Volodyk - Paolini2-Eldest
Per poco non mi facevi cadere, si lamentò Eragon, sciogliendosi i muscoli indolenziti delle braccia che aveva tenuto avvinghiate al suo collo.
Lei gli rivolse un sogghigno divertito. Per poco, ma non abbastanza.
È vero, rise lui.
Accaldati per l'eccitazione della vittoria, tornarono alle zattere. Mentre Saphira ammarava sollevando due ampi ventagli di spruzzi, Orik gridò: «Siete feriti?»
«No» esclamò Eragon. L'acqua gelida gli lambiva le gambe, mentre Saphira nuotava verso il battello. «Erano un'altra delle razze native dei Beor?»
Orik lo aiutò a issarsi sulla zattera. «Li chiamiamo Fanghur. Non sono intelligenti come i draghi, e non possono sputare fuoco, ma restano pur sempre combattenti formidabili.»
«L'abbiamo visto.» Eragon si massaggiò le tempie per alleviare il mal di testa provocato dall'attacco dei Fanghur. «Ma con Saphira non avevano scampo.»
Naturale, si vantò lei.
«È così che cacciano» spiegò Orik. «Usano la mente per immobilizzare la preda mentre la uccidono.» Saphira schizzò Eragon con un guizzo di coda. £ una buona idea. Me ne ricorderò la prossima volta che vado a caccia. Lui annuì. Potrebbe tornarci utile anche in battaglia.
Arya si avvicinò al bordo della zattera. «Sono lieta che non li abbiate uccisi. I Fanghur sono così rari che sarebbe stato un peccato eliminare quei tre.»
«Ne restano comunque abbastanza da decimare il nostro bestiame» brontolò Thorv dall'interno della cabina. Il nano uscì e si diresse verso Eragon, borbottando sotto la massa intricata della barba. «Non andate più a volare mentre siamo ancora fra i Monti Beor, Ammazzaspettri. Già è difficile proteggerti, senza che tu e il tuo drago vi azzuffiate con le vipere del cielo.»
«Resteremo a terra finché non raggiungeremo le pianure» promise Eragon.
«Bene!»
Quando si fermarono per la notte, i nani ormeggiarono le zattere ad alcuni pioppi che crescevano sulla bocca di un piccolo affluente. Ama accese un falò, mentre Eragon aiutava Ekksvar a sbarcare Fiammabianca. Legarono lo stallone in una zona erbosa.
Thorv controllò l'allestimento di sei grandi tende. Hedin raccolse tanta legna da poter alimentare il fuoco fino al mattino. Dùthmér andò a prendere le provviste sulla seconda zattera e si accinse a preparare la cena. Arya montò di guardia ai margini dell'accampamento, dove ben presto fu raggiunta da Ekksvar, Ama e Trìhga, che avevano finito di svolgere le altre mansioni.
Eragon si accorse di non avere niente da fare, così andò ad accovacciarsi davanti al falò, in compagnia di Orik e Shrrgnien. Quando Shrrgnien si tolse i guanti per avvicinare le mani deformi al fuoco, Eragon notò che da ciascuna nocca, tranne che dai pollici, spuntava un chiodo di lucido acciaio lungo all'incirca un quarto di pollice. «Cosa sono?» domandò.
Shrrgnien guardò Orik e rise. «Sono i miei Ascùdgamln, i miei pugni d'acciaio.» Senza alzarsi, girò il busto e sferrò un pugno al tronco di un pioppo, lasciando quattro fori simmetrici nella corteccia. «Comodi per colpire, eh?» La cosa suscitò la curiosità e l'invidia di Eragon. «Come sono fatti? Voglio dire, i chiodi, come sono attaccati alle mani?»
Shrrgnien esitò, cercando di trovare le parole giuste. «Un guaritore ti fa cadere in un sonno profondo, per non farti sentire dolore. Poi ti vengono... trapanate, giusto?... trapanate le articolazioni e...» S'interruppe e si rivolse a Orik nel linguaggio dei nani, parlando fitto fitto.
«In dascun foro viene inserito un dado di metallo» spiegò Orik, «che viene sigillato nella carne con la magia. Quando il guerriero si è completamente ristabilito, nei dadi si possono avvitare chiodi di diversa misura.»
