolenzite, si avvicinò al cespuglio di rose. Si chinò a esaminarne i rametti, che infatti erano coperti di afidi e dei loro guardiani cremisi. E vicino alla base della pianta c'era il cumulo di aghi di pino che contrassegnava l'ingresso del formicaio. Era strano vederlo con i suoi propri occhi: nulla tradiva le numerose, sottili interazioni di cui adesso era consapevole. Assorto nei suoi pensieri, Eragon tornò nella radura, chiedendosi che cosa potesse mai calpestare a ogni passo. Quando emerse dal folto degli alberi, rimase di stucco nel vedere quanto si era spostato il sole. Devo essere rimasto seduto lì almeno tre ore.

Trovò Oromis nel capanno, intento a scrivere con un calamo di penna d'oca. L'elfo terminò la riga, poi pulì la punta del calamo, chiuse la boccetta dell'inchiostro e chiese: «Cos'hai sentito, Eragon?»

Eragon non vedeva l'ora di raccontare. Mentre descriveva l'esperienza, sentì la propria voce traboccare di entusiasmo nel soffermarsi sui dettagli della società delle formiche. Riferì tutto quanto riuscì a ricordare, fino alle più piccole e insignificanti osservazioni, orgoglioso delle informazioni che aveva raccolto.

Quando ebbe finito, Oromis inarcò un sopracciglio. «Tutto qui?»

«Ma...» Eragon cadde in preda allo sconforto nel rendersi conto che aveva in qualche modo mancato lo scopo dell'esercizio. «Sì, Ebrithil.»

«E che mi dici degli altri organismi nella terra e nell'aria? Sai dirmi cosa facevano mentre le tue formiche si occupavano delle loro greggi?»

«No, Ebrithil.»

«Ecco il tuo errore. Devi renderti consapevole di tutte le cose in eguai misura e non concentrarti su un particolare soggetto. Questa è una lezione essenziale, e finché non ci sarai riuscito, mediterai sul ceppo ogni giorno per un'ora.» «Come saprò quando ci sarò riuscito?»

«Quando potrai osservare uno e comprendere il tutto.»

Oromis fece cenno a Eragon di unirsi a lui a tavola, poi gli pose davanti un foglio di carta immacolato, insieme a un calamo e a una boccetta d'inchiostro. «Finora hai avuto una conoscenza incompleta dell'antica lingua. Nessuno sa riconoscere ogni singola parola di essa, ma devi familiarizzare con la grammatica e le strutture sintattiche, in modo da non tentare il suicidio per colpa di un verbo messo al posto sbagliato o errori del genere. Non mi aspetto che parli la nostra lingua come un elfo - ci vorrebbe una vita - ma mi aspetto che tu acquisisca una competenza inconscia. Voglio dire, devi essere in grado di usarla senza pensare.

«Inoltre devi imparare a leggere e scrivere nell'antica lingua. Ti aiuterà a memorizzare le parole, e in più è una capacità essenziale al fine di comporre un incantesimo particolarmente lungo se non ti fidi della tua memoria, o se trovi un incantesimo scritto e vuoi usarlo.

«Ogni razza ha sviluppato un proprio sistema per scrivere nell'antica lingua. I nani usano il loro alfabeto runico, come gli umani. Ma si tratta di metodi improvvisati che non sono in grado di esprimere le vere sottigliezze della lingua come fa la nostra Liduen Kvaedhi, la Poetica Scrittura. La Liduen Kvaedhi è stata creata per essere il più elegante, raffinata e precisa possibile. È composta da quarantadue forme diverse che rappresentano svariati suoni e si possono combinare in una gamma pressoché infinita di glifi che rappresentano sia parole individuali che intere frasi. Il simbolo sul tuo anello è uno di questi glifi. Il simbolo su Zar'roc un altro... Cominciamo: quali sono i principali suoni vocalici dell'antica lingua?»

«Cosa?»

L'ignoranza di Eragon sulle sfumature dell'antica lingua fu subito evidente. Quando aveva viaggiato con Brom, il vecchio cantastorie si era adoperato perché Eragon imparasse a memoria liste di parole che potevano essergli utili per sopravvivere, come anche a perfezionare la pronuncia. Se l'era cavata egregiamente in questi due campi, ma non sapeva nemmeno spiegare la differenza fra articolo determinativo e indeterminativo. Oromis non mostrò in alcun modo di essere irritato per le lacune nella sua istruzione, e invece cominciò a lavorare alacremente per colmarle. A un certo punto, durante la lezione, Eragon commentò: «Non ho mai avuto bisogno di molte parole per i miei incantesimi. Brom pensava che avessi un talento naturale, visto quello che riuscivo a fare solo con brisingr. Credo di aver usato l'antica lingua soprattutto quando parlavo con Arya nella sua mente, e quando ho benedetto un'orfana nel Farthen Dùr.»

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