Volodyk - Paolini2-Eldest
«Mio padre è stato ucciso dai profanatori. Mio cugino è fuggito. La mia fattoria è stata rasa al suolo. E la mia promessa sposa è stata rapita dal suo stesso padre, che ha ucciso Byrd e ci ha traditi tutti! Quimby divorato, il granaio del villaggio bruciato insieme alle case di Delwin e Fisk. Parr, Wyglif, Ged, Bardrick, Farold, Hale, Garner, Kelby, Melkolf, Albem ed Elmund: tutti morti. Molti di voi, come me, sono stati feriti e non sono più in grado di mantenere le proprie famiglie. Non bastava che dovessimo sgobbare ogni giorno della nostra vita per strappare un misero sostentamento alla terra, soggetti ai capricci della natura? Non bastava che dovessimo pagare le tasse onerose di Galbatorix senza vederci adesso costretti a subire questi insensati tormenti?» Roran scoppiò in una risata isterica, ululando al cielo e ascoltando la follia nella propria voce. Nessuno si mosse.
«Ora conosco la vera natura dell'Impero e di Galbatorix: essi sono il male. Galbatorix è una piaga purulenta sulla faccia della terra. Ha distrutto i Cavalieri e cancellato la pace e la prosperità. I suoi servi sono demoni ripugnanti generati da chissà quale nero abisso. Ma Galbatorix si contenta di schiacciarci sotto il suo tallone? No! Lui vuole avvelenare tutta Alagaésia, soffocarci sotto una coltre di miseria. I nostri figli e i loro discendenti dovranno vivere all'ombra delle sue tenebre fino alla fine dei tempi, ridotti in schiavitù come vermi, come insetti da torturare a suo piacimento. A meno che...»
Roran scrutò gli occhi sgranati dei compaesani, consapevole di tenerli tutti col fiato sospeso. Nessuno aveva mai avuto il coraggio di dire quello che lui stava proclamando a gran voce. Abbassò il tono in un sussurro roco. «A meno che non decidiamo di opporci al male.
«Abbiamo combattuto contro i soldati e contro i Ra'zac, ma questo non avrà alcun significato se moriremo soli e dimenticati... o verremo condotti via in catene. Non possiamo restare qui, e non permetterò che Galbatorix distrugga tutto quello per cui vale la pena di vivere. Preferirei farmi cavare gli occhi e mozzare le mani piuttosto che vedere il suo trionfo! Io scelgo di combattere! Io scelgo di uscire dalla mia tomba e di lasciare che i miei nemici ci si seppelliscano dentro!
«Io scelgo di lasciare Carvahall.
«Attraverserò la Grande Dorsale fino a Narda, dove prenderò una nave fino al Surda. Lì mi unirò ai Varden, che da decenni combattono per liberarci dall'oppressione.» La curiosità e la sorpresa dei contadini si trasformarono in sgomento a quell'idea. «Ma non vorrei andare da solo. Venite con me. Venite con me e cogliete l'occasione di plasmare una nuova vita per voi stessi. Liberatevi dai vincoli che vi tengono inchiodati qui.» Roran puntò il dito verso la folla, facendolo scorrere da un individuo all'altro. «Fra cento anni a partire da adesso, quali nomi affioreranno sulle labbra dei bardi? Horst... Brigit... Kiselt... Thane; canteranno le nostre gesta. Canteranno La leggenda di Carvahall, poiché saremo stati l'unico villaggio abbastanza coraggioso da sfidare l'Impero.»
Lacrime di orgoglio colmarono gli occhi di Roran. «Cosa c'è di più nobile che cancellare la turpe macchia di Galbatorix dalle terre d'Alagaésia? Non vivremo più nel terrore che le nostre fattorie vengano distrutte, o di essere uccisi e divorati. Il grano che mieteremo sarà nostro, e quello che avanzerà lo manderemo in omaggio a un re giusto e misericordioso. I fiumi e i torrenti abbonderanno d'oro. Saremo per sempre felici e contenti!
«È il nostro destino!»
