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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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«Oh, be', mi piace sapere cosa succede, e trovarmi sul posto è molto più rapido che aspettare che qualcuno mi racconti dopo cosa è accaduto. La gente tende a tralasciare dettagli importanti, tipo se una persona ha l'anulare più lungo dell'indice, o se ha uno scudo magico a proteggerla, o se il mulo che cavalca ha sulla fronte una macchia a forma di testa di gallo. Non sei d'accordo anche tu?»

Nasuada aggrottò le sopracciglia. «Non riveli mai i tuoi segreti, non è vero?»

«A che scopo? Tutti si ecciterebbero per un incantesimo da quattro soldi e poi dovrei passare ore e ore a spiegarlo, e alla fine re Orrin vorrebbe la mia testa e dovrei sconfiggere metà dei vostri stregoni per fuggire. Non ne vale la pena, credo.»

«La tua risposta non ispira fiducia. Ma...»

«Questo perché sei troppo seria, Lady Furianera.»

«Ma dimmi» insistette Nasuada, «perché vorresti sapere se qualcuno cavalca un mulo con una macchia a forma di testa di gallo?»

«Ah, quello. Be', l'uomo che possiede quel mulo ha barato a una partita di astragali, vincendomi tre bottoni e una scheggia piuttosto interessante di cristallo fatato.»

«Ha imbrogliato te?»

Angela arricciò le labbra, con evidente fastidio. «Gli astragali erano truccati. Al momento opportuno li ho scambiati, ma lui deve averli scambiati di nuovo con i suoi mentre ero distratta... Non so ancora bene come ci sia riuscito.»

«Perciò avete barato entrambi.»

«Era un cristallo preziosissimo! E poi come si fa a imbrogliare un imbroglione?»

Prima che Nasuada potesse rispondere, i sei Falchineri arrivarono trafelati dall'accampamento e presero posizione intorno a lei. Nasuada nascose il suo disgusto quando il calore e l'odore che emanavano la investirono. Il fetore dei due Urgali era particolarmente acre. Poi, con sua sorpresa, il capitano di quel turno di guardia, un uomo tarchiato dal naso adunco che si chiamava Garven, le si accostò. «Mia signora, posso scambiare due parole con te in privato?» Parlò a denti stretti, come se si stesse sforzando di contenere una violenta emozione.

Angela ed Elva guardarono Nasuada, in attesa di un suo cenno che indicasse loro di allontanarsi. Lei annuì, e le due si avviarono verso il fiume Jiet. Quando fu certa che non erano più a portata d'orecchio, Nasuada cominciò a parlare, ma Garven la interruppe esclamando: «Dannazione, Lady Nasuada, non avresti dovuto lasciarci indietro!»

«Calmati, capitano» rispose lei. «Non c'era alcun rischio e volevo arrivare qui in tempo per accogliere gli elfi.»

La maglia di ferro risuonò forte quando Garven si colpì la coscia con un pugno. «Alcun rischio? Nemmeno un'ora fa hai avuto la prova che Galbatorix ha ancora agenti fra di noi. Continua a infiltrare spie, e tu ritieni opportuno abbandonare la tua scorta e cavalcare in un'orda di potenziali assassini come se niente fosse! Hai dimenticato l'agguato ad Aberon, o come i Gemelli hanno ucciso tuo padre?»

«Capitano Garven! Stai andando troppo oltre.»

«E andrei ancora più oltre, se servisse a proteggerti.»

Gli elfi, osservò Nasuada, avevano dimezzato la distanza dall'accampamento. Infuriata e desiderosa di concludere la conversazione, disse: «Non sono priva di protezione.»

Scoccando un'occhiata verso Elva, Garven disse: «Ne avevamo il sospetto, Lady Nasuada.» Seguì una pausa, come se il capitano sperasse in qualche altra informazione, ma quando Nasuada rimase in silenzio, Garven riprese: «Se eri davvero al sicuro, allora mi sono sbagliato ad accusarti d'imprudenza, e ti chiedo scusa. Tuttavia la sicurezza e la sua parvenza sono due cose differenti. Perché i Falchineri siano efficaci, dobbiamo essere i guerrieri più scaltri, più forti e più spietati di tutto il paese; la gente deve credere che siamo i più scaltri, i più forti e i più spietati. Devono credere che se cercano di pugnalarti o di colpirti con una freccia o di usare la magia contro di te, noi li fermeremo. Se sono convinti di avere le stesse probabilità di ucciderti che ha un topo contro un drago, allora è facile che rinuncino all'idea, e noi avremo evitato un attacco senza nemmeno alzare un dito.

