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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Eragon e Arya rimasero immobili qualche istante, l'uno di fronte all'altra. Poi Eragon cominciò a svolgere la striscia di tessuto che gli cingeva la testa, mentre Arya apriva la spilla che le fermava il mantello intorno alle spalle e lo posava sul letto. Portava un lungo abito color verde foresta, il primo vestito femminile che Eragon le avesse mai visto indossare.

Era una strana esperienza per lui vedere i loro aspetti ribaltati, lui simile a un elfo, e Arya a un'umana. Il cambiamento non tolse nulla al rispetto che provava per lei, ma in qualche modo lo mise più a suo agio, perché Arya gli sembrava meno estranea.

Fu lei a rompere il silenzio. «Saphira ha detto che sei rimasto indietro per uccidere l'ultimo Ra'zac ed esplorare l'Helgrind. È la verità?»

«È parte della verità.»

«E il resto quale sarebbe?»

Eragon sapeva che non si sarebbe accontentata di niente di meno. «Promettimi che non rivelerai a nessuno quello che sto per dirti, a meno che non sia io a darti il permesso.»

«Te lo prometto» disse lei nell'antica lingua.

Eragon allora le raccontò di come aveva trovato Sloan, della ragione per cui aveva deciso di non portarlo dai Varden, della condanna che aveva inflitto al macellaio e della possibilità che gli aveva dato di redimersi - almeno in parte - e recuperare la vista. Eragon concluse dicendo: «Qualunque cosa accada, Roran e Katrina non dovranno mai sapere che Sloan è ancora vivo. O saranno guai.»

Arya sedette sul bordo del letto e fissò la fiamma ondeggiante della lampada per un po'. Poi mormorò: «Avresti dovuto ucciderlo.»

«Forse hai ragione; ma non ho potuto.»

«Trovare sgradevole un compito non è una buona ragione per evitarlo. Sei stato un codardo.»

Eragon s'irrigidì davanti a quell'accusa. «Dici? Chiunque armato di coltello avrebbe potuto uccidere Sloan. Quello che ho fatto io è stato molto più difficile.»

«Fisicamente, ma non moralmente.»

«Non l'ho ucciso perché pensavo che fosse sbagliato.» Eragon aggrottò la fronte, concentrandosi per trovare le parole più adatte a spiegarsi. «Non avevo paura... non era quello. Non dopo aver combattuto in battaglia... È stato qualcos'altro. In guerra continuerò a uccidere, ma non voglio assumermi la responsabilità di decidere chi deve vivere e chi deve morire. Non ho l'esperienza né la saggezza... Ogni uomo ha un limite che non si sente di oltrepassare, Arya, e io ho scoperto il mio quando ho guardato Sloan. Dovessi anche prendere prigioniero Galbatorix in persona, non lo ucciderei. Lo porterei da Nasuada e da re Orrin, e se loro lo condannassero a morte, allora sarei ben lieto di tagliargli la testa, ma non prima. Chiamala debolezza, se vuoi, ma io sono fatto così, e non chiederò certo scusa per questo.»

«Allora sarai un semplice strumento nelle mani di qualcun altro?»

«Servirò il popolo come meglio posso. Non ho mai aspirato al comando. Alagaësia non ha bisogno di un altro tiranno.»

Arya si massaggiò le tempie. «Perché dev'essere sempre tutto così complicato con te, Eragon? Ovunque tu vada, trovi sempre il modo di ficcarti nelle situazioni più difficili. È come se cercassi apposta d'infilarti in ogni rovo che trovi sul cammino.»

«Tua madre ha detto più o meno la stessa cosa.»

«Non mi sorprende... D'accordo, ormai è fatta. Nessuno di noi due cambierà opinione, e abbiamo problemi più urgenti di cui occuparci invece di stare a discutere di giustizia e moralità. In futuro, però, faresti meglio a ricordare chi sei e che cosa rappresenti per i popoli di Alagaësia.»

«Non lo dimentico mai.» Eragon aspettò una risposta, ma Arya lasciò correre. Sedendosi sul bordo del tavolo, Eragon allora disse: «Non dovevi venire a cercarmi, sai. Sto bene.»

«Sì che dovevo.»