Roran alzò la mano davanti alla faccia e lentamente chiuse le dita sulle mezzelune sanguinanti. Rimase immobile, chino sotto il peso della spalla ferita e delle decine di sguardi, in attesa di una risposta al suo discorso. Nessuno parlò. Alla fine si rese conto che volevano che continuasse; volevano sentire ancora parlare della causa e del futuro che aveva tracciato.
Katrina.
Mentre le tenebre s'infittivano intorno al cono di luce della torcia, Roran raddrizzò le spalle e riprese a parlare. Non nascose niente, ma s'impegnò con tutte le sue forze per far capire loro i suoi pensieri e i suoi sentimenti, perché potessero condividere il senso di missione che lo spingeva. «La nostra epoca volge al termine. Dobbiamo compiere un nuovo passo e unirci ai Varden, se vogliamo vivere liberi, insieme ai nostri figli.» Parlava alternando toni dolci e rabbiosi, ma sempre con grande fervore, per tenere avvinto il suo pubblico.
Quando ebbe esaurito la sua scorta di immagini, Roran guardò i volti dei suoi amici e vicini, e disse: «Partirò fra due giorni. Venite con me, se volete, ma io andrò in ogni caso.» Chinò il capo e si allontanò dalla torcia. La luna calante si affacciò da dietro un banco di nubi. Una leggera brezza si levò a spazzare il villaggio. Un segnavento di ferro cigolò su un tetto nel seguire la direzione del refolo.
Dalla folla si staccò Brigit, che entrò nel cono di luce, tenendosi l'orlo della veste sollevato per non inciampare. Con espressione rapita, si sistemò lo scialle. «Oggi abbiamo visto un...» S'interruppe, scrollò il capo ed emise una risatina imbarazzata. «Mi è difficile parlare dopo Roran. Non mi piace il suo piano, ma lo ritengo necessario, anche se per ragioni diverse: voglio trovare i Ra'zac e vendicare la morte di mio marito. Andrò con lui. E porterò con me i miei figli.» E fece un passo indietro.
Passò un lungo minuto di silenzio, poi si fecero avanti Delwin e sua moglie Lenna, tenendosi abbracciati. Lenna guardò Brigit e disse: «Ti capisco, sorella. Anche noi vogliamo vendetta, ma più di tutto vogliamo che gli altri nostri figli sopravvivano. Per questa ragione andremo.» Molte altre vedove di mariti uccisi si fecero avanti ed espressero la volontà di partire.
I contadini mormorarono tra di loro, poi tacquero e restarono immobili. Nessun altro sembrava disposto ad affrontare l'argomento: era troppo. Roran li capiva. Anche lui stava ancora cercando di elaborare le implicazioni. Alla fine, Horst si avvicinò alla torcia e fissò le fiamme con uno sguardo severo. «Non serve parlare oltre... Ci occorre tempo per pensare. Ognuno di noi deve decidere da solo. Domani... domani sarà un altro giorno. Forse allora le cose saranno più chiare.» Scosse il capo e levò la torcia, poi la capovolse e la spense nel terreno, lasciando gli altri a ritrovare la strada di casa al chiaro di luna.
Roran si unì ad Albriech e Baldor, che camminavano dietro i genitori a una certa distanza, per lasciarli parlare indisturbati. Nessuno dei due fratelli guardò Roran. Turbato dalla loro mancanza di espressione, Roran domandò: «Credete che verrà qualcun altro? Sono stato abbastanza convincente?»
Albriech latrò una risata. «Abbastanza convincente!»
«Roran» disse Baldor con voce strana, «stanotte avresti convinto un Urgali a mettersi a fare il contadino!» «No!»
«Quando hai finito, ero pronto ad afferrare una lancia e a correre sulla Dorsale insieme a te. E non sarei stato il solo. La domanda non è chi verrà, ma chi non lo farà. Quello che hai detto... non ho mai sentito niente del genere prima d'ora.» Roran aggrottò la fronte. Il suo obiettivo era stato quello di persuadere il villaggio ad abbracciare il suo piano, non a seguirlo ciecamente. Se è questo che vogliono, si disse con una scrollata di spalle. Eppure la prospettiva lo aveva colto impreparato. Qualche tempo prima si sarebbe sentito turbato, ma adesso era disposto ad accettare qualunque cosa lo aiutasse a salvare Katrina e i suoi compaesani.
