Volodyk - Paolini2-Eldest
L'aria era immota quando raggiunsero il lago Ardwen, e la distesa d'acqua era liscia e piatta, uno specchio immacolato che rifletteva alberi e nuvole. L'illusione era così perfetta da dare a Eragon l'impressione di scorgere un altro mondo attraverso una finestra, e che le canoe sarebbero finite per sprofondare nel cielo riflesso. Rabbrividì al pensiero. Nella caligine che offuscava l'orizzonte, numerose imbarcazioni di corteccia di betulla sfrecciavano lungo le sponde, spinte a incredibile velocità dalla forza degli elfi. Eragon nascose la testa fra le spalle e si calò il bordo del cappuccio sul viso.
Il suo legame con Saphira diventava sempre più tenue a mano a mano che si allontanavano, finché soltanto un esile filamento di pensiero non rimase a collegarli. A sera, non riuscì più a percepire la sua presenza, pur sforzando al massimo la mente. All'improvviso, la Du Weldenvarden gli parve molto più solitària e desolata.
Con il calar delle tenebre, un miglio più avanti, comparve un grappolo di luci bianche, disseminate a diverse altezze fra gli alberi. Le luci sfolgoravano con la radiosità argentea della luna piena, misteriose e soprannaturali nella notte. «Quella è Sìlthrim» annunciò Lifaen.
Con un fievole sciabordio, un'imbarcazione scura li incrociò dalla direzione opposta, accompagnata dal "Kvetha Fricai" dell'elio al timone.
Arya accostò la sua canoa a quella di Eragon. «Ci fermeremo qui, stanotte.»
Si accamparono a una certa distanza dal lago Ardwen, dove il terreno era abbastanza asciutto per dormirci. Gli sciami di zanzare fameliche costrinsero Arya a evocare un incantesimo protettivo perché potessero mangiare in pace. Dopo cena, rimasero tutti e cinque seduti intorno al fuoco, fissando le fiamme dorate. Eragon appoggiò la testa a un albero e guardò una stella cadente solcare il cielo. Le sue palpebre stavano per chiudersi quando una voce di donna attraversò la foresta giungendo da Sìlthrim, un fievole sussurro che gli solleticò l'orecchio come una lanugine. Aggrottò la fronte e raddrizzò la schiena, per ascoltare meglio.
Come un filo di fumo che si infittisce quando un fuoco appena acceso divampa, così la voce crebbe sempre più d'intensità finché la foresta sospirò di una struggente, incostante melodia che alternava toni bassi e acuti in un selvaggio abbandono. Altre voci si fusero al canto ultraterreno, intrecciando centinaia di variazioni al tema originale. L'aria stessa sembrava vibrare al ritmo della musica tumultuosa.
Eragon si sentì percorrere la spina dorsale da brividi di euforia e terrore, suscitati dagli arcani motivi che gli ottenebravano i sensi, attirandolo nella notte vellutata. Sedotto dalle note misteriose, balzò in piedi e fece per slanciarsi nella foresta in cerca della sorgente di quelle voci, desideroso di danzare fra gli alberi e il muschio, di fare qualsiasi cosa pur di unirsi alla gioia degli elfi. Ma prima che potesse muovere un solo passo, Arya lo afferrò per un braccio e lo fece girare verso di lei. «Eragon! Sgombra la mente!» Lui si divincolò nel vano tentativo di liberarsi dalla sua stretta. «Eyddr eyreya onr!» Svuota le orecchie. All'improvviso ogni rumore cessò; era come se fosse diventato sordo. Smise di dibattersi e si guardò intorno, chiedendosi che cosa fosse successo. Dall'altra parte del falò, vide Lifaen e Nari che lottavano contro Orik, ma non sentì niente.
Eragon guardò la bocca di Arya muoversi mentre parlava, poi il suono tornò nel suo mondo con un pop, anche se non udiva più la musica. «Cosa...?» domandò, frastornato.
«Levatemi le zampe di dosso!» ringhiò Orik. Lifaen e Nari alzarono le mani e indietreggiarono.
«Ti chiedo perdono, Orik-vodhr» disse Lifaen.