«Non possiamo combattere tutti i tuoi nemici, Lady Nasuada. Ci vorrebbe un esercito solo per questo. Nemmeno Eragon riuscirebbe a salvarti se tutti coloro che ti vogliono morta entrassero in azione spinti dall'odio. Potresti sopravvivere a cento attentati, a mille, ma alla fine uno riuscirebbe. L'unica prevenzione consiste nel convincere la maggior parte dei tuoi nemici che non riusciranno mai a oltrepassare i Falchineri. La nostra reputazione può salvarti tanto quanto le nostre spade e le nostre armature. Quindi non è bene che la gente ti veda cavalcare senza di noi. Mi immagino che branco di imbecilli dovevamo sembrare prima, a inseguirti come disperati. Insomma, Lady Nasuada, se tu non ci rispetti, perché dovrebbero farlo gli altri?»

Garven si avvicinò, abbassando la voce. «Daremmo molto volentieri la vita per te, se fosse necessario. Tutto quello che ti chiediamo in cambio è di permetterci di fare il nostro dovere. È un piccolo favore, tutto sommato. E potrebbe venire il giorno in cui ci sarai grata per la nostra presenza. L'altra tua protezione è umana, e quindi fallace, quali che siano i suoi arcani poteri. Non ha prestato gli stessi giuramenti nell'antica lingua di noi Falchineri. Le sue simpatie potrebbero cambiare, e tu arriveresti a chiederti se il destino ti si è rivoltato contro. I Falchineri invece non ti tradiranno mai. Noi ti apparteniamo, Lady Nasuada, con tutto il corpo e con tutta l'anima. Perciò, ti prego, lascia che i Falchineri facciano quello che devono... Lasciati proteggere da noi.»

In un primo momento Nasuada era rimasta indifferente alle argomentazioni di Garven, ma la sua eloquenza e la chiarezza dei suoi ragionamenti la impressionarono. Garven, si disse, era un uomo che avrebbe potuto sfruttare per qualche altro incarico. «Vedo che Jörmundur mi ha circondata di guerrieri dalla lingua affilata come le loro spade» disse con un sorriso.

«Mia signora.»

«Hai ragione. Non avrei dovuto lasciare indietro te e i tuoi uomini, e mi rincresce. È stato un gesto imprudente e sconsiderato. Non mi sono ancora abituata a essere circondata di guardie a ogni ora del giorno e della notte, e a volte dimentico che non posso muovermi con la libertà di un tempo. Hai la mia parola d'onore, capitano Garven, che non accadrà mai più. Non desidero screditare i Falchineri più di quanto non lo desideri tu.»

«Ti ringrazio, mia signora.»

Nasuada si volse a guardare gli elfi, ma erano celati dall'argine di un torrente asciutto a un quarto di miglio di distanza. «Sai, Garven, mi viene in mente che potresti aver inventato un motto per i Falchineri giusto un minuto fa.»

«Un motto, mia signora? Non ricordo.»

«Invece sì. "I più scaltri, i più forti e i più spietati" hai detto. Sarebbe un bel motto, magari senza la e. Se gli altri Falchineri lo approvano, dirò a Trianna di tradurre la frase nell'antica lingua, e la farò incidere sui vostri scudi e ricamare sui vostri stendardi.»

«Sei molto generosa, mia signora. Quando torneremo ai nostri quartieri, discuterò la questione con Jörmundur e gli altri capitani. Solo che...»

Garven esitò e, indovinando che cosa lo turbava, Nasuada disse: «Solo che ti preoccupa che un motto del genere sia troppo banale per uomini nella vostra posizione, e preferiresti qualcosa di più nobile e altisonante, dico bene?»

«Sì, mia signora» rispose lui, con un'espressione di evidente sollievo.

«È una preoccupazione valida, immagino. I Falchineri rappresentano i Varden, e dovete intessere relazioni con i notabili di ogni razza e grado nell'esercizio delle vostre funzioni. Sarebbe inopportuno trasmettere l'impressione sbagliata... D'accordo, allora lascerò che siate tu e i tuoi camerati a inventare un motto adeguato. Sono sicura che farete un ottimo lavoro.»