Baldor si avvicinò al fratello. «Papà perderà la maggior parte dei suoi attrezzi.» Albriech annuì con aria solenne. Roran sapeva che i fabbri si costruivano da soli gli strumenti necessari, e che quegli strumenti formavano un lascito che veniva tramandato di padre in figlio, o di padrone in apprendista. La ricchezza e la maestria di un fabbro si misuravano in base al numero dei suoi attrezzi. Per Horst abbandonare i suoi sarebbe stato... Non sarebbe stato più duro che per chiunque altro, pensò Roran. Il suo unico rammarico era che questo avrebbe significato privare Albriech e Baldor della loro eredità.
Quando arrivarono a casa, Roran si ritirò in camera di Baldor e si sdraiò sul letto. Attraverso le pareti, sentiva le voci di Horst ed Elain che parlavano piano. Si addormentò pensando che simili conversazioni si stavano svolgendo in ogni casa di Carvahall, decidendo il suo - e il loro
destino.
Preparativi
La mattina dopo il suo discorso, Roran guardò fuori dalla finestra e vide dodici uomini uscire da Carvahall, diretti verso le Cascate di Igualda. Sbadigliò e scese in cucina zoppicando.
Horst era seduto al tavolo, da solo, intento a rigirarsi un boccale di birra fra le mani, «'giorno» disse. Roran rispose con un cenno, staccò un pezzo di pane dalla pagnotta che c'era sul bancone e si sedette dall'altro lato del tavolo. Notò gli occhi iniettati di sangue e la barba incolta di Horst, e capì che il fabbro era rimasto sveglio tutta la notte. «Sai perché quel gruppo sta salendo...»
«Devono parlare con le famiglie» tagliò corto Horst. «È dall'alba che la gente continua ad andare sulla Grande Dorsale.» Sbatte il boccale sul tavolo con un sonoro crack. «Tu non hai idea di cosa hai fatto, Roran, chiedendoci di partire. Tutto il villaggio è in subbuglio. Ci hai messi con le spalle al muro, e con un'unica via di uscita: la tua. Certi ti odiano per questo. Be', un discreto numero di compaesani già ti odiava prima per essere stato la causa di tanta sventura.»
Il pane nella bocca di Roran prese il sapore della segatura e lui si sentì pervadere dal risentimento. È stato Eragon a portare qui la pietra, non io. «E gli altri?»
Horst bevve un sorso di birra e sogghignò. «Gli altri ti adorano. Non avrei mai creduto di vedere il giorno in cui il figlio di Garrow avrebbe infiammato il mio cuore con le sue parole, ma l'hai fatto, ragazzo, ah, se l'hai fatto!» Indicò la stanza con un ampio gesto della mano. «Vedi tutto questo? L'ho costruito per Elain e i nostri figli. Mi ci sono voluti sette anni per finirla! Vedi quella trave sulla porta? Mi sono rotto tre dita per metterla a posto. E sai una cosa? Sto per abbandonare tutto a causa di quello che hai detto ieri sera.»
Roran rimase in silenzio; era quello che voleva. Lasciare Carvahall era la cosa giusta da fare, e poiché si sarebbe dedicato anima e corpo a quell'impresa, non vedeva ragione di tormentarsi con sensi di colpa e rimpianti. La decisione è stata presa. Accetterò le conseguenze senza lamentarmi, anche se saranno durissime, perché questo è l'unico modo per sfuggire all'Impero.
«Ma» disse Horst, appoggiandosi su un gomito per rivolgere gli ardenti occhi neri su di lui, «ricorda che se la realtà non corrisponderà ai sogni di gloria che hai evocato, dovrai pagarne lo scotto. Se dai alle persone una speranza e poi gliela sottrai, ti distruggeranno.»
La prospettiva non turbava affatto Roran. Se riusciremo a raggiungere il Surda, saremo accolti come eroi dai ribelli. Quando capì che il fabbro aveva concluso, Roran gli chiese: «Dov'è Elain?»
Horst si accigliò per l'improvviso cambio d'argomento. «Fuori, sul retro.» Si alzò e si lisciò la tunica sulle spalle possenti. «Devo smantellare la fucina e decidere quali attrezzi portarmi dietro. Nasconderò o distruggerò il resto. L'Impero non approfitterà del mio lavoro.»
