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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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«Fermo!» sibilò Arya.

Mentre aspettava che i soldati manifestassero le proprie intenzioni, Eragon si sforzò di calmare il cuore che gli batteva all'impazzata ripassando la storia che lui e Arya avevano inventato per giustificare la loro presenza in una zona così vicina al Surda. I suoi tentativi fallirono, perché malgrado la forza, l'addestramento, la consapevolezza di aver vinto tante battaglie e la mezza dozzina di incantesimi di difesa che lo proteggevano, la sua carne restava convinta che ferite o morte fossero imminenti. Sentiva le viscere in subbuglio, la gola contratta, le gambe molli e vacillanti. Oh, facciamola finita! pensò. Avrebbe voluto qualcosa da fare a pezzi con le mani, come se un atto distruttivo potesse alleviare la tensione che si andava accumulando dentro di lui, ma quella smania servì soltanto ad aumentare la sua frustrazione, perché non osava muoversi. L'unica cosa che gli dava coraggio era la presenza di Arya. Si sarebbe volentieri tagliato una mano prima di farsi considerare un vigliacco da lei. E sebbene Arya fosse una valorosa guerriera, Eragon provava ancora il desiderio di difenderla.

La voce che aveva ordinato alla pattuglia di fermarsi tornò a farsi sentire. «Mostratevi in volto.» Eragon alzò il capo e vide un uomo in groppa a un roano da battaglia, le mani guantate strette intorno al pomolo della sella. Sopra il labbro gli crescevano baffi enormi e riccioluti che, dopo aver contornato gli angoli della bocca, si allungavano in orizzontale su ciascun lato del volto per nove pollici buoni, in netto contrasto con i capelli lisci che gli ricadevano sulle spalle. Eragon si domandò come facessero quelle due spirali scolpite a restare sospese, soprattutto perché erano opache e ispide, chiaramente non impregnate di cera d'api.

Gli altri soldati tenevano le lance puntate contro Eragon e Arya. Erano così impolverati che le fiamme ricamate sulle loro casacche non si vedevano nemmeno.

«Allora» disse l'uomo, e i suoi baffi oscillarono come i bracci di una bilancia. «Chi siete? Dove state andando? Che cosa ci fate nelle terre del re?» Agitò una mano. «No, non vi disturbate a rispondere. Non importa. Oggigiorno niente ha più importanza. Il mondo sta per finire, e noi sprechiamo il nostro tempo a interrogare i contadini. Bah! Vermi superstiziosi che strisciano da un posto all'altro, divorando tutto il cibo della terra e riproducendosi a un ritmo impressionante. Nel podere della mia famiglia a Urû'baen avremmo frustato quelli come voi, sorpresi a vagabondare senza permesso, e se avessimo saputo che avevate rubato al vostro padrone, be', vi avremmo impiccati. Qualunque cosa stiate per dirmi sarà una bugia. È sempre così...

«Cos'avete in quegli zaini? Cibo e coperte, sì, ma forse anche un bel paio di candelieri d'oro, eh? Argenteria sottratta da un forziere? Lettere segrete per i Varden? Allora? Il gatto vi ha mangiato la lingua? Be', lo scopriremo presto. Langward, perché non vedi quali tesori riesci a trovare nello zaino di quel moccioso, da bravo?»

Eragon barcollò in avanti quando uno dei soldati lo colpì sulle reni con l'asta della lancia. Aveva avvolto le parti dell'armatura negli stracci per non farle sbatacchiare, ma gli stracci si rivelarono troppo sottili per assorbire l'impatto e attutire il clangore metallico.

«O-ho!» esclamò l'uomo coi baffi.

Afferrato Eragon per la nuca, il soldato slegò i cordoni dello zaino e ne tirò fuori il suo usbergo, dicendo: «Capitano, guarda qui!»

L'uomo coi baffi sogghignò estasiato. «Un'armatura! E anche di ottima fattura, direi. Bene, sei pieno di sorprese. Stavi andando dai Varden, non è così? Un traditore sedizioso, eh?» La sua espressione s'inacidì. «O sei uno di quelli che danno ai soldati onesti una cattiva nomea? In questo caso, sei un mercenario incompetente: non hai nemmeno un'arma. Era troppo disturbo per te procurarti un bastone o una mazza, eh? Allora, cosa dici? Rispondi!»