«Come hai fatto a trovarmi?»

«Ho intuito quale direzione avresti preso dall'Helgrind. Per fortuna l'istinto mi ha portata a quaranta miglia da qui, una distanza che mi è bastata a individuarti ascoltando i sussurri della terra.»

«Non capisco.»

«Un Cavaliere non passa inosservato in questo mondo, Eragon. Coloro che hanno orecchie per ascoltare e occhi per vedere possono facilmente interpretare i segni. Gli uccelli cantano del tuo passaggio, le bestie della terra riconoscono il tuo odore, e gli alberi e l'erba ricordano il tuo contatto. Il legame fra Cavaliere e drago è così potente che le creature sensibili alle forze della natura possono percepirlo.»

«Devi insegnarmi questo trucchetto una volta o l'altra.»

«Nessun trucchetto, Eragon: è solo l'arte di prestare attenzione a ciò che già ti circonda.»

«Ma perché sei venuta qui ad Agrod'est? Non sarebbe stato più prudente incontrarci fuori?»

«Le circostanze mi hanno costretta a entrare nel villaggio, come immagino sia capitato anche a te. Non era questa la tua meta, giusto?»

«No...» Eragon si sciolse le spalle per liberarle dalle fatiche del viaggio. Lottando contro il sonno, indicò l'abito che lei indossava. «Hai finalmente deciso di abbandonare camicia e pantaloni?»

Un fievole sorriso increspò le labbra di Arya. «Soltanto per la durata di questo viaggio. Ho vissuto fra i Varden per più anni di quanti non tenga a ricordare, eppure ancora mi stupisco di come gli umani insistano nel considerare diversi gli uomini e le donne. Non sono mai riuscita ad adottare le vostre usanze, anche se non mi sono mai nemmeno comportata come una vera elfa. E poi chi c'era a dirmi questo si fa e questo non si fa? Mia madre? Lei era all'altro capo di Alagaësia.» Arya s'interruppe all'improvviso, come se avesse detto più di quanto volesse. Poi riprese. «Comunque ho avuto un malaugurato incontro con un paio di bovari poco dopo aver lasciato i Varden, così ho rubato questo vestito.»

«Ti sta molto bene.»

«Uno dei vantaggi di essere una maga è che non devi mai dipendere da una sarta.»

Eragon scoppiò a ridere. Poi si fece serio e domandò: «E adesso?»

«Adesso ci riposiamo. Domattina, prima dell'alba, sgattaioleremo via da Agrod'est e nessuno saprà che fine abbiamo fatto.»

Quella notte, Eragon si distese sul pavimento davanti alla porta, mentre Arya riposava sul letto. La sistemazione non era dovuta a deferenza o cortesia da parte di Eragon - che avrebbe insistito comunque per cedere il letto ad Arya - quanto a prudenza. Se fosse entrato qualcuno nella stanza, avrebbe trovato quantomeno strano che una donna dormisse sul pavimento.

Mentre le ore si susseguivano lente, Eragon fissava le travi del soffitto e seguiva le fessure nel legno, incapace di calmare i pensieri in subbuglio. Aveva provato ad acquietarsi in tutti i modi, ma la sua mente continuava a tornare verso Arya, la sorpresa di vederla, i suoi commenti a proposito di Sloan, e soprattutto i sentimenti che provava per lei. Quali fossero non lo sapeva bene nemmeno lui. Desiderava con tutto se stesso stare con Arya, ma lei l'aveva respinto, e questo aveva macchiato il suo affetto di dolore e di rabbia, oltre che di frustrazione, perché Eragon non voleva accettare che il suo corteggiamento fosse senza speranza, ma non sapeva come altrimenti comportarsi.

Si sentiva il petto oppresso dallo struggimento mentre ascoltava il lieve respiro regolare di Arya. Lo tormentava il fatto di esserle accanto senza potersi avvicinare. Si torceva l'orlo della tunica fra le dita, col desiderio di poter fare qualcosa invece di rassegnarsi a un triste destino.