«Già, guarda» disse Shrrgnien con un sogghigno. Afferrò il chiodo dell'indice sinistro e lo svitò lentamente, poi lo porse a Eragon.
Eragon sorrise mentre soppesava il pezzo di metallo acuminato nel palmo della mano. «Non mi dispiacerebbe avere questi pugni d'acciaio.» Restituì il chiodo a Shrrgnien.
«È un'operazione pericolosa» lo ammonì Orik. «Sono ben pochi i knurlan che si fanno impiantare gli Ascùdgamln, perché c'è il rischio di perdere l'uso della mano, se il trapano arriva troppo in profondità.» Levò un pugno e lo mostrò a Eragon. «Le nostre ossa sono più robuste delle vostre. Potrebbe non funzionare per un umano.» «Me lo ricorderò.» Ma Eragon non potè fare a meno di immaginare come si sarebbe sentito a combattere con gli Ascùdgamln, a poter colpire qualsiasi cosa senza correre rischi, persino le armature degli Urgali. L'idea lo solleticava. Dopo mangiato, Eragon si ritirò nella sua tenda. La luce del falò all'esterno gli consentiva di vedere la sagoma di Saphira accucciata accanto alla tenda, come una figura ritagliata da un foglio nero e incollata alla parete di tela. Eragon si sedette con le coperte tirate sulle gambe e si guardò in grembo, assonnato: non aveva ancora voglia di addormentarsi. Libera di pensare, la sua mente cominciò a vagare fra i ricordi di casa. Eragon si domandò che cosa stessero facendo Roran, Horst e gli altri abitanti di Carvahall, e se il tempo nella Valle Palancar fosse abbastanza mite da permettere ai contadini di dare inizio alla semina. Lo pervase una profonda tristezza e sentì nostalgia di casa. Prese una ciotola di legno dallo zaino e la riempì fino all'orlo con l'acqua versata dalla borraccia. Poi si concentrò su un'immagine di Roran e mormorò: «Draumr kópa.»
Come sempre, l'acqua prima divenne nera per poi illuminarsi e rivelare la persona o la cosa da divinare. Eragon vide Roran seduto da solo in una stanza da letto illuminata dalla fiamma di una candela. Eragon riconobbe la casa di Horst. Roran deve aver lasciato il suo lavoro a Therinsford, pensò. Suo cugino aveva la schiena curva, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, e fissava il muro con espressione corrucciata, segno di qualche grave problema. Eppure sembrava sano, anche se un po' stanco, ed Eragon si sentì rincuorato. Dopo un minuto, dissolse l'incantesimo e l'acqua tornò limpida.
Confortato, vuotò la ciotola, poi si sdraiò, tirandosi le coperte fino al mento. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare nel tiepido sopore che separa la veglia dal sonno, dove la realtà si piega e ondeggia al flusso dei pensieri, e la fantasia sboccia in tutta libertà, svincolata dalla materia, e tutto è possibile.
Il sonno lo vinse. Dormì tranquillo, ma poco prima di destarsi, i soliti fantasmi notturni furono sostituiti da una visione non meno chiara e vibrante che se fosse stato sveglio.
Vide un cielo tormentato, nero e cremisi di fumo. Corvi e aquile volteggiavano sopra nugoli di frecce che volavano da un lato all'altro di due schieramenti in battaglia. Un uomo annaspava nel fango con l'elmo ammaccato e l'armatura insanguinata, il volto celato da un braccio alzato.
Una mano guantata d'acciaio entrò nella visuale di Eragon,
tanto vicina da oscurare metà del mondo con lo scintillio del metallo. Come una macchina inesorabile, il pollice e le ultime tre dita si chiusero a pugno, lasciando l'indice teso verso l'uomo riverso, implacabile e crudele come il fato. La visione era ancora vivida nella mente di Eragon quando sgusciò fuori dalla tenda. Trovò Saphira a una certa distanza dall'accampamento, intenta a masticare una massa pelosa. Quando le raccontò cosa aveva visto, la dragonessa smise di masticare, poi inarcò il collo e inghiottì il boccone ancora intero.
L'ultima volta che ti è successo, disse lei, si è rivelata un'esatta predizione di eventi che si svolgevano altrove. Credi che ci sia una battaglia in corso in Alagaè'sia?
Lui tirò un calcio a un rametto spezzato. Non ne sono sicuro... Brom disse che si possono divinