Volodyk - Paolini2-Eldest
Un sorriso mesto affiorò sulle labbra di Horst. «Lo capisco perfettamente.»
Roran allungò il collo in cerca di Albriech, ma il giovane non tornava ancora. Digrignò i denti. «Ma che fine ha fatto?» Horst gli batte sulla spalla. «Laggiù, mi pare di vederlo.»
Albriech avanzava fra le case con tre barilotti di birra legati sulla schiena, e un'espressione afflitta così comica da far scoppiare a ridere Baldor e qualche altro. Ai lati di Albriech camminavano Morn e Tara, barcollanti sotto il peso degli enormi zaini, come anche il mulo e le due capre che si trascinavano dietro per la cavezza. Con grande stupore di Roran, gli animali erano carichi di altri barili.
«Non reggeranno più di un miglio» disse Roran, infuriandosi per la testardaggine della coppia. «E non hanno abbastanza viveri. Si aspettano che li sfamiamo noi, oppure...»
«Io non mi preoccuperei del cibo» lo interruppe Horst, ridacchiando sotto i baffi. «La birra di Morn ci servirà a tenere alto il morale, e vale molto più di qualche razione extra. Fidati.»
Non appena Albriech si fu liberato dai barili, Roran chiese a lui e al fratello: «Tutti qui?» Alla risposta affermativa di entrambi, Roran imprecò e si batte il pugno contro la coscia. Escludendo Ivor, altre tre famiglie erano decise a restare nella Valle Palancar: quella di Ethlbert, quella di Parr e quella di Knute. Non posso costrìngerli a venire. Sospirò. «D'accordo. Non ha senso aspettare ancora.»
Un brusìo di eccitazione si diffuse fra i presenti: il momento era arrivato. Horst e altri cinque uomini aprirono la cinta di alberi e gettarono delle tavole sulla trincea perché i paesani e gli animali ci passassero sopra.
Horst fece un cenno con la mano. «Credo che dovresti andare tu per primo, Roran.»
«Aspetta!» Fisk si fece avanti e, con palese orgoglio, porse a Roran un bastone lungo sei piedi, fatto di legno di cratego annerito, con una massa di radici in cima e una punta smussata di acciaio alla base. «L'ho fatto stanotte» disse il carpentiere. «Ho pensato che ne avresti avuto bisogno.»
Roran fece scorrere la mano sinistra sul legno, ammirandone la levigatezza. «Non avrei potuto chiedere niente di meglio. È un capolavoro... Ti ringrazio.» Fisk sorrise e si fece da parte.
Consapevole delle decine di occhi che lo fissavano, Roran si volse verso le montagne e le Cascate di Igualda. La ferita gli pulsava sotto lo spallaccio di cuoio. Dietro di lui giacevano le ossa di suo padre e tutto quello che conosceva. Davanti a lui i picchi frastagliati svettavano contro il cielo, come a sbarrargli la strada verso il raggiungimento della sua meta. Ma non si sarebbe sottratto. E non avrebbe guardato indietro.
Katrina.
Alzando il mento, Roran mosse il primo passo. Il bastone picchiò sulle tavole di legno mentre attraversava la trincea e usciva da Carvahall, guidando i suoi compaesani nella selvaggia natura della Grande Dorsale.
La rupe di Tel'naeìr
Fulgido come un sole abbagliante, il drago si librava davanti a Eragon e agli altri, radunati sulla rupe di Tel'naeir, investendoli con folate di vento sollevate dalle sue ali possenti. Il suo corpo sembrava sprigionare vampe di fuoco, mentre l'alba lucente illuminava le sue squame dorate che riflettevano sprazzi di luce abbagliante sul terreno e sugli alberi. Era molto più grande di Saphira, abbastanza da avere almeno parecchie centinaia di anni; il collo, gli arti e la coda erano in proporzione più massicci. Sul suo dorso era seduto il Cavaliere, i suoi abiti di un bianco abbacinante contro lo splendore delle squame.
Eragon cadde in ginocchio, con il volto alzato. Non sono solo... Timore reverenziale e sollievo lo pervasero. Non sarebbe più stato l'unico a sopportare il peso della responsabilità dei Varden e di Galbatorix. Davanti a lui c'era uno dei guardiani del remoto passato, risorto dagli abissi del tempo per guidarlo, un simbolo vivente, l'incarnazione delle leggende con cui era cresciuto. Davanti a lui c'era il suo maestro. Davanti a lui c'era una leggenda! Quando il drago virò per atterrare, Eragon trasalì: la zampa anteriore sinistra della creatura era stata mozzata da un colpo terribile, lasciando un inerte moncone bianco laddove un tempo c'era un arto possente. Gli si riempirono gli occhi di lacrime.
Un turbine di rametti secchi e di foglie si levò in cima alla rocca, quando il drago si posò sul tappeto di trifoglio e chiuse le ali. Il Cavaliere smontò con cautela usando la zampa destra del drago, quella sana, e si avvicinò a Eragon con le mani giunte. Era un elfo dai capelli argentei, vecchio oltre ogni dire, anche se l'unico segno di età era l'espressione di grande compassione e tristezza sul suo volto.
«Osthato Chetowà» mormorò Eragon. «Il Saggio Dolente. .. Come tu mi hai chiesto, sono venuto.» Con un sussulto, si ricordò delle buone maniere, e si toccò le labbra. «Atra esterni ono thelduin.»
Il Cavaliere sorrise. Gli posò le mani sulle spalle e lo invitò a rialzarsi, fissandolo con una tale tenerezza che Eragon non riusciva a distogliere lo sguardo; si sentiva consumato dagli sconfinati abissi degli occhi dell'elfo. «Oromis è il mio nome, Eragon Ammazzaspettri.»
«Lo sapevi» mormorò Islanzadi, con un'espressione ferita che presto si trasformò in una vampa di collera. «Sapevi dell'esistenza di Eragon e non mi hai detto niente? Perché mi hai tradita, Shur 'rugai?»
Oromis spostò lo sguardo da Eragon sulla regina. «Ho taciuto perché non sapevo se Eragon o Arya sarebbero vissuti abbastanza a lungo da arrivare fin qui. Non volevo darti una fragile speranza che avrebbe potuto infrangersi da un momento all'altro.»
Islanzadi si volse di scatto, con uno svolazzo del mantello di piume di cigno. «Non avevi il diritto di nascondermi questa notizia! Avrei potuto mandare dei guerrieri a proteggere Arya, Eragon e Saphira nel Farthen Dùr, e scortarli qui sani e salvi.»
Oromis sorrise mesto. «Non ti ho tenuto nascosto niente, Islanzadi, se non quello che avevi già deciso di non vedere. Se avessi divinato il territorio, com'era tuo dovere, avresti scoperto la fonte del caos che devasta Alagaésia, e appreso la verità su Arya ed Eragon. Che tu abbia potuto dimenticare i Varden e i nani, nel tuo dolore, è comprensibile, ma Brom? Vinr Àlfakyn? L'ultimo degli Amici degli Elfi? Hai chiuso il tuo cuore al mondo, Islanzadi, e ti sei rifugiata sul tuo trono nodoso. Non potevo rischiare di farti ancora più male procurandoti un altro lutto.»
La collera di Islanzadi sbollì, lasciandole il volto pallido e le spalle curve. «Sono mortificata» mormorò. Una folata d'aria umida e bollente investì Eragon quando il drago dorato si chinò per esaminarlo con occhi scintillanti. Finalmente ci incontriamo, Eragon Ammazzaspettri. Io sono Glaedr. La voce del drago - un maschio, senza ombra di dubbio - rimbombò nella mente di Eragon con il fragore di una valanga di montagna.
Eragon non potè far altro che portarsi le dita alle labbra e dire: «Sono onorato.»
Poi Glaedr spostò la sua attenzione su Saphira. La dragonessa rimase perfettamente immobile, con il collo rigido e inarcato, mentre Glaedr le annusava la guancia e il profilo dell'ala. Eragon vide i muscoli contratti di Saphira percorsi da un involontario tremore. Hai l'odore degli umani, disse Glaedr, e tutto quello che sai della tua razza è dovuto soltanto a quanto il tuo istinto ti ha insegnato, ma in te c'è il cuore di un vero drago.
Durante questo scambio silenzioso, Orik si presentò a Oromis. «In tutta sincerità, questo va ben oltre quanto avrei mai osato sperare. Rappresenti una lieta sorpresa in questi tempi bui, Cavaliere.» Si batte il pugno sul cuore. «Se non è troppo arrogante, vorrei chiederti un favore in nome del mio re e del mio clan, com'era usanza fra i nostri popoli.» Oromis annuì. «E io te lo concederò, se mi è possibile.»
«Allora dimmi: perché sei rimasto nascosto per tutti questi anni? Avevamo un grande bisogno di te, Argetlam.» «Ah» fece Oromis. «Esistono molti dispiaceri a questo mondo, e uno dei più grandi è non poter aiutare coloro che soffrono. Non potevo rischiare di abbandonare questo rifugio, perché se fossi morto prima che un uovo di Galbatorix si schiudesse, non sarebbe rimasto nessuno a tramandare i nostri segreti al nuovo Cavaliere, e sarebbe stato ancor più arduo sconfiggere il tiranno.»
«Era questo il motivo?» esclamò Orik, indignato. «Queste sono le parole di un codardo! Le uova avrebbero potuto non schiudersi mai.»
Calò un silenzio di tomba, interrotto soltanto da un cupo ringhio proveniente dalle zanne di Glaedr. «Se non fossi mio ospite» tuonò Islanzadi, «ti avrei colpito io stessa per questo insulto.»
Oromis tese le braccia. «Nessuna offesa. È una reazione comprensibile. Ma devi capire, Orik, che Glaedr e io non possiamo combattere. Glaedr ha la sua mutilazione, e anch'io...» si toccò un lato della testa, «anch'io sono menomato. I Rinnegati hanno spezzato qualcosa dentro di me, mentre ero loro prigioniero, e pur essendo ancora in grado di insegnare e apprendere, non posso più controllare la magia, a parte qualche incantesimo minore. I poteri mi sfuggono, per quanto io mi sforzi. Sarei più che inutile in battaglia; sarei un anello debole, un peso, qualcuno da catturare facilmente e usare contro di voi. Perciò mi sono sottratto all'influenza di Galbatorix, anche se desideravo combatterlo con tutto me stesso.»
«Lo Storpio Che è Sano» mormorò Eragon.
«Perdonami» disse Orik, con espressione contrita.
«Non c'è nulla da perdonare.» Oromis posò una mano sulla spalla di Eragon. «Islanzadi Dròttning, col tuo permesso...» «Andate» disse la regina con un filo di voce. «Andate e portate a compimento l'opera.»
Glaedr si accucciò sul terreno, e Oromis si arrampicò sulla sua zampa per poi montare in sella. «Venite, Eragon e Saphira. Abbiamo tante cose da dirci.» Il drago dorato spiccò il volo dalla rupe e girò in circolo, sollevando una corrente d'aria. Eragon e Orik si strinsero gli avambracci con aria solenne. «Fa' onore al tuo clan» disse il nano. Mentre saliva in groppa a Saphira, Eragon ebbe la sensazione di imbarcarsi per un lungo viaggio, e che avrebbe dovuto dire addio a coloro che restavano indietro. Tuttavia si limitò a guardare Arya e a sorridere, lasciando che fossero la gioia e la meraviglia a parlare per lui. Lei aggrottò la fronte, come preoccupata, ma lui era già in alto, trasportato verso il cielo dalla bramosìa del volo di Saphira.
I due draghi seguirono la bianca rupe verso nord per diverse miglia, accompagnati soltanto dal rumore delle loro ali. Saphira volava fianco a fianco con Glaedr. Il suo entusiasmo ribolliva nella mente di Eragon, acutizzando anche le sue emozioni.
Atterrarono in un'altra radura situata ai margini della rupe, appena prima che la parete di roccia nuda tornasse a sprofondare nella terra. Un sentiero brullo conduceva dal precipizio ai gradini di un basso capanno, cresciuto fra i tronchi di quattro alberi, uno dei quali si biforcava su un torrente che emergeva dagli oscuri recessi della foresta. Glaedr non poteva entrare nel rifugio; semmai, il capanno sarebbe entrato sotto il suo torace.
«Benvenuti a casa mia» disse Oromis nello smontare di sella con straordinaria agilità. «Io vivo qui, ai margini della rupe di Tel'naeir, perché questo luogo mi offre l'opportunità di pensare e studiare in pace. La mia mente funziona meglio, lontano da Ellesméra e dalle distrazioni degli altri individui.»
Scomparve all'interno del capanno, poi tornò con due sgabelli e boccali d'acqua pura e fresca. Fra un sorso e l'altro, Eragon ammirò il vasto panorama della Du Welden-varden nel tentativo di nascondere l'emozione e il nervosismo che provava, aspettando che l'elfo parlasse. Sono in presenza di un altro Cavaliere! Al suo fianco, Saphira si accucciò con gli occhi fissi su Glaedr, vangando distrattamente il terriccio con gli artigli.
La pausa nella conversazione si allungava sempre di più. Passarono dieci minuti, mezz'ora e poi un'ora. A un certo punto, Eragon cominciò a misurare lo scorrere del tempo in base ai progressi del sole. Al principio la sua mente era affollata di quesiti e pensieri, ma alla fine questi cedettero a una serena rassegnazione. Si limitò a godersi la giornata. Soltanto allora Oromis disse: «Conosci il valore della pazienza. Bene.»
Ci volle qualche istante perché Eragon recuperasse la voce. «Non puoi fare la posta a un cervo se vai di fretta.» Oromis posò il suo boccale. «Giusto. Fammi vedere le tue mani. Sai, le mani dicono molto di una persona.» Eragon si tolse i guanti e lasciò che l'elfo gli prendesse i polsi con le dita lunghe e scarne. Oromis esaminò i calli di Eragon e disse: «Correggimi se sbaglio. Hai impugnato falci e forconi molto più spesso di una spada, anche se sei abituato a maneggiare l'arco.»
«Giusto.»
«E hai scritto o disegnato assai poco.»
«Brom mi ha insegnato a leggere a Teirm.»
«Mmm. A parte la scelta degli attrezzi, mi sembra evidente che tendi a gettarti a capofitto nelle situazioni senza badare alla tua incolumità.»
«Cosa te lo fa credere, Oromis-elda?» chiese Eragon, usando l'appellativo più rispettoso e formale. «Non elda» lo corresse Oromis. «Puoi chiamarmi maestro in questa lingua, oppure ebrithil nell'antica lingua, sarà sufficiente. Porgerai la stessa cortesia a Glaedr. Noi siamo i tuoi insegnanti; e voi i nostri allievi. Vi comporterete con rispetto e deferenza.» Oromis usò un tono gentile, ma con l'autorità di chi si aspetta obbedienza incondizionata. «Sì, maestro Oromis.»
«Vale lo stesso per te, Saphira.»
Eragon percepì quanto fosse difficile per Saphira rinunciare al suo orgoglio abbastanza da dire Sì, maestro. Oromis annuì. «Ora a noi. Chiunque abbia una tale collezione di cicatrici è stato perseguitato dalla sfortuna o combatte come un demonio, oppure insegue deliberatamente il pericolo. Combatti come un demonio?»
«No.»
«Né mi sembri perseguitato dalla sfortuna, anzi, tutt'altro. Questo lascia spazio a un'unica spiegazione. A meno che non la pensi diversamente.»
Eragon ripercorse le esperienze avute a casa e durante i suoi viaggi, nel tentativo di catalogare il proprio comportamento. «Direi piuttosto che quando mi prefiggo un obiettivo, voglio realizzarlo a tutti i costi... specie se qualcuno che amo si trova in pericolo.» Il suo sguardo guizzò dalla parte di Saphira.
«Ti piace dunque intraprendere strade pericolose?»
«Mi piacciono le sfide.»
«Quindi provi il desiderio di cimentarti nelle avversità per mettere alla prova le tue capacità.»
«Mi piace vincere le sfide, ma ho affrontato abbastanza traversie da sapere che è sciocco rendere le cose più difficili di quanto già non siano. È quanto posso fare per sopravvivere.»
«Eppure hai scelto di inseguire i Ra'zac, quando sarebbe stato più facile restare nella Valle Palancar. E sei venuto qui.» «Era la cosa giusta da fare... maestro.»