Combatté contro quelle emozioni violente fino a notte fonda, quando la stanchezza prese il sopravvento, trascinandolo nell'accogliente abbraccio di un riposo vigile. Fluttuò in quello stato di dormiveglia per un paio d'ore, fino a quando lo splendore delle stelle non cominciò ad affievolirsi e fu il momento di partire da Agrod'est.

Eragon e Arya aprirono la finestra e scavalcarono il davanzale, atterrando venti piedi più in basso, un dislivello di poco conto per le capacità di un elfo. Mentre saltava, Arya strinse a sé l'orlo della veste per non farla svolazzare. Toccarono terra a pochi centimetri l'uno dall'altra, e subito presero a correre fra le case, verso la palizzata.

«Si chiederanno dove siamo andati» disse Eragon mentre correvano. «Forse sarebbe stato meglio aspettare e ripartire come viaggiatori normali.»

«Era troppo rischioso aspettare. Ho già pagato la stanza. Per la proprietaria della locanda è questo che conta, non se due ospiti se ne vanno prima dell'alba.» I due si separarono per qualche secondo, il tempo di aggirare un carro abbandonato, poi Arya aggiunse: «La cosa più importante è non fermarsi. Se indugiamo, il re ci troverà di sicuro.»

Quando arrivarono alla palizzata, Arya la perlustrò fino a trovare un palo sporgente. Lo afferrò e lo trasse a sé per saggiare la resistenza del legno. Il palo ondeggiò e sbatacchiò contro i due vicini, ma comunque resse.

«Prima tu» disse Arya.

«Prego, prima tu.»

Con un sospiro d'impazienza, Arya agitò un lembo dell'abito. «Un vestito è un po' più indecente di un paio di pantaloni, Eragon.»

Eragon si sentì avvampare le guance quando colse il senso della frase. Protese le mani, trovò un appiglio e cominciò a scalare la palizzata, issandosi con le ginocchia e con i piedi. Una volta in cima, si fermò e rimase in equilibrio sulla punta del palo.

«Avanti» mormorò Arya.

«Non finché non vieni anche tu.»

«Non essere così...»

«Sentinella!» disse Eragon, e indicò un punto poco lontano. Una lanterna oscillava nel buio fra due case vicine. Mentre la luce si avvicinava, la sagoma di un uomo emerse dal buio. Impugnava una spada sguainata.

Silenziosa come un fantasma, Arya afferrò il palo e con la sola forza delle braccia cominciò a salire verso Eragon. Sembrava scivolare verso l'alto senza fatica, come per incanto. Quando fu abbastanza vicina, Eragon la prese per l'avambraccio e l'aiutò a issarsi sopra la palizzata, accanto a sé. Come due strani uccelli appollaiati, rimasero immobili e in silenzio mentre il sorvegliante passava sotto di loro. L'uomo faceva dondolare la lanterna di qua e di là, in cerca di intrusi.

Non guardare a terra,

pregò Eragon.

E non guardare in alto.

Un istante dopo, il sorvegliante notturno rinfoderò la spada e continuò la ronda, canticchiando sottovoce.

Senza scambiarsi una parola, Eragon e Arya balzarono dall'altra parte della palizzata. L'armatura nello zaino di Eragon sferragliò quando lui atterrò sul terrapieno erboso rotolando su se stesso per attutire l'impatto. Balzato in piedi, si chinò e cominciò a correre nella landa grigia, con Arya al seguito. Si servirono di conche e letti asciutti di torrenti per evitare le fattorie che circondavano il villaggio. Cinque o sei volte, cani infuriati li rincorsero per protestare contro l'invasione del loro territorio. Eragon cercò di rabbonirli con la mente, ma scoprì che l'unico modo per impedire ai cani di continuare ad abbaiare era far credere loro che avevano zanne e unghie così spaventose da mettere in fuga chiunque. Soddisfatti del successo, i cani tornavano scodinzolando ai capanni, alle baracche e ai portici dov'erano di guardia. La loro tronfia baldanza divertì Eragon.

A cinque miglia da Agrod'est, quando furono certi di essere davvero soli e di non essere stati seguiti, Eragon e Arya fecero una sosta accanto a un ceppo carbonizzato. Arya scavò una piccola fossa nel terreno. «Adurna rïsa» disse. Con un fievole gorgoglio, l'acqua affiorò dal suolo e si raccolse nella buca. Arya aspettò che la cavità fosse piena, poi disse «Letta» e il flusso s'interruppe.

