Volodyk - Paolini2-Eldest
«Mi vergogno» disse Lifaen, soppesando ogni parola «di averti fatto quella domanda. Fra di noi, è ritenuto scortese indagare sulle faccende degli altri... Solo che vorrei consigliarti, e credo che Orik sia d'accordo con me, di tenere a freno il tuo cuore, Argetlam. Non è questo il momento di perderlo, e la collocazione che vorresti dargli non è adeguata.» «Già» grugnì Orik.
Eragon si sentì avvampare, mentre il sangue gli affiorava alle guance scorrendo nelle vene come pece bollente. Prima di poter ribattere, Saphira entrò nella sua mente e disse: E adesso è il momento di tenere a freno la lingua. Le loro intenzioni sono oneste. Non insultarli.
Eragon trasse un profondo respiro e cercò di liberarsi dall'imbarazzo. Sei d'accordo con loro?
Eragon, io credo che tu sia pieno d'amore e che stia cercando qualcuno che ricambi il tuo sentimento. Non c'è nulla da vergognarsi in questo.
Il giovane si sforzò di accettare le sue parole, poi alla fine disse: Torni presto?
Sono già sulla strada.
Riportando la sua attenzione lì dove si trovava, Eragon si accorse che sia l'elfo che il nano lo stavano osservando. «Comprendo la vostra preoccupazione... ma ancora non hai risposto alla mia domanda.»
Lifaen esitò. «Arya è piuttosto giovane. È nata un anno prima della distruzione dei Cavalieri.»
Cento anni! Benché si fosse aspettato una cifra del genere, Eragon rimase ugualmente colpito. Nascose il suo stupore dietro un'espressione vacua, pensando: Potrebbe avere pronipoti più vecchi di me! Rimase in silenzio a rimuginare sulla scoperta per qualche minuto, poi, per distrarsi, disse: «Hai detto che gli umani scoprirono Alagaèsia ottocento anni fa. Ma Brom mi ha detto che arrivarono tre secoli dopo la formazione dei Cavalieri, ossia migliaia di anni fa.» «Duemilasettecentoquattro anni fa, secondo il nostro computo» intervenne Orik. «Brom aveva ragione, se consideri una sola nave con venti guerrieri come l'arrivo degli umani in Alagaèsia. Sbarcarono nel sud, dove si trova adesso il Surda. Ci incontrammo mentre noi eravamo in esplorazione, e ci scambiammo doni, ma poi loro partirono e noi non vedemmo più un umano per quasi due millenni, finché re Palancar non arrivò con un'intera flotta al seguito. Gli umani si erano del tutto dimenticati di noi, tranne che per qualche vaga storia di irsuti uomini-dellemontagne che rapivano i bambini di notte. Bah!»
«Sai da dove veniva Palancar?» chiese Eragon.
Orik aggrottò la fronte e si mangiucchiò la punta di un baffo, poi fece no con la testa. «Le nostre storie dicono solo che la sua patria era nel lontano sud, oltre i Beor, e che il suo esodo fu la conseguenza di una guerra e della carestìe.» Eccitato da un'idea, Eragon esclamò: «Allora forse ci sono altri paesi che potrebbero aiutarci nella guerra contro Galbatorix!»
«Può darsi» disse Orik. «Ma sarebbe difficile trovarli, anche a dorso di drago, e dubito che parleresti la stessa lingua. In ogni caso, chi vorrebbe aiutarci? I Varden hanno ben poco da offrire a un altro paese, ed è già abbastanza arduo muovere un esercito dal Farthen Dùr a Urù'baen, figurati spostare truppe da centinaia, se non migliaia di leghe di distanza.»
«E comunque non possiamo fare a meno di te» disse Lifaen a Eragon.
«Ma io...» Eragon s'interruppe quando Saphira comparve sul fiume, seguita da un furibondo stormo di passeri e merli che volevano tenerla lontana dai loro nidi. Allo stesso tempo, un coro di squittii si levò dalle schiere di scoiattoli nascosti fra i rami.