«Ti aiuto.» Roran spinse indietro la sedia.
«No» ribatte Horst in tono brusco. «Questo è un lavoro che posso fare soltanto con Albriech e Baldor. La fucina è tutta la mia vita, e la loro... E comunque, non mi saresti di grande aiuto con quel braccio. Resta qui. Puoi sempre dare una mano a Elain.»
Quando il fabbro se ne andò, Roran aprì la porta posteriore della cucina e trovò Elain che parlava con Gertrude vicino alla grande catasta di legna che Horst teneva alimentata tutto l'anno. La guaritrice si avvicinò a Roran e gli mise una mano sulla fronte. «Ah, temevo che ti venisse la febbre dopo tutti gli strapazzi di ieri. La tua famiglia ha una fibra straordinaria. Ancora ricordo come rimasi di stucco quando Eragon cominciò a camminare con quelle gambe tutte piagate dopo appena due giorni di letto.» Roran s'irrigidì sentendo nominare il cugino, ma lei parve non farci caso. «Vediamo coma va la spalla, d'accordo?»
Roran piegò il capo in avanti perché Gertrude potesse sciogliergli dietro al collo il nodo della benda che gli sosteneva il braccio. Abbassò adagio l'avambraccio destro immobilizzato con una stecca - fino a raddrizzare completamente l'arto. Gertrude infilò le dita nell'impiastro che gli aveva applicato sulla ferita e le tolse.
«Oh, santo cielo» disse lei.
Subito si diffuse un fetore acre e rancido. Roran strinse i denti per la nausea, poi abbassò lo sguardo verso la spalla. La pelle sotto l'impiastro era diventata bianca e spugnosa, come una gigantesca voglia del colore di una larva. Il morso era stato suturato mentre ancora era svenuto, perciò non vide altro che una linea rosa frastagliata incrostata di sangue. Per via del gonfiore e dell'infiammazione, il filo dei punti era affondato nella carne, che stillava gocce di siero. Gertrude fece schioccare la lingua mentre lo ispezionava, poi rifece la fasciatura e guardò Roran negli occhi. «Va abbastanza bene, ma i tessuti potrebbero infettarsi. Non so ancora dirlo con precisione. Se dovesse accadere, dovremo cauterizzare la ferita.»
Roran annuì. «Una volta guarito, il braccio tornerà come prima?»
«Purché il muscolo si rimargini a dovere. E dipende anche da quale uso vuoi farne. Tu...»
«Riuscirò a combattere?»
«Se vuoi combattere» disse Gertrude in tono sommesso, «ti suggerisco di usare la mano sinistra.» Gli diede un buffetto su una guancia, poi si avviò in fretta verso la sua capanna.
Il mio braccio. Roran fissò l'arto immobilizzato come se non gli appartenesse più. Fino a quel momento, non si era mai reso conto di quanto la sua identità fosse legata alle condizioni del suo corpo. Una ferita alla carne provocava una ferita alla psiche, e viceversa. Roran andava fiero del proprio fisico, e nel vederlo straziato ebbe paura, specie perché il danno era permanente. Se anche avesse recuperato l'uso del braccio, avrebbe per sempre portato una grossa cicatrice come memoria della ferita.
Prendendolo per mano, Elain lo ricondusse in casa, dove sminuzzò della menta in un bollitore che poi mise sulla stufa. «L'ami davvero, non è così?»
«Cosa?» Roran la guardò, confuso.
Elain si mise una mano sul pancione. «Katrina.» Sorrise. «Non sono cieca. Ho visto cos'hai fatto per lei, e sono orgogliosa di te. Non sono molti gli uomini che avrebbero fatto altrettanto.»
«Non conta niente, se non posso liberarla.»
Il bollitore cominciò a fischiare. «Lo farai, ne sono sicura... in un modo o nell'altro.» Elain versò l'infuso. «Sarà meglio cominciare a prepararci per il viaggio. Per prima cosa, mi occuperò della cucina. Tu, nel frattempo, va' di sopra e prendi tutta la biancheria e gli indumenti che pensi possano tornarci utili.»