Evocò un incantesimo di divinazione, e il volto di Nasuada comparve sulla superficie dell'acqua immobile. Arya la salutò. «Mia signora» disse Eragon con un inchino.

«Eragon» rispose Nasuada. Aveva l'aria stanca e le guance scavate, come se fosse molto malata. Una ciocca le sfuggì dalla crocchia, arricciandosi verso l'attaccatura dei capelli. Eragon scorse una pesante fasciatura sul braccio che Nasuada levò per appiattire il ricciolo ribelle. «Sei sano e salvo, grazie a Gokukara. Eravamo preoccupati.»

«Mi dispiace di averti dato pensieri, ma avevo le mie ragioni.»

«Me le spiegherai al tuo ritorno.»

«Come desideri» disse lui. «Cosa ti sei fatta? Qualcuno ti ha aggredita? Perché nessuno del Du Vrangr Gata ha guarito le tue ferite?»

«Sono stata io a ordinare di non farlo. Anch'io ti darò le mie spiegazioni quando arriverai.» Sebbene perplesso, Eragon annuì e trattenne le domande che gli bruciavano sulle labbra. Ad Arya, Nasuada disse: «Sono colpita. Lo hai trovato. Non ero sicura che ce l'avresti fatta.»

«La fortuna mi ha assistito.»

«Può darsi, ma sono indotta a credere che le tue doti siano state importanti quanto la generosità della fortuna. Fra quanto pensate di essere qui?»

«Due, tre giorni, se non ci sono imprevisti.»

«Bene. Allora vi aspetterò. Da adesso in poi voglio che mi cerchiate almeno una volta prima di mezzogiorno e una volta prima di notte. Se non avrò vostre notizie, riterrò che siate stati catturati e manderò Saphira con una squadra di soccorso.»

«Potremmo non avere sempre la libertà di usare la magia.»

«Trovate il modo. Ho bisogno di sapere dove siete e se siete al sicuro.»

Arya ci rifletté qualche istante, poi disse: «Se posso, farò come chiedi, ma non se questo dovesse comportare un pericolo per Eragon.»

«Concesso.»

Approfittando della pausa nella conversazione, Eragon disse: «Nasuada, Saphira è vicina a te? Vorrei parlarle... Non ci sentiamo da quando ci siamo separati sull'Helgrind.»

«È andata un'ora fa in perlustrazione. Riuscite a non far spezzare questo incantesimo finché non scopro se è tornata?»

«Vai pure» rispose Arya.

Bastò un passo per far uscire Nasuada dal loro campo visivo, lasciando dietro di sé l'immagine fissa del tavolo e delle sedie del suo padiglione rosso. Per un po' Eragon studiò l'arredamento della tenda, ma poi l'irrequietezza lo portò a distogliere lo sguardo dall'acqua per lasciarlo indugiare sulla nuca di Arya. I lunghi capelli neri le ricadevano oltre una spalla, lasciando scoperta un'ampia porzione della pelle appena sopra la scollatura dell'abito. Eragon rimase a fissarla per quasi un minuto, poi si riscosse e si appoggiò con la schiena al ceppo bruciato.

Dopo un po' ecco un rumore di legno spezzato, e poi uno sfavillio di squame azzurre riempì la pozza d'acqua mentre Saphira si contorceva per entrare nel padiglione. Era difficile stabilire di quale parte di drago si trattasse. Le squame si spostarono; Eragon scorse la parte bassa di una coscia, una delle punte acuminate della coda, la membrana floscia di un'ala ripiegata, e infine lo scintillio di una zanna, mentre la dragonessa si rigirava per trovare una posizione comoda e riuscire a guardare lo specchio che Nasuada usava per le sue arcane comunicazioni. Dai rumori sospetti provenienti dietro la dragonessa, Eragon intuì che stava facendo a pezzi gran parte della mobilia. Alla fine Saphira trovò pace, avvicinò la testa allo specchio - uno dei suoi enormi occhi color zaffiro bastava a riempire l'intera pozza - e scrutò Eragon.

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