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Volodyk - Paolini2-Eldest

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«Ma perché? Sarebbe stato grave se qualcuno avesse saputo?»

Questa volta Arya esitò. «Quando lasciai Ellesméra, non avevo alcun desiderio di ricordare il mio rango. Né mi sembrava rilevante ai fini della mia missione con i Varden e i nani. Non aveva niente a che vedere con chi sono diventata... con chi sono.» Scoccò un'occhiata alla regina.

«Almeno a me e a Saphira avresti potuto dirlo.»

Arya sembrò irritarsi per il tono di rimprovero nella sua voce. «Non avevo ragione di supporre che la mia posizione rispetto a Islanzadi fosse migliorata, e dirvelo non avrebbe cambiato niente. I miei pensieri restano miei e basta, Eragon.» Il giovane arrossì per il significato implicito nella frase: perché mai lei - una principessa elfica con incarichi diplomatici, più vecchia di quanto potevano esserlo suo padre e suo nonno, chiunque fossero - doveva confidarsi con lui, un umano di appena sedici anni?

«Se non altro» mormorò lui, «hai fatto pace con tua madre.»

Lei gli rivolse uno strano sorriso. «Avevo scelta?»

In quel momento, Blagden saltò dalla spalla di Islanzadi e trotterellò al centro del tavolo, facendo guizzare la testa a destra e a sinistra in una parodia di inchino. Si fermò davanti a Saphira, diede in un colpetto di tosse rauca, e gracchiò: I draghi, come le brocche,

Hanno ventri bombati.

I draghi, come i fiaschi,

Hanno colli allungati.

Ma i primi due portano birra da bere,

Gli altri sanno solo mangiare!

Gli elfi rimasero impietriti e mortificati, aspettando la reazione di Saphira. Dopo un lungo silenzio, la dragonessa alzò gli occhi dal pasticcio di mele cotogne ed esalò uno sbuffo di fumo che avvolse Blagden. Specie i pennuti, disse, proiettando i suoi pensieri affinchè tutti sentissero. Gli elfi si rilassarono con una sonora risata, mentre Blagden ondeggiava, gracchiando indignato e sbattendo le ali per dissipare il fumo. «Chiedo scusa per i versi impertinenti di Blagden» disse Islanzadi. «Ha sempre avuto la lingua tagliente, per quanto abbiamo provato a smussarla.» Scuse accettate, rispose Saphira con calma, e tornò al suo pasticcio. «Da dove viene?» chiese Eragon, desideroso di tornare a termini più cordiali con Arya, ma spinto anche da sincera curiosità. «Blagden» disse Arya «una volta salvò la vita di mio padre. Evandar stava combattendo contro un Urgali quando inciampò e perse la spada. Ma prima che l'Urgali avesse il tempo di colpire, un corvo si avventò su di lui e gli cavò gli occhi. Nessuno sa perché l'uccello compì quel gesto, ma la distrazione consentì a Evandar di recuperare il controllo e vincere la battaglia. Mio padre è sempre stato molto generoso: così ringraziò il corvo benedicendolo con un incantesimo di intelligenza e lunga vita. Tuttavia la magia ebbe due effetti che non aveva previsto: Blagden perse il colore del piumaggio e ottenne la facoltà di predire alcuni eventi.»

«Può vedere il futuro?» chiese Eragon, allibito. «Vedere? No. Diciamo che a volte può percepire cosa sta per accadere. A ogni buon conto, parla sempre per enigmi, la maggior parte dei quali sono soltanto un mucchio di sciocchezze. Ma ricorda, se Blagden viene da te e ti dice qualcosa che non è un indovinello o una battuta di spirito, allora sarà meglio che tu faccia tesoro delle sue parole.» Una volta concluso il pasto, Islanzadi si alzò - imitata subito dagli altri in un frastuono di sedie - e disse: «S'è fatto tardi. Sono stanca e desidero tornare nella mia alcova. Saphira, Eragon, accompagnatemi, così vi mostrerò dove potrete dormire per stanotte.» La regina fece un cenno con la mano ad Arya, poi lasciò la tavola. Arya la seguì.

Quando Eragon aggirò il tavolo insieme a Saphira, si fermò davanti alla vecchia-bambina, rapito dai suoi occhi felini. Ogni dettaglio del suo aspetto, dagli occhi e dai capelli ispidi ai candidi denti aguzzi, suscitò in Eragon un ricordo. «Sei una gatta mannara, non è vero?» Lei battè le palpebre una volta, poi scoprì i denti in un sorriso pericoloso. «Ho conosciuto uno della tua specie, Solembum. L'ho incontrato a Teirm e nel Farthen Dùr.»

Il suo ghigno si allargò. «Già. Un tipo in gamba. Gli umani mi annoiano, ma lui trova divertente viaggiare con Angela l'indovina.» Poi il suo sguardo si posò su Saphira, ed emise un borbottio di gola simile alle fusa per mostrare apprezzamento.

Come ti chiami? chiese Saphira.

«I nomi sono qualcosa di molto potente qui nella Du Weldenvarden, cara la mia dragonessa. Tuttavia... fra gli elfi, sono conosciuta come l'Osservatrice, oppure Zampalesta, o anche la Danzatrice dei Sogni, ma voi potete chiamarmi Maud.» Scrollò la criniera di ispide ciocche bianche. «Fareste meglio a raggiungere la regina, fanciullini; non ha simpatia per gli sciocchi o i pelandroni.»

«È stato un piacere conoscerti, Maud» disse Eragon con un inchino. Anche Saphira fece un cenno con la testa. Eragon guardò Orik, chiedendosi dove avrebbero alloggiato il nano, poi si affrettò a seguire Islanzadi. Raggiunsero la regina proprio mentre lei arrivava alla base di un albero. Il tronco era solcato da una delicata scala a chiocciola che risaliva a spirale verso una serie di stanze globulari sostenute sulla cima dell'albero da un ventaglio di rami.

Islanzadi alzò una mano elegante e indicò il nido. «Tu dovrai volare fin lassù, Saphira. Le nostre scale non sono state costruite pensando ai draghi.» Poi si rivolse a Eragon. «Questi sono gli alloggi destinati al capo dei Cavalieri dei Draghi in visita a Ellesméra. Li concedo a te adesso, poiché sei il legittimo erede di quel titolo... È la tua eredità.» Eragon non fece nemmeno in tempo a ringraziarla, perché la regina si voltò e si allontanò insieme ad Arya, che lo guardò per un lungo momento prima di venire inghiottita dalla città.

Andiamo a vedere come ci hanno sistemati? disse Saphira, e spiccò il volo, risalendo verso la cima dell'albero e girando intorno al tronco, con la punta di un'ala perpendicolare al suolo. Quando Eragon posò il piede sul primo scalino, capì che Islanzadi aveva detto il vero: la scala era un tutt'uno con l'albero. La corteccia era liscia e piatta per tutti i piedi elfici che l'avevano calpestata, ma faceva ancora parte del tronco, come le intricate colonnine a tortiglione della balaustra e il curvo corrimano che gli scivolava sotto il palmo.

Poiché la scala era stata costruita tenendo a mente la forza degli elfi, era più ripida di quanto Eragon fosse abituato, e ben presto cominciarono a bruciargli le cosce e i polpacci. La salita fu così faticosa che quando raggiunse la cima dopo aver varcato una botola sul pavimento di una delle stanze - si appoggiò le mani sulle ginocchia, piegato in due per riprendere fiato. Quando si riebbe, si raddrizzò ed esaminò l'ambiente.

Si trovava in un vestibolo circolare con un piedistallo al centro, su cui si ergeva una scultura raffigurante due braccia e due mani che si levavano al cielo avvolgendosi su se stesse senza toccarsi. Tre porte scorrevoli separavano il vestibolo da altrettante stanze: un'austera sala da pranzo che poteva contenere al massimo dieci persone, un camerino con un'ampia cavità al centro del pavimento che Eragon non capì a cosa servisse, e infine una camera da letto che si affacciava sull'immensa distesa della Du Weldenvarden.

Eragon sganciò una lanterna dal soffitto ed entrò nella camera da letto, proiettando una serie di ombre che saltavano e vorticavano come danzatori impazziti. Sulla parete esterna era stata ricavata un'apertura a forma di goccia, abbastanza grande da far passare un drago. Nella stanza c'erano un letto, disposto in modo da poter guardare il cielo e la luna stando distesi; un caminetto fatto di legno grigio, duro e freddo come l'acciaio al tatto, come se il legno fosse stato pressato fino a ottenere una densità inimmaginabile; e un'enorme pedana, rivestita di morbide coperte, dove avrebbe dormito Saphira.

Proprio in quel momento, la dragonessa piombò dal cielo per atterrare davanti all'apertura, le squame sfavillanti come una costellazione di astri azzurri. Dietro di lei, gli ultimi raggi di sole screziavano la foresta, tingendo le colline di una soffusa luce ambrata che faceva scintillare gli aghi di pino come fossero incandescenti e scacciava le ombre verso l'orizzonte violetto. Da quell'altezza, la città appariva come una serie di squarci nel fitto fogliame della foresta, isole di quiete in un oceano in movimento. Per la prima volta vedevano l'intera superficie di Ellesméra, che si estendeva per parecchie miglia a ovest e a nord.

Rispetto i Cavalieri ancora di più se così era solito vivere Vrael, disse Eragon. È molto più semplice di come mi aspettavo. L'intera struttura ondeggiò per una lieve raffica di vento.

Saphira annusò le coperte. Ma dobbiamo ancora vedere Vroengard, gli rammentò lei, anche se in fondo era d'accordo. Quando Eragon chiuse la porta della camera da letto, notò qualcosa in un angolo che in principio gli era sfuggito: una scala a chiocciola che si attoreigliava intorno a una canna fumaria di legno scuro. Tenendo la lanterna sospesa davanti a sé, cominciò a salire con cautela, un passo alla volta. A un'altezza di venti piedi, emerse in uno studio arredato con una scrivania - coperta di calami, inchiostro e carta, ma niente pergamena - e un altro posatoio imbottito per draghi. Anche lì, la parete di fondo aveva un varco di accesso.

Saphira, vieni a vedere.

Come faccio? disse lei.

Da fuori. Eragon sentì la corteccia gemere e scricchiolare sotto gli artigli, mentre Saphira si arrampicava dalla camera da letto fino allo studio. Soddisfatta? disse lui al suo arrivo. Saphira gli scoccò un'occhiata di zaffiro fiammeggiante, poi si accinse a esaminare le pareti e la mobilia.

Mi chiedo, disse lei, come fa uno a ripararsi dal freddo se tutte le stanze sono esposte agli elementi.

Non lo so. Eragon esaminò le pareti su entrambi i lati dell'apertura, facendo scorrere le mani su astratti disegni ricavati nell'albero grazie alle canzoni degli elfi. Si fermò quando avvertì una scanalatura verticale nella corteccia. La tirò, e una membrana diafana si srotolò dalla parete. Tendendola attraverso il varco, trovò una seconda scanalatura dove inserire il bordo del tessuto. Non appena l'ebbe chiusa, l'aria si fece più densa e notevolmente più calda. Ecco la risposta, disse. Lasciò andare la membrana, che si richiuse con uno schiocco nel suo alloggiamento.

Quando tornarono nella stanza da letto, Eragon disfece lo zaino, mentre Saphira si raggomitolava sulla pedana. Il giovane ripose con cura lo scudo, i bracciali, gli schinieri, la calotta e l'elmo, poi si sfilò la tunica e si tolse la cotta di maglia foderata di cuoio. Si sedette a torso nudo sul letto e studiò le maglie oliate, colpito dalla loro somiglianza con le squame di Saphira.

Ce l'abbiamo fatta, disse, assorto.

Un lungo viaggio... ma sì, ce l'abbiamo fatta. Siamo stati fortunati a non aver incontrato ostacoli sul cammino. Lui annuì. Ora scopriremo se ne è valsa la pena. A volte mi chiedo se non avremmo impiegato meglio il nostro tempo aiutando i Varden.

Eragon! Sai benissimo che devi approfondire la tua istruzione. Brom avrebbe voluto così. Per giunta, valeva la pena di fare tutto questo viaggio anche solo per vedere Ellesméra e Islanzadi.

Può darsi. Poi chiese: Che ne pensi di tutta quanta la situazione? Saphira schiuse appena le labbra sui denti aguzzi. Non lo so. Gli elfi hanno più segreti di Brom, e con la magia sanno fare cose che non avrei mai pensato possibili. Non ho idea di quali metodi usino per far crescere gli alberi con queste forme, o come Islanzadi abbia evocato la pioggia di fiori. Va oltre la mia comprensione.

