Volodyk - Paolini2-Eldest
«Sono tante le cose che vorrei sapere» mormorò Eragon. «Chi sei? Da dove vieni? Da dove veniva Brom? Com'era Morzan? Come, cosa, quando, perché? E vorrei sapere tutto su Vroengard e sui Cavalieri. Forse allora avrò più chiaro il mio cammino.»
Calò il silenzio mentre Oromis piluccava una mora, staccandone un pallino succoso alla volta. Quando l'ultimo granello sparì fra le sue labbra tinte di viola, si strofinò le mani - o "si lucido i palmi", per usare le parole di Garrow e disse: «Su di me sappi questo: sono nato qualche secolo fa nella città di Luthìvira, che si trova nei boschi che orlano il lago Tùdosten. All'età di vent'anni, come tutti i bambini elfici, fui condotto davanti alle uova che i draghi avevano dato ai Cavalieri, e Glaedr nacque per me. Fummo addestrati, e per quasi un secolo viaggiammo per il mondo, facendo la volontà di Vrael. Alla fine arrivò il giorno in cui fu opportuno per noi ritirarci, per tramandare la nostra esperienza alla nuova generazione, e ci stabilimmo a Ilirea per insegnare ai nuovi Cavalieri, uno o due alla volta, finché Galbatorix non ci distrusse.»
«E Brom?»
«Brom veniva da una famiglia di miniaturisti di Kuasta. Sua madre si chiamava Nelda e suo padre Holcomb. La Grande Dorsale isolava così tanto Kuasta dal resto di Alagaésia che la città era diventata un luogo molto particolare, pieno di strane usanze e superstizioni. Pensa che quando Brom era ancora nuovo di Ilirea, bussava per tre volte sullo stipite di una porta prima di entrare o uscire da una stanza. Gli studenti umani lo deridevano per queste sue abitudini, finché non smise di farlo, insieme ad altre cose.
«Morzan fu il mio più grande fallimento. Brom lo idolatrava. Lo seguiva come un'ombra, non lo contraddiceva mai, e non credeva di poterlo mai superare in nessuna impresa. Morzan - mi vergogno ad ammetterlo, perché avrei potuto impedirlo - ne era consapevole e sfruttava la devozione di Brom in cento modi diversi. Divenne così arrogante e crudele che pensai di separarlo da Brom. Ma prima di poterlo fare, Morzan aiutò Galbatorix a rubare un cucciolo di drago, Shruikan, per rimpiazzare quello che aveva perso, e a ucciderne il Cavaliere. Morzan e Galbatorix allora fuggirono insieme, segnando la nostra condanna.
«Non puoi nemmeno lontanamente immaginare gli effetti del tradimento di Morzan su Brom se prima non comprendi quando profondo fosse il suo attaccamento a lui. E quando alla fine Galbatorix rivelò le sue intenzioni e i Rinnegati uccisero il drago di Brom, lui concentrò tutta la sua rabbia e il suo dolore su colui che riteneva responsabile della distruzione del suo mondo: Morzan.»
Oromis fece una pausa, con espressione grave. «Sai perché perdere il tuo drago, o viceversa, di solito uccide quello che sopravvive?»
«Posso immaginarlo» disse Eragon, tremando al solo pensiero.
«Il dolore è un colpo già abbastanza forte, anche se non sempre determinante, ma il vero danno è provocato dalla perdita di parte della tua mente. Parte della tua identità muore. Quando questo accadde a Brom, temetti che perdesse il senno. Poi fui catturato, ma riuscii a fuggire, e allora portai Brom a Ellesméra per sicurezza, ma lui si rifiutò di rimanere, e volle marciare con il nostro esercito nelle pianure di Ilirea, dove re Evandar fu ucciso.