«No, capitano.»

«No, capitano? Non ti è venuto in mente, immagino. È uno strazio, dover accettare certi miserabili idioti, ma così ci ha ridotto questa dannata guerra, ad accontentarci degli avanzi.»

«Accettarmi dove, capitano?»

«Zitto, bastardo insolente! Nessuno ti ha dato il permesso di parlare!» Con i baffi frementi, l'uomo fece un brusco cenno. Il soldato alle spalle di Eragon lo colpì sulla testa e una miriade di puntini rossi esplose davanti ai suoi occhi. «Che tu sia un ladro, un traditore, un mercenario o soltanto uno stupido, il tuo destino sarà lo stesso. Una volta che avrai pronunciato il giuramento di coscrizione, non avrai scelta se non obbedire a Galbatorix e a quelli che lo rappresentano. Noi siamo il primo esercito nella storia a non avere dissidenti. Nessuna inutile discussione su quello che si deve o non si deve fare. Soltanto ordini, precisi e diretti. Anche tu ti unirai alla nostra causa e avrai il privilegio di contribuire a realizzare il glorioso futuro che il nostro grande re ha previsto per tutti noi. Quanto alla tua deliziosa compagna, ci sono altri modi in cui potrà rendersi utile all'Impero, dico bene? Forza, legateli!»

Eragon sapeva che cosa doveva fare. Quando le lanciò uno sguardo di sottecchi, scoprì che Arya lo stava già fissando con espressione decisa e implacabile. Eragon ammiccò. Lei ricambiò con un battito di ciglia. La mano di Eragon si strinse intorno al ciottolo.

La maggior parte dei soldati contro cui Eragon aveva combattuto sulle Pianure Ardenti erano protetti da alcuni rudimentali incantesimi atti a difenderli dagli attacchi magici, ed Eragon sospettava che questi fossero equipaggiati allo stesso modo. Era sicuro di poter spezzare o aggirare qualsiasi incantesimo evocato dagli stregoni di Galbatorix, ma ci sarebbe voluto più tempo di quanto ne aveva a disposizione in quel momento. Allora ritrasse il braccio e con uno scatto del polso scagliò il sasso contro l'uomo coi baffi.

Il sasso trapassò l'elmo e il cranio del capitano.

Prima che i soldati avessero modo di reagire, Eragon piroettò su se stesso, strappò la lancia dalle mani del soldato che lo stava tormentando e la usò per disarcionarlo. Mentre l'uomo cadeva a terra, Eragon gli trafisse il cuore, spezzando la punta della lancia contro le placche metalliche della giubba imbottita del soldato. Lasciando l'asta dov'era, si tuffò in avanti, volando rasente il terreno mentre sette lance lo sfioravano e si conficcavano nel punto in cui si trovava un istante prima.

Nel momento stesso in cui Eragon aveva scagliato il ciottolo, Arya si era avventata sul fianco del cavallo più vicino a lei, balzando dalla staffa alla sella e sferrando un calcio alla testa del cavaliere ignaro. L'uomo volò a oltre trenta piedi di distanza. Poi Arya prese a balzare da un cavallo all'altro, uccidendo i soldati con le ginocchia, i piedi e le mani, in un'incredibile dimostrazione di grazia ed equilibrio.

Pietre appuntite affondarono nell'addome di Eragon quando rotolò fino a fermarsi. Con una smorfia, si trasse in piedi di scatto. Quattro soldati, smontati da cavallo, lo affrontarono con le spade sguainate. Caricarono. Scartando a destra, Eragon afferrò il polso del primo soldato che stava mulinando la spada e gli sferrò un pugno sotto l'ascella. L'uomo stramazzò a terra e rimase immobile. Eragon si liberò di altri due aggressori torcendo loro la testa finché le vertebre del collo non si spezzarono. Il quarto era troppo vicino, ormai, e gli correva incontro con la spada alzata. Eragon non poteva schivarlo.

In trappola, fece l'unica cosa che gli era possibile: colpì l'uomo al petto con tutta la forza. Una fontana di sangue e sudore sprizzò dal punto d'impatto. Il pugno sfondò la cassa toracica dell'uomo, che volò all'indietro di una dozzina di piedi, crollando su un altro cadavere riverso nell'erba.