Arya guardò verso Silthrim. «Ho contato male i giorni. Non volevo trovarmi vicino a nessuna città durante il Dagshelgr. I nostri festeggiamenti sono pericolosi per i mortali. Cantiamo nell'antica lingua, e le liriche intrecciano sortilegi di passione e struggimento a cui è difficile resistere, persino per noi elfi.»
Nari si agitò, a disagio. «Dovremmo trovarci in un boschetto.»
«Lo so» disse Arya, «ma faremo il nostro dovere e aspetteremo.»
Scosso, Eragon tornò a sedersi accanto al fuoco, desiderando la compagnia di Saphira; era sicuro che lei avrebbe protetto la sua mente dall'influsso della musica. «A che serve il Dagshelgr?» chiese.
Arya si sedette accanto a lui, a gambe incrociate. «Serve a mantenere la foresta sana e fertile. Ogni primavera cantiamo per gli alberi, cantiamo per le piante, e cantiamo per gli animali. Senza di noi, la Du Weldenvarden sarebbe la metà di come la vedi.» Come a conferma delle sue parole, uccelli, cervi, scoiattoli rossi e neri, tassi striati, volpi, conigli, lupi, rane, rospi, tartarughe e ogni altro animale nei pressi, abbandonarono i loro nascondigli per correre selvaggiamente intorno a loro in una cacofonia di versi e strida. «Cercano un compagno o una compagna» spiegò Arya. «In tutta la Du Weldenvarden, in tutte le nostre città, gli elfi intonano questa canzone. Più sono coloro che partecipano, più forte è l'incantesimo, e più prospera sarà la Du Weldenvarden quest'anno.»
Eragon ritrasse una mano di scatto quando un terzetto di porcospini gli trotterellò accanto a una coscia. L'intera foresta riecheggiava di suoni. Sono entrato nel mondo delle fiabe, si disse, cingendosi le ginocchia.
Orik si avvicinò al falò e alzò la voce per superare il frastuono. «Per la mia barba e la mia ascia, non mi farò controllare dalla magia contro la mia volontà. Se questo dovesse accadere di nuovo, Arya, giuro sulla cintura di pietra di Helzvog che tornerò nel Farthen Dùr e dovrete affrontare l'ira del Dùrgrimst Ingietum.»
«Non era mia intenzione farvi sperimentare il Dagshelgr» disse Arya. «Chiedo scusa per il mio errore. Tuttavia, anche se ti proteggo da questo incantesimo, non puoi sfuggire alla magia nella Du Weldenvarden. Essa permea ogni cosa.» «Purché non mi spappoli il cervello.» Orik scosse il capo e accarezzò il manico della sua ascia, scrutando le bestie selvatiche che strisciavano nelle ombre che lambivano il cono di luce del falò.
Nessuno dormì quella notte. Eragon e Orik rimasero svegli per il fracasso tremendo degli animali che continuavano a scorrazzare intorno alle tende; gli elfi perché ascoltavano la canzone. Lifaen e Narì tracciarono cerchi infiniti camminando inquieti, mentre Arya fissava la lontana Silthrim con espressione bramosa, la pelle scura tesa sugli zigomi. Dopo quattro ore di chiasso e movimento, Saphira scese dal cielo, gli occhi che le brillavano di una strana luce. Rabbrividì e inarcò il collo, ansimando con le fauci aperte. La foresta, disse, è viva. E io sono viva. Il sangue mi ribolle come mai prima d'ora. Lo sento bruciare come accade a te quando pensi ad Arya. Ora... capisco! Eragon le posò una mano sulla spalla, sentendo i brividi che la scuotevano; i suoi fianchi vibravano mentre la dragonessa mormorava a bocca chiusa la canzone. Artigliò il terreno con le unghie d'avorio, i muscoli contratti nello sforzo di restare immobile. La punta della coda guizzava, come se Saphira fosse pronta a balzare. Arya si alzò e si spostò dall'altro lato della dragonessa, mettendole una mano sull'altra spalla, e i tre rimasero così nel buio, uniti in una catena vivente.
Allo spuntar dell'alba, la prima cosa che Eragon notò furono i verdi germogli che spuntavano alle estremità dei rami. Si chinò ed esaminò le bacche bianche ai suoi piedi e scoprì che ogni pianta, grande o piccola, era cresciuta durante la notte. La foresta sfolgorava di nuovi, più ricchi colori: tutto era rigoglioso e fresco e pulito. L'aria aveva il profumo di quando è appena piovuto.