In quel momento, i dodici elfi risalirono il letto del torrente asciutto e Garven, dopo aver mormorato altri ringraziamenti, si spostò a rispettosa distanza da Nasuada. Assumendo un contegno adeguato a una visita di stato, Nasuada fece cenno ad Angela e a Elva di tornare.

Ancora a parecchie iarde di distanza, l'elfo in testa al gruppo le parve nero come la pece dalla testa ai piedi. Lì per lì Nasuada pensò che avesse la pelle scura come la sua, e che fosse vestito di nero, ma via via che l'elfo si avvicinava la fanciulla si accorse che indossava soltanto un perizoma e una grossa cintura di tessuto intrecciato con una piccola borsa appesa. Il resto del corpo era coperto da una pelliccia blu notte che scintillava lustra sotto i raggi del sole. Ovunque la pelliccia era lunga meno di un quarto di pollice

- una liscia, flessuosa armatura che rifletteva la forma e i movimenti dei muscoli - ma sulle caviglie e sotto gli avambracci raggiungeva almeno i due pollici; dal centro delle scapole gli partiva una folta criniera che sporgeva di almeno un palmo e si assottigliava lungo la schiena fino alla base della spina dorsale. La fronte era ombreggiata da una tettoia di sopracciglia cespugliose e ciuffi di peli simili a quelli dei gatti gli sporgevano dalla sommità delle orecchie a punta; su tutto il resto del viso il pelo era corto e piatto, e soltanto il colore ne tradiva la presenza. Gli occhi erano di un giallo brillante, e invece delle unghie, ciascun dito medio recava un artiglio ricurvo. Quando rallentò per fermarsi davanti a Nasuada, lei notò che emanava un odore particolare: un misto muscoso e salmastro di legno di ginepro essiccato, cuoio ingrassato e fumo. Era un odore così forte e così indiscutibilmente maschio che Nasuada sentì la pelle farsi calda, poi fredda, formicolante di eccitazione. Arrossì, e fu contenta che il colore del suo incarnato celasse l'imbarazzo che provava.

Gli altri elfi erano più o meno come se li aspettava, con la medesima struttura fisica e il colorito di Arya, e indossavano corte tuniche arancio pallido e verde pino. Erano sei uomini e sei donne. Avevano tutti i capelli corvini, tranne due donne che li avevano chiari come raggi di stelle. Impossibile determinarne l'età, perché avevano tutti il viso liscio e senza una ruga. Erano i primi elfi, a parte Arya, che Nasuada incontrava di persona, ed era desiderosa di scoprire se Arya era rappresentativa della sua razza.

Toccandosi le labbra con due dita, il capo degli elfi s'inchinò, imitato dai compagni, poi voltò la mano destra portandola al petto e disse: «Saluti e felicitazioni a te, Nasuada, figlia di Ajihad. Atra esterní onto thelduin.» Il suo accento era più spiccato di quello di Arya: una cadenza cantilenante che trasformava le sue parole in musica.

«Atra du evarínya ono varda» rispose Nasuada, come le aveva insegnato Arya.

L'elfo sorrise, mostrando denti più aguzzi del normale. «Io sono Blödhgarm, figlio di Ildrid il Bello.» A turno presentò gli altri elfi, poi continuò. «Ti portiamo buone nuove dalla regina Islanzadi: la scorsa notte i nostri stregoni sono riusciti a distruggere i cancelli di Ceunon. In questo stesso momento le nostre forze avanzano verso la torre dove si è barricato Lord Tarrant. Alcuni ancora resistono, ma la città è caduta, e ben presto avremo il controllo totale su Ceunon.»

Le guardie di Nasuada e i Varden radunati alle sue spalle scoppiarono in un boato di esultanza. Anche lei si rallegrò della vittoria, ma uno strano senso d'inquietudine temperò la sua contentezza mentre si figurava gli elfi

- soprattutto quelli forti come Blödhgarm - intenti a invadere le case umane. Quali forze ultraterrene ho scatenato? si chiese. «Sono davvero buone nuove» disse «e sono lieta di sentirle. Con la caduta di Ceunon, siamo molto più vicini a Urû'baen, e quindi a Galbatorix e al raggiungimento dei nostri obiettivi.» Poi, con voce meno solenne, aggiunse: «Confido che la regina Islanzadi sarà clemente con gli abitanti di Ceunon, con coloro che non amano Galbatorix ma non hanno i mezzi o il coraggio per opporsi all'Impero.»