Eragon ansimò e si piegò in due, massaggiandosi la mano dolorante. Si era lussato quattro nocche e la cartilagine bianca spuntava dalla pelle martoriata. Dannazione, pensò, mentre sangue caldo fiottava dalle ferite. Le dita si rifiutarono di muoversi al suo ordine; si rese conto che la mano era inutilizzabile fino al momento in cui non l'avesse guarita. Temendo un altro attacco, si guardò intorno in cerca di Arya e del resto dei soldati.

I cavalli si erano sparpagliati. Restavano in vita soltanto tre uomini. Arya si stava occupando di due soldati insieme, mentre il terzo fuggiva a gambe levate verso sud. Facendo appello alle sue forze, Eragon si lanciò all'inseguimento. Mentre colmava la distanza, l'uomo cominciò a implorare pietà, promettendo che non avrebbe raccontato a nessuno del massacro e tendendo le mani con i palmi aperti per dimostrare che era disarmato. Quando Eragon gli fu quasi addosso, l'uomo sterzò di lato e dopo qualche passo cambiò di nuovo direzione, zigzagando per la campagna come un coniglio terrorizzato. Continuava a supplicarlo, con le lacrime che gli rigavano le guance, dicendo che era troppo giovane per morire, che doveva ancora sposarsi e diventare padre, che i suoi genitori sarebbero morti di dolore, che era stato costretto ad arruolarsi nell'esercito e quella era soltanto la sua quinta missione, e perché Eragon non poteva lasciarlo in pace? «Perché ce l'hai con me?» singhiozzò. «Ho soltanto fatto il mio dovere. Sono una brava persona!»

Eragon esitò, poi si costrinse a dire: «Non puoi tenere il passo con noi. E non possiamo lasciarti libero; prenderesti un cavallo e ci tradiresti.»

«No, mai!»

«Ti chiederanno che cosa è successo qui. Il tuo giuramento a Galbatorix e all'Impero non ti consentirà di mentire. Mi dispiace, ma non so come liberarti dal tuo vincolo, se non...»

«Perché fai questo? Sei un mostro!» gridò l'uomo. Con un'espressione di puro terrore, fece un tentativo di aggirare Eragon e tornare sulla strada. Eragon lo raggiunse in meno di dieci passi e, mentre l'uomo ancora piangeva e implorava misericordia, gli cinse il collo con il braccio sinistro e strinse forte. Quando allentò la presa, l'uomo crollò ai suoi piedi, morto.

Eragon si sentì ricoprire la lingua di bile guardando la faccia cerea del soldato. Quando uccidiamo, uccidiamo una parte di noi stessi, pensò. Scosso da brividi in parte di sgomento, in parte di dolore, in parte di disprezzo di sé, tornò dov'era cominciata la schermaglia. Arya era inginocchiata accanto a un cadavere, intenta a lavarsi le mani e le braccia con l'acqua della borraccia del soldato.

«Come mai» gli chiese Arya «sei riuscito a uccidere quell'uomo, ma non hai potuto mettere un dito addosso a Sloan?» Si alzò e lo guardò dritto negli occhi.

Svuotato di ogni emozione, Eragon si strinse nelle spalle. «Era una minaccia. Sloan no. Non è ovvio?»

Arya rimase in silenzio per un po'. «Dovrebbe, ma per me non lo è... Mi vergogno di dover prendere lezioni di moralità da una persona con così scarsa esperienza. Forse sono stata troppo sicura, troppo convinta delle mie scelte.»

Eragon la sentiva parlare, ma le sue parole non gli dicevano niente mentre il suo sguardo vagava sui corpi inerti. È questo che è diventata la mia vita? si chiese. Una serie ininterrotta di battaglie? «Mi sento un assassino.»

«Capisco quanto è difficile per te» disse Arya. «Ricorda, Eragon, tu hai sperimentato soltanto una piccola parte di ciò che significa essere un Cavaliere dei Draghi. Questa guerra finirà prima o poi, e tu capirai che i tuoi doveri vanno ben oltre la violenza. I Cavalieri non erano soltanto guerrieri, ma guaritori, maestri e studiosi.»