Saphira si stiracchiò al fianco di Eragon e disse: La... la febbre è passata; sono di nuovo me stessa. Ho sentito certe cose... Era come se il mondo stesse rinascendo e io partecipassi alla sua creazione con il fuoco dei miei lombi. Come stai? Dentro, voglio dire.
Mi ci vorrà del tempo per comprendere quanto ho sperimentato.
Dato che la musica era cessata, Arya sciolse l'incantesimo di protezione per Eragon e Orik e disse: «Lifaen. Nari. Andate a Silthrim a prendere dei cavalli per noi cinque. Non possiamo camminare fino a Ellesméra. Inoltre avvertite il capitano Damitha che Ceris ha bisogno di rinforzi.»
Narì s'inchinò. «E cosa le diremo quando ci chiederà perché abbiamo abbandonato il nostro posto?» «Ditele che ciò che un tempo sperava e temeva si è avverato; il wyrm si è morso la coda. Lei capirà.» I due elfi partirono per Silthrim dopo aver svuotato le canoe dalle provviste. Tre ore dopo, Eragon sentì uno schiocco secco e alzò lo sguardo, vedendoli tornare per la foresta in groppa a fieri stalloni bianchi, conducendone altri quattro identici. Le magnifiche bestie si muovevano fra gli alberi con grazia e intelligenza straordinarie; i loro mantelli rilucevano di riflessi smeraldini. Nessuno di loro aveva selle o briglie.
«Blòthr, blòthr» mormorò Lifaen, e il suo cavallo si fermò, scalpitando con gli zoccoli scuri.
«Tutti i vostri cavalli sono così eleganti?» chiese Eragon. Si avvicinò con cautela a uno di essi, colpito dalla sua bellezza. Gli animali erano poco più alti di un pony, il che rendeva loro più facile muoversi per la fitta foresta. Non sembravano spaventati da Saphira.
«Non tutti» rise Nari, scrollando gli argentei capelli, «ma la maggior parte sì. Li alleviamo da secoli.» «Come faccio a guidarli?»
Rispose Arya: «Un cavallo elfico risponde ai comandi nell'antica lingua; digli dove vuoi andare e lui ti ci porterà. Non trattarli mai con percosse o parole dure, poiché essi non sono nostri schiavi, ma amici e compagni. Ti portano solo perché vogliono farlo; è un grande privilegio cavalcarli. Io sono riuscita a salvare l'uovo di Saphira da Durza soltanto perché i nostri cavalli percepirono che qualcosa non andava e ci impedirono di finire dritti nell'agguato... Non ti faranno mai cadere, a meno che non tu non scelga di lanciarti, e sono capaci di scegliere la via più sicura e veloce sui terreni accidentati. Le Feldùnost dei nani sono molto simili.»
«Puoi ben dirlo» borbottò Orik. «Una Feldùnost è in grado di condurti su e giù per una rupe senza un solo graffio. Ma come facciamo a trasportare i viveri e le altre cose senza selle? Non posso cavalcare con un pesante zaino in spalla.» Lifaen gli gettò ai piedi una pila di bisacce vuote e indicò il sesto cavallo. «Non lo farai.»
Nari disse a Eragon e Orik le parole da usare per dirigere i cavalli. «Ganga fram per andare avanti, blòthr per fermarlo, hlaupa per lanciarlo al galoppo e ganga aptr per andare indietro. Puoi dargli istruzioni più precise, se conosci l'antica lingua.» Condusse Eragon davanti a un cavallo e disse: «Questo è Folkvir. Tendi la mano.»
Eragon lo fece, e lo stallone sbuffò, dilatando le froge. Folkvir annusò il palmo di Eragon, poi lo toccò col muso e gli permise di accarezzargli il collo muscoloso. «Bene»
disse Nari, soddisfatto. L'elfo fece altrettanto con Orik e un altro cavallo.
Quando Eragon montò su Folkvir, Saphira si avvicinò. Lui la guardò e notò quanto ancora era turbata per la notte passata. Ancora un giorno soltanto, le disse.
Eragon... La dragonessa fece una pausa. Ho pensato molto mentre ero sotto l'influenza dell'incantesimo elfico a qualcosa che ho sempre ritenuto di poca importanza, qualcosa che ora incombe su di me come una montagna di nera paura. Ogni creatura, che sia pura o mostruosa, ha un compagno della sua specie. Ma io no. Rabbrividì e chiuse gli occhi. Io sono sola.
La sua affermazione rammentò a Eragon che non aveva più di otto mesi. Nella maggior parte delle occasioni, la sua giovane età non si sentiva - grazie all'influenza dei suoi istinti e dei ricordi ancestrali - ma in questo campo era ancora più inesperta di lui, con i flebili palpiti di romanticismo che aveva provato a Carvahall e a Tronjheim. Si sentì muovere a compassione, ma la scacciò prima che potesse filtrare attraverso il loro legame mentale. Saphira avrebbe soltanto disprezzato quell'emozione: non poteva risolvere il problema né farla sentire meglio. Invece disse: Galbatorix possiede ancora due uova di drago. Durante il nostro primo colloquio con Rothgar, tu dicesti che avresti voluto recuperarle. Se riusciamo...
Saphira sbuffò amaramente. Potrebbero volerci anni, e se anche riuscissimo a prendere le uova, non è detto che si schiuderebbero, o che sarebbero maschi, o che sarebbero compagni adeguati. Il fato ha condannato la mia razza all'estinzione. Dimenò la coda in un impeto di frustrazione, spezzando un alberello. Sembrava pericolosamente vicina alle lacrime.
Che cosa posso dire? domandò lui, turbato dalla sua angoscia. Non puoi abbandonare la speranza. Hai ancora una probabilità di trovare un compagno, ma devi essere paziente. E se anche le uova di Galbatorix non dovessero andare bene, devono esistere altri draghi da qualche parte nel mondo, come gli umani, gli elfi o perfino gli Urgali. Nel momento in cui avremo assolto a tutti i nostri obblighi, ti aiuterò a cercarli. D'accordo?
D'accordo, accettò lei, tirando su col naso. Reclinò indietro la testa ed esalò una nuvoletta di fumo bianco che si disperse fra i rami. Non avrei dovuto farmi travolgere dalle emozioni.
Sciocchezze. Non sei fatta di pietra. È una cosa assolutamente normale... Ma promettimi di non rimuginarci sopra quando sei da sola.
Lei lo fissò con un occhio di zaffiro. Lo prometto. Lui si sentì rincuorato avvertendo la gratitudine della dragonessa per le sue rassicurazioni e la sua compagnia. Sporgendosi da Folkvir, le posò una mano sulla guancia ruvida e ve la lasciò per un momento. arrivederci, piccolo mio, mormorò lei. Ci vediamo stasera.
Eragon odiava l'idea di separarsi da lei in quello stato. A malincuore si addentrò nella foresta con Orik e gli elfi, dirigendosi a ovest, verso il cuore della Du Weldenvarden. Dopo un'ora passata a riflettere in silenzio sui crucci di Saphira, ne parlò con Arya.
Sottilissime rughe incresparono la fronte dell'elfa. «Questo è uno dei crimini più grandi di Galbatorix. Non so se esiste una soluzione, ma possiamo sperare. Dobbiamo sperare.»
La città fra i pini
Eragon si trovava nella Du Weldenvarden da così tanto tempo che cominciava ad aver voglia di radure, spazi aperti, magari addirittura una montagna, invece delle infinite schiere di alberi intervallate appena da sparuti cespugli. E non provava sollievo nemmeno durante i voli con Saphira poiché gli mostravano soltanto vaste colline verdeggianti che si susseguivano ininterrotte come un verde oceano.
Talvolta i rami erano così fitti che era impossibile capire da quale parte il sole sorgeva o tramontava. La mancanza del sole come riferimento e la monotonia del paesaggio lo facevano sentire smarrito, nonostante tutte le volte che Arya o Lifaen gli avevano indicato i punti cardinali. Se non fosse stato per gli elfi, sapeva che avrebbe potuto vagare per la Du Weldenvarden per il resto della sua vita senza mai trovarne l'uscita.