Lifaen s'illuminò e disse: «Non è splendida? Guardate come le sue squame catturano la luce! Non c'è tesoro al mondo che si possa paragonare a questo spettacolo.» Dall'altra canoa, Nari espresse analoghi apprezzamenti. «Già, magnificamente magnifico» borbottò Orik sotto i baffi. Eragon nascose un sorriso, anche se non poteva dar torto al nano: sembrava che gli elfi non ne avessero mai abbastanza di lodare Saphira.
Non c'è niente di male in qualche complimento, disse Saphira, che ammarò sollevando un ventaglio di spruzzi e tuffò la testa sotto la superficie per evitare un passero in picchiata.
Assolutamente niente, disse Eragon.
Saphira gli scoccò un'occhiata torva da sotto l'acqua. Era sarcasmo, quello?
Eragon ridacchiò e lasciò correre. Guardando l'altra canoa, vide Arya che pagaiava, la schiena dritta, il volto imperscrutabile, illuminata dai raggi del sole che filtravano dai rami muschiosi. Sembrava così cupa e assorta che gli fece venire voglia di consolarla. «Lifaen» disse sotto voce, perché Orik non lo sentisse, «perché Arya è così... infelice? Tu e...»
Le spalle di Lifaen s'irrigidirono sotto la tunica color ruggine e mormorò, così piano che Eragon lo udì a stento: «Siamo onorati di servire Arya Dròttningu. Ha sofferto molto più di quanto tu possa immaginare per il nostro popolo. Esultiamo di gioia per quanto è riuscita a compiere con Saphira, e piangiamo nei nostri sogni per il suo sacrificio... e la sua perdita. Le sue sofferenze sono le nostre, ma non posso rivelartele senza il suo permesso.»
Mentre era seduto presso il falò da campo, accarezzando un sasso coperto di muschio vellutato come pelo di coniglio, Eragon sentì un trambusto nella foresta. Scambiandosi un'occhiata con Saphira e Orik, s'incamminò furtivo verso il suono, con Zar'roc sguainata.
Si fermò sul ciglio di un piccolo burrone e guardò dall'altra parte, dove un girfalco con un'ala spezzata si trascinava in un letto di vischio. Il predatore s'impietrì nel vederlo, poi aprì il becco e lanciò uno strido lacerante. Che terribile fato, non poter più volare, disse Saphira.
Quando arrivò Arya, guardò il girfalco, poi incoccò una freccia all'arco e, con mira perfetta, lo trafisse al cuore. Lì per lì, Eragon pensò che lo avesse fatto per procacciare del cibo, ma l'elfa non accennò nemmeno ad andare a prendere l'uccello o la sua freccia.
«Perché?» domandò.
Con espressione dura, Arya s'infilò l'arco a tracolla e disse: «Era una ferita troppo grave perché potessi guarirla, e sarebbe morto fra stanotte e domattina. È la natura delle cose. Gli ho risparmiato ore di agonia.»
Saphira abbassò la testa e sfiorò Arya sulla spalla con il muso, poi tornò all'accampamento, la coda guizzante che strappava brani di corteccia dagli alberi. Quando Eragon fece per seguirla, si sentì tirare una manica da Orik, e si chinò ad ascoltare il nano che a bassa voce commentò: «Mai chiedere aiuto a un elfo. Potrebbe decidere che è meglio se muori, eh?»
Il canto di Dagshelgr
Benché stanco per le fatiche della giornata precedente, Eragon si costrinse ad alzarsi prima dell'alba nel tentativo di sorprendere uno degli elfi ancora addormentato. Era diventata una specie di gara per lui riuscire a svegliarsi prima degli elfi - se mai dormivano - per coglierli almeno una volta con gli occhi chiusi. Ma quel giorno non andò diversamente dagli altri.
«Buongiorno» lo salutarono Nari e Lifaen dall'alto. Eragon reclinò indietro la testa e vide che i due erano in piedi sul ramo di un pino, a circa cinquanta piedi dal suolo. Volteggiando di ramo in ramo con grazia felina, gli elfi saltarono a terra accanto a lui.
«Eravamo di vedetta» spiegò Lifaen.
«Perché?»