«La regina Islanzadi è gentile e misericordiosa con i propri sudditi, anche se sono sudditi riluttanti, ma se oseranno opporsi a noi, li spazzeremo via come foglie morte davanti a una tempesta d'autunno.»

«Non mi aspettavo niente di meno da una razza antica e potente come la vostra» replicò Nasuada. Dopo aver soddisfatto le esigenze di etichetta con altri convenevoli di una sconcertante banalità, Nasuada pensò che fosse arrivato il momento di affrontare la vera ragione della visita degli elfi. Ordinò alla folla radunata di disperdersi, poi disse: «Scopo della vostra venuta qui, mi pare di capire, è proteggere Eragon e Saphira. Dico bene?»

«Dici bene, Nasuada Svit-kona. E siamo al corrente del fatto che Eragon si trova ancora nell'Impero ma che tornerà presto.»

«E sapete anche che Arya è partita per andare a cercarlo e che ora viaggiano insieme?»

Le orecchie di Blödhgarm fremettero. «Sì, siamo stati informati anche di questo. È un vero peccato che si trovino entrambi in pericolo, ma sono convinto che non accadrà loro nulla di male.»

«Che cosa intendete fare, dunque? Andrete a cercarli e li scorterete di nuovo qui dai Varden? Oppure resterete in attesa, confidando nel fatto che Eragon e Arya sono capaci di difendersi da soli dai sicari di Galbatorix?»

«Resteremo qui come tuoi ospiti, Nasuada figlia di Ajihad. Eragon e Arya non correranno alcun pericolo finché non si faranno notare. Se li raggiungessimo nel cuore dell'Impero potremmo attirare attenzioni indesiderate. Date le circostanze, mi sembra preferibile impiegare il nostro tempo dove possiamo renderci utili. È molto probabile che Galbatorix attacchi qui, fra i Varden; in tal caso, e se Castigo e Murtagh dovessero ricomparire, Saphira avrà bisogno di tutto il nostro aiuto per combatterli.»

Nasuada rimase di stucco. «Eragon ha detto che eravate i migliori maghi della vostra razza, ma possedete davvero le capacità di annientare quella coppia maledetta? Come Galbatorix, i due hanno poteri che superano di gran lunga quelli di un normale Cavaliere.»

«Con Saphira al nostro fianco sì, siamo convinti di poter combattere e persino sconfiggere Castigo e Murtagh. Sappiamo di che cosa erano capaci i Rinnegati, e sebbene con ogni probabilità Galbatorix abbia reso Castigo e Murtagh più forti di qualsiasi Rinnegato, dubito che li abbia elevati al suo livello. Se non altro, la sua paura del tradimento gioca a nostro favore. Persino tre Rinnegati non potrebbero sconfiggere dodici di noi più un drago. Perciò siamo convinti di poter resistere a chiunque, tranne che a Galbatorix, s'intende.»

«Le tue parole mi rincuorano. Da quando Eragon è stato battuto da Murtagh, mi sono spesso domandata se non fosse il caso di ritirarci e nasconderci finché il suo potere non aumenterà. Ma le tue rassicurazioni mi convincono che c'è ancora speranza. Possiamo non avere idea di come uccidere Galbatorix, ma finché non abbatteremo i cancelli della sua fortezza a Urû'baen, o finché lui non deciderà di volare con Shruikan per affrontarci sul campo di battaglia, niente ci fermerà.» Fece una pausa. «Non mi hai dato alcuna ragione per non fidarmi di voi, Blödhgarm, ma prima che entriate nell'accampamento devo chiederti di permettere a uno dei miei uomini di toccarvi la mente per scoprire se siete veri elfi e non umani mandati da Galbatorix sotto mentite spoglie. Mi addolora doverti fare questa richiesta, ma siamo perseguitati da spie e traditori, e non possiamo credere a nessuno sulla parola. Non è mia intenzione arrecarvi offesa, ma la guerra ci ha insegnato che questo genere di precauzioni sono necessarie. Sono sicura che voi elfi, che avete circondato l'intera distesa di foglie della Du Weldenvarden con incantesimi di protezione, potete comprendere le mie ragioni. Per cui ti chiedo: acconsenti?»

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