«Il caos era indescrivibile. Galbatorix era impegnato a consolidare il suo potere, i nani erano in ritirata, il sudest era sconvolto dalla guerra mentre gli umani si ribellavano e combattevano per creare il Surda, e noi avevamo appena perso il nostro re. Spinto dal desiderio di vendetta, Brom cercò di sfruttare la confusione a proprio vantaggio. Riunì molti di coloro che erano stati esiliati, liberò alcuni che erano stati imprigionati, e con loro formò i Varden. Li guidò lui stesso per diversi anni, poi affidò l'incarico a un altro per essere libero di perseguire il proprio vero obiettivo, la distruzione di Morzan. Brom uccise personalmente tre Rinnegati, compreso Morzan, e fu responsabile della morte di altri cinque. Non ha avuto una vita facile o felice, ma era un buon Cavaliere e un buon uomo, e io sono onorato di averlo conosciuto.» «Non ho mai sentito il suo nome collegato alla morte dei Rinnegati» obiettò Eragon.
«Galbatorix non voleva rendere pubblico il fatto che esisteva ancora qualcuno in grado di sconfiggere i suoi servi. Gran parte del suo potere risiede nell'apparenza di invulnerabilità.»
Ancora una volta, Eragon si trovò costretto a rivedere l'idea che aveva di Brom: dal cantastorie di paese che Eragon aveva conosciuto da bambino al guerriero e stregone con cui aveva viaggiato al Cavaliere che aveva scoperto essere in realtà, e infine adesso l'agitatore di masse, la guida rivoluzionaria e l'assassino. Era difficile conciliare tanti ruoli diversi. Ho come la sensazione di non averlo conosciuto affatto. Vorrei tanto aver avuto il tempo di parlare con lui di tutto questo almeno una volta. «Era un buon uomo» convenne Eragon.
Guardò fuori da una delle finestre rotonde che si affacciavano sull'orlo della rocca e consentivano al calore pomeridiano di diffondersi nella stanza. Osservò Saphira, notando come si comportava con Glaedr, timida e vezzosa al tempo stesso. Un attimo prima si girava per esaminare le caratteristiche della radura, quello dopo arruffava le ali e faceva piccoli gesti per stuzzicare il drago, come dondolare la testa da un lato e dall'altro, o far guizzare la punta della coda quasi fosse pronta a balzare su un cervo. A Eragon sembrava una gattinà che cerchi di convincere un vecchio gatto a giocare con lei. Ma Glaedr restava impassibile.
Saphira, la chiamò. Lei rispose con un distratto baluginio di pensiero, senza quasi riconoscerlo. Saphira, rispondimi. Che cosa c'è?
So che sei eccitata, ma non renderti ridicola.
Tu ti sei reso ridicolo un sacco di volte, ribatte lei.
La sua risposta fu così inaspettata che lo lasciò di stucco.
Era quel tipo di crudele commento che usavano spesso gli umani, ma non si sarebbe mai aspettato di sentirlo da lei. Alla fine riuscì a dire: Già, ma questo non cambia le cose. Lei grugnì e gli chiuse la mente, anche se Eragon percepiva ancora strascichi di emozioni.
Il giovane tornò in sé per scoprire gli occhi grigi di Oromis fissi su di lui. Erano così perspicaci che Eragon era sicuro che Oromis avesse capìto che cosa era successo. Abbozzò un sorriso e fece un cenno verso Saphira. «Anche se siamo intimamente legati, non so mai predire cosa farà. Più imparo a conoscerla, più mi rendo conto di quanto siamo diversi.» Allora Oromis pronunciò una frase che colpì Eragon in tutta la sua straordinaria saggezza. «Coloro che amiamo spesso ci sono più estranei degli altri.» L'elfo fece una pausa. «Saphira è molto giovane, come te. A me e Glaedr ci sono voluti decenni per capirci a vicenda. Il legame di un Cavaliere con il suo drago è come qualunque altra relazione... ossia, un progresso continuo. Ti fidi di lei?»
«Con tutta l'anima.»
«E lei si fida di te?»
«Sì.»
«Allora assecondala. Tu sei stato allevato come un orfano. Lei è cresciuta credendo di essere l'unico individuo incorrotto della sua intera razza. E adesso ha visto che si sbagliava. Non sorprenderti se ci vorrà qualche mese prima che smetta di tormentare Glaedr e riporti la sua attenzione su di te.»
Eragon si rigirò una mora fra le dita; la fame gli era passata. «Perché gli elfi non mangiano carne?» «Perché dovremmo?» Oromis prese una fragola e la voltò perché la luce colpisse la sua buccia bucherellata e illuminasse la sottile peluria che la rivestiva. «Tutto quello che ci serve lo cantiamo dalle piante, compreso il cibo. Sarebbe barbaro far soffrire gli animali soltanto per avere qualche altra pietanza sulle nostre mense... La nostra scelta ti sarà più chiara ben presto.»
Eragon aggrottò la fronte. Aveva sempre mangiato carne e non lo solleticava la prospettiva di mangiare soltanto frutta e verdura finché restava a Ellesméra. «Non vi manca il gusto?»
«Non ti può mancare qualcosa che non hai mai avuto.» «E Glaedr? Non può vivere soltanto d'erba.» «No, ma non occorre nemmeno infliggere dolore inutile. Ciascuno di noi fa del suo meglio con quanto gli è stato dato. Non puoi ripudiare ciò che sei.»
«E Islanzadi? Il suo mantello era fatto di piume di cigno.» «Piume perdute dagli animali e raccolte nel corso di molti anni. Nessun uccello è stato ucciso per farle da ornamento.» Finirono di mangiare, ed Eragon aiutò Oromis a strofinare dispensa, gli domandò: «Hai fatto il bagno stamattina?» La domanda sconcertò Eragon, che tuttavia rispose che no, non l'aveva fatto. «Ti prego allora di farlo domattina. E per tutti i giorni a venire.»
«Tutti i giorni! L'acqua è troppo fredda. Mi verrà la febbre.»
Oromis lo guardò con occhi strani. «Allora riscaldala.» Fu il turno di Eragon di guardarlo di traverso. «Non sono abbastanza forte da riscaldare un intero torrente con la magia» protestò.
La casa riecheggiò delle risa di Oromis. Fuori, Glaedr voltò la testa verso la finestra per guardare l'elfo, poi riprese la sua posizione. «Immagino che tu abbia ispezionato i tuoi alloggi ieri sera.» Eragon annuì. «E non hai visto quella piccola stanza con una conca nel pavimento?» «Credevo che servisse a lavare i panni.»
«Serve a lavare te. Nella parete accanto alla cavità ci sono due cannelli nascosti. Aprili, e potrai fare il bagno nell'acqua della temperatura che preferisci. Inoltre» aggiunse, facendo un cenno verso il mento di Eragon, «finché sei mio allievo, mi aspetto che tu porti il volto rasato fintantoché non potrai farti crescere una vera barba, se così sceglierai, e non sembrare un albero con metà foglie cadute. Gli elfi non si radono, ma io possiedo un rasoio e uno specchio che ho trovato, e te li manderò.»
Fremendo per l'orgoglio ferito, Eragon annuì. Tornarono fuori, dove Oromis guardò Glaedr e il drago disse: Abbiamo deciso un programma di studi per Saphira e te.
L'elfo disse: «Comincerete...»
... un'ora dopo l'alba, domattina, al tempo del Giglio Rosso. Tornate qui allora.
«E porta la sella che Brom ha fatto per Saphira» continuò Oromis. «Nel frattempo, fai ciò che vuoi. Ellesméra offre molte meraviglie a uno straniero, se desideri vederle.»
«Lo terrò a mente» disse Eragon, con un inchino del capo. «Prima di andare, maestro, vorrei ringraziarti per avermi aiutato a Tronjheim, dopo che ho ucciso Durza. Dubito che ce l'avrei fatta senza il tuo intervento. Sono in debito con te.»
Siamo entrambi in debito, aggiunse Saphira.
Oromis sorrise e chinò il capo.
i piatti con la sabbia. Mentre l'elfo li riponeva in una
La vita segreta delle formiche
Nel momento in cui Oromis e Glaedr non si videro più, Saphira esclamò: Eragon, un altro drago! Ma è magnifico! Lui le diede una pacca sulla spalla. È meraviglioso. Volando alti sulla Du Weldenvarden, l'unico segno di vita che videro nella foresta era un occasionale pennacchio di fumo che risaliva dalla chioma di un albero e presto si dissipava nell'aria.
Non mi sarei mai aspettata di incontrare un altro drago, tranne Shruikan. Magari di sottrarre le nova a Galbatorix, questo sì, ma le mie speranze si limitavano a questo. E invece adesso! La dragonessa fremette di gioia sotto di lui. Glaedr è incredibile, non trovi? È così vecchio e forte, e le sue squame sono così brillanti. Dev'essere due, no, tre volte più grosso di me. Hai visto che artigli? Sono...
Continuò così per lunghi minuti, sperticandosi di lodi per le qualità di Glaedr. Ma più forti delle sue parole erano le emozioni che Eragon percepiva ribollire in lei: frenesia ed entusiasmo, mescolati a qualcosa che si poteva definire soltanto struggente adorazione.
Eragon tentò di raccontare a Saphira quanto aveva appreso da Oromis - poiché sapeva che lei non aveva prestato attenzione - ma scoprì che era impossibile farle cambiare argomento. Rimase seduto in silenzio sul suo dorso, il mondo un oceano di smeraldo, e si sentì la persona più sola dell'universo.
Tornati ai loro alloggi, Eragon decise di non andare a passeggio; era troppo stanco per gli eventi della giornata e le settimane di viaggio. E Saphira era più contenta di accucciarsi nel suo giaciglio e continuare a chiacchierare di Glaedr, mentre lui esplorava i misteri dello stanzino da bagno degli elfi.
Arrivò la mattina, e con essa un pacchetto avvolto in carta velina con il rasoio e lo specchio che Oromis gli aveva promesso. La lama era di fattura elfica, perciò non aveva bisogno di essere affilata. Sorridendo, Eragon prima fece un bagno nell'acqua calda e fumante, poi prese lo specchio e si studiò il volto.
Sembro più vecchio. Più vecchio e più sfibrato. Non era solo quello: i suoi lineamenti si erano fatti più affilati, dandogli un aspetto ascetico, da falco. Non era un elfo, ma nessuno lo avrebbe scambiato per un puro umano se lo avesse ispezionato da vicino. Tirandosi indietro i capelli, portò alla luce le orecchie, che ora terminavano con una leggera punta, ulteriore prova di quanto il suo legame con Saphira lo stesse cambiando. Si toccò un orecchio, seguendo il profilo inconsueto con le dita.
Gli era difficile accettare la trasformazione della carne. Pur sapendo che sarebbe successo - e a volte ne considerava la prospettiva con entusiasmo, come conferma definitiva del suo essere Cavaliere - la realtà del cambiamento lo riempiva di confusione. Si risentiva del fatto di non avere voce in capitolo su come il suo corpo veniva alterato, eppure allo stesso tempo era curioso di scoprire dove lo avrebbe condotto il processo. E poi sapeva di trovarsi nel pieno dell'adolescenza umana, e nel suo regno di misteri e difficoltà.
Quando finalmente capirò chi sono e che cosa sono?
Posò il filo del rasoio sulla guancia, come aveva visto fare a Garrow, e lo fece scorrere sulla pelle. I peli vennero via a chiazze, ma rimasero troppo lunghi in alcuni punti. Cambiò l'angolazione della lama e provò di nuovo, con un po' più di successo.
Quando raggiunse il mento, però, il rasoio gli sfuggì di mano e gli procurò un taglio dall'angolo della bocca fin sotto la mascella. Ululò di dolore e lasciò cadere il rasoio, premendosi la mano sulla ferita, da cui fiottava sangue sul collo. Sibilando le parole a denti stretti, disse: «Waise heill.» Il dolore scemò, mentre la magia gli ricuciva la pelle, anche se il cuore ancora gli batteva per lo shock.
Eragon! gridò Saphira. Infilò a forza la testa e le spalle nel vestibolo e aprì la porta del camerino con il muso, dilatando le narici all'odore del sangue.
Sopravviverò, la rassicurò lui.
Lei scoccò un'occhiata all'acqua tinta di rosso. Devi stare più attento. Ti preferisco con la peluria a chiazze come un cervo in periodo di muta, che non decapitato per una rasatura spinta troppo a fondo.
Anch'io. Adesso vai, sto bene.