Eragon serrò la mascella. «Perché combattiamo contro questi uomini, Arya?»

«Perché si frappongono tra noi e Galbatorix.»

«Allora dovremmo trovare un modo per colpire direttamente Galbatorix.»

«Non esiste alcun modo. Non possiamo marciare fino a Urû'baen finché non avremo sbaragliato il suo esercito. E non possiamo entrare nel suo castello finché non avremo disarmato quasi un secolo di trappole, magiche e meccaniche.»

«Dev'esserci un modo» borbottò Eragon. Rimase dov'era mentre Arya andava a prendere una lancia. Ma quando lei posò la punta della lancia sotto il mento di un soldato ucciso e spinse fino a fargliela entrare nel cranio, Eragon si avventò su di lei e l'allontanò con una spinta. «Che cosa fai?» gridò.

Una collera feroce balenò sul volto di Arya. «Ti perdono solo perché sei sconvolto e non ragioni lucidamente. Rifletti, Eragon! È troppo tardi per negare l'evidenza. Perché è necessario?»

La risposta gli arrivò come una frustata, e a malincuore Eragon rispose: «Perché se non lo facciamo, l'Impero noterà che la maggior parte degli uomini sono stati uccisi a mani nude.»

«Giusto! E gli unici in grado di farlo sono gli elfi, i Cavalieri e i Kull. E dato che perfino un imbecille capirebbe che un Kull non è responsabile di questo massacro, ben presto si renderanno conto che ci troviamo nei dintorni e in meno di un giorno Castigo e Murtagh voleranno qui a cercarci.» Un risucchio liquido accompagnò il gesto di Arya che strappava la lancia dal cadavere. L'elfa la tenne tesa verso Eragon finché lui non la prese. «Anch'io lo trovo ripugnante, perciò aiutami e facciamo in fretta.»

Eragon annuì. Arya recuperò una spada e insieme si misero al lavoro per dare l'impressione che fosse stata una squadra di ordinari guerrieri ad aver ucciso i soldati. Fu un lavoro sporco ma rapido, perché entrambi sapevano con precisione quale tipo di ferite i soldati avrebbero dovuto esibire per trarre in inganno, e nessuno dei due aveva voglia di indugiare. Quando arrivarono all'uomo col torace sfondato da Eragon, Arya disse: «Possiamo fare ben poco per mascherare una ferita come questa. Lasciamolo così e speriamo che pensino che sia stato travolto da un cavallo.» Si spostarono oltre. L'ultimo soldato era il capitano della pattuglia. I suoi baffi ciondolavano inerti e avevano perso parte del loro splendore.

Dopo aver allargato il foro del ciottolo perché sembrasse la tacca triangolare lasciata dalla punta di un martello da guerra, Eragon riposò un istante, contemplando i baffi tristi del capitano, e disse: «Sai, aveva ragione.»

«Su cosa?»

«Sul fatto che mi serve un'arma, un'arma vera. Ho bisogno di una spada.» Asciugandosi le mani con l'orlo della tunica, scrutò la pianura intorno a loro, contando i corpi. «Allora, è fatta. Abbiamo finito.» Senza dire altro, si accinse a raccogliere i pezzi sparsi della sua armatura, li riavvolse negli stracci e li rimise in fondo allo zaino. Poi raggiunse Arya sul poggio dov'era salita.

«Sarà meglio evitare le strade, d'ora in poi» disse lei. «Non possiamo rischiare un altro incontro con gli uomini di Galbatorix.» Indicando la mano destra di Eragon, che grondava sangue sulla tunica, disse: «Dovresti guarirla prima che ci rimettiamo in marcia.» E senza aspettare risposta, gli afferrò le dita paralizzate e disse: «Waíse heill.»

A Eragon sfuggì un gemito involontario mentre le articolazioni delle dita ritornavano nella loro sede, e i tendini lacerati e la cartilagine massacrata riacquistavano il pieno vigore, e i lembi di pelle che gli pendevano dalle nocche tornavano a coprire la carne viva. Quando l'incantesimo fu concluso, il giovane aprì e chiuse la mano per confermare la completa guarigione. «Grazie» disse. Lo sorprese che Arya avesse preso l'iniziativa pur sapendo che lui era del tutto capace di guarirsi da solo.

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