Arya comparve da dietro un tronco e disse: «Per i miei timori. Nella Du Weldenvarden ci sono molti misteri e pericoli, specie per un Cavaliere. Viviamo qui da migliaia di anni, e antichi sortilegi ancora aleggiano in luoghi inaspettati; la magia permea l'aria, l'acqua e la terra. In certi luoghi ha infettato gli animali. A volte strane creature vagano per la foresta, e non tutte sono amichevoli.»
«Sono...» Eragon s'interruppe nel sentir formicolare il gedwéy ignasia. Il martello d'argento appeso al collo che gli aveva donato Gannel divenne bollente sulla sua pelle, e avvertì l'incantesimo dell'amuleto attingere alla sua energia. Qualcuno stava tentando di divinarlo.
È Galbatorix? s'interrogò, spaventato. Afferrò la catena e la tirò fuori dalla tunica, pronto a strapparsela dal collo se fosse diventato troppo debole. Dall'altra parte del campo, Saphira accorse al suo fianco, sostenendolo con la propria energia.
Un istante dopo, il calore abbandonò il martello, che tornò freddo al tatto. Se lo fece rimbalzare sul palmo, poi se lo rimise sotto i vestiti, e Saphira disse: I nostri nemici ci cercano.
Nemici? Non potrebbe essere stato qualcuno del Du Vrangr Gaia?
Credo che Rothgar abbia avvertito Nasuada di aver ordinato a Gannel di darti questa catena fatata... Potrebbe essere stata persino lei a suggerire l'idea.
Arya s'incupì quando Eragon le spiegò che cos'era accaduto. «A questo punto è ancor più importante raggiungere Ellesméra alla svelta, perché tu possa riprendere il tuo addestramento. Gli eventi in Alagaésia stanno precipitando, e temo che non avrai tempo sufficiente per i tuoi studi.»
Eragon avrebbe desiderato discuterne ancora, ma perse l'occasione nella fretta di smontare le tende. Caricate le canoe e spento il fuoco, continuarono a risalire il fiume Gaena.
Erano sull'acqua da appena un'ora quando Eragon notò che il fiume diventava sempre più ampio e profondo. Qualche minuto dopo, giunsero vicino a una cascata che riempiva la Du Weldenvarden con il suo rombo scrosciante. La cataratta era alta un centinaio di piedi e scorreva lungo una parete rocciosa con una cornice sporgente che rendeva impossibile l'arrampicata. «Come facciamo a passare?» Sentiva già gli spruzzi freddi sul viso.
Lifaen indicò la riva sinistra, a una certa distanza dalla cascata, dove l'uso aveva scavato un sentiero sul ripido rilievo. «Dovremo trasportare le canoe e le provviste per mezza lega prima di rimetterci sul fiume.»
I cinque slegarono i fagotti infilati sotto le panche delle canoe e divisero le provviste per infilarle negli zaini. «Uff» sbuffò Eragon sollevando il peso. Era due volte più pesante di quanto era abituato a trasportare di solito a piedi. Potrei portarli in volo oltre la cascata... tutti quanti, si offrì Saphira, strisciando sulla riva fangosa e scrollandosi l'acqua di dosso.
Quando Eragon ripete il suggerimento, Lifaen fece una faccia inorridita. «Non ci sogneremmo mai di usare un drago come bestia da soma. Sarebbe un disonore per te, Saphira, e per Eragon come Shur'rugai, e getterebbe la vergogna sulla nostra ospitalità.»
Saphira sbuffò, esalando una piccola fiammata dalle narici che creò una nube di vapore sulla superficie del fiume. Che sciocchezze. Scavalcando Eragon con una delle possenti zampe, infilò gli artigli negli spallacci degli zaini ammucchiati, e spiccò il volo. Prendetemi, se vi riesce!
Una risata argentina ruppe il silenzio, come il trillo di un usignolo. Sbigottito, Eragon si volse e guardò Arya. Era la prima volta che la sentiva ridere; amò quel suono. L'elfa sorrise a Lifaen. «Hai ancora molto da imparare se pensi di dire a un drago cosa può o non può fare.»
«Ma il disonore... »
«Non c'è disonore se Saphira lo fa di sua spontanea volontà» dichiarò Arya. «E adesso muoviamoci, senza perdere altro tempo.»
Sperando che lo sforzo non gli risvegliasse il dolore alla schiena, Eragon prese la canoa con Lifaen e se la mise in spalla. Fu costretto ad affidarsi all'elfo per seguire la pista, dato che vedeva soltanto il terreno sotto i suoi piedi. Un'ora dopo, arrivarono in cima al dislivello e oltrepassarono le pericolose acque spumeggianti fino a quando il Gaena tornò a essere calmo come uno specchio. Ad aspettarli c'era Saphira, impegnata a catturare pesci nell'acqua bassa, tuffando la testa triangolare nell'acqua come un airone.
Arya la chiamò e disse a lei e a Eragon: «Oltre la prossima ansa si trova il lago Ardwen e sulla sua sponda occidentale Silthrim, una delle nostre città più grandi. Superata quella, ancora una vasta estensione di foresta ci separa da Ellesméra. Incontreremo molti elfi vicino a Silthrim. Tuttavia non voglio che vedano nessuno di voi due finché non avremo parlato con la regina Islanzadi.»
Perché? chiese Saphira, anticipando il pensiero di Eragon.
Con la sua voce musicale, Arya rispose: «La vostra presenza rappresenta un enorme e terribile cambiamento per il nostro regno, e tali cambiamenti sono pericolosi se affrontati senza cautela. La regina dovrà essere la prima a incontrarvi. Soltanto lei possiede l'autorità e la saggezza per sovrintendere a questa transizione.» «Parli con grande stima di lei» commentò Eragon.
A queste parole, Narì e Lifaen si fermarono a guardare Arya con occhi vigili. Il volto di lei si oscurò, poi raddrizzò le spalle e disse fiera: «Il suo è un buon governo... Eragon, so che possiedi un mantello col cappuccio. Finché non saremo lontani da occhi indiscreti, vorrei che tu lo indossassi e tenessi il capo celato, perché nessuno veda le tue orecchie rotonde e capisca che sei umano.» Eragon annuì. «Saphira, tu dovrai nasconderti di giorno e raggiungerci di notte. Ajihad mi ha detto che facevi così nei territori dell'Impero.»
Già, e ne ho odiato ogni istante, ringhiò lei.
«È soltanto per oggi e per domani. Dopo, saremo abbastanza lontani da Silthrim da non doverci più preoccupare d'incontrare qualcuno» promise Arya.
Saphira rivolse il suo sguardo azzurro a Eragon. Quando siamo fuggiti dall'Impero, ho giurato che ti sarei sempre rimasta accanto per proteggerti. Ogni volta che mi allontano, succede sempre qualcosa di brutto: Yazuac, Daret, Dras-Leona, i mercanti di schiavi.
Non a Teirm.
Sai cosa voglio dire E non sopporto l'idea di lasciarti proprio adesso che non puoi difenderti, con quella schiena malandata.
Confido in Arya e negli altri, saranno loro a difendermi. Tu no?
Saphira esitò. Mi fido di Arya. Si volse e s'incamminò lungo la riva del fiume, dove si accucciò per un minuto; poi tornò. D'accordo. Trasmise il suo consenso ad Arya, aggiungendo: Ma non voglio aspettare oltre domani notte, nemmeno se in quel momento vi troverete al centro di Silthrim.
«Capisco» disse Arya. «Ma dovrai stare comunque attenta anche quando volerai col buio, poiché gli elfi hanno la vista acuta anche nelle notti più nere. Se ti avvistano per sbaglio, potrebbero attaccarti con la magia.» Splendido, commentò Saphira.
Mentre Orik e gli elfi caricavano di nuovo le provviste a bordo delle canoe, Eragon e Saphira esplorarono la foresta in cerca di un nascondiglio sicuro. Scelsero un avvallamento asciutto tra alcune rocce franate, ricoperto da un morbido tappeto di aghi di pino. Saphira si acciambellò sul terreno e fece un cenno con la testa. Va' pure. Io starò bene. Eragon le cinse il collo, attento a evitare le punte acuminate; poi si congedò a malincuore, continuando a guardarsi alle spalle. Sulla riva, indossò il mantello col cappuccio prima di riprendere il viaggio.