Eragon si sentì sollevato nello scoprire che non era il solo a sentirsi intimidito. E Arya?

Che cosa vorresti dire?

Sai, ora che sappiamo chi è in realtà.

Non è cambiata lei, ma la percezione che tu hai di lei. Saphira emise una risatina gutturale che risuonò come pietre che sbatacchiano le une contro le altre, e appoggiò la testa sulle zampe davanti.

Ormai le stelle brillavano in cielo, e i bubbolii delle civette riecheggiavano per tutta Ellesméra. Il mondo era calmo e silenzioso mentre sprofondava nella notte liquida.

Eragon si infilò sotto le lenzuola lanuginose e allungò una mano per schermare la lanterna, poi si fermò, la mano a un soffio dal gancio. Era nella capitale degli elfi, a cento piedi da terra, disteso nel letto che un tempo era appartenuto a Vrael.

Era un pensiero sconvolgente.

Si alzò, prese la lanterna con una mano e Zar'roc con l'altra, e sorprese Saphira strisciando nel suo giaciglio e rannicchiandosi contro il suo fianco tiepido. Lei mormorò e lo coprì con un'ala vellutata, mentre il giovane spegneva la luce e chiudeva gli occhi.

Insieme si addormentarono profondamente nel cuore di Ellesméra.

Brandelli di memoria

Eragon si destò all'alba, fresco e riposato. Battè piano la mano sulle costole di Saphira, e lei sollevò l'ala. Eragon si passò una mano tra i capelli e si alzò per dirigersi all'apertura nella parete, dove si appoggiò a uno stipite, sentendo la corteccia ruvida contro la sua spalla. Sotto di lui, la foresta scintillava come un campo di diamanti, mentre ogni albero rifletteva la luce del mattino con milioni di goccioline di rugiada.

Trasalì di sorpresa quando Saphira lo superò di slancio, tuffandosi verso le chiome degli alberi, avvitandosi su se stessa come una trivella, prima di risalire e tracciare cerchi in aria, ruggendo di gioia. Buongiorno, piccolo mio. Lui sorrise, felice che lei fosse felice.

Eragon aprì la porta scorrevole della camera da letto e trovò due vassoi di cibo - perlopiù frutta - che erano stati lasciati sulla soglia durante la notte. Vicino ai vassoi c'era un cumulo di indumenti, con sopra un biglietto. Eragon ebbe difficoltà a decifrare la scrittura fluente, dato che era oltre un mese che non leggeva e aveva dimenticato alcune lettere, ma alla fine riuscì a capire.

Salute a voi, Saphira Bjartskular ed Eragon Ammazzaspettri.

Io, Bellaen del Casato di Miolandra, mi prostro e chiedo venia a te, Saphira, per questo misero pasto. Gli elfi non cacciano, e non si trova carne a Ellesméra, come in nessuna delle nostre città. Se desideri, potrai fare come facevano i draghi di un tempo, e andare a caccia nella Du Weldenvarden. Ti chiediamo soltanto di utilizzare le tue capacità predatorie nella foresta, affinchè la nostra aria e la nostra acqua restino incontaminate dal sangue. Eragon, questi abiti sono per te. Sono stati tessuti da Niduen della casa di Islanzadi, e sono il suo regalo per te. Che la fortuna vi assista,

che la pace regni nei vostri cuori,

e che le stelle vi proteggano.

Bellaen du Hljddhr

Quando Eragon riferì il messaggio a Saphira, lei disse: Non importa; non avrò bisogno di mangiare per parecchio tempo dopo la cena di ieri. Tuttavia divorò un paio di torte ai semi aromatici. Tanto per non sembrare scortese, spiegò. Dopo che Eragon ebbe finito di fare colazione, issò il fagotto di indumenti sul letto e lo aprì: scoprì due lunghe tuniche color ruggine bordate di verde acido, un paio di gambali color crema da legarsi ai polpacci, e tre paia di calze così morbide che quando se le fece scorrere fra le dita parvero liquide. La qualità dei tessuti era tale da far impallidire le filatrici di Carvahall e da far sembrare rozzi gli abiti dei nani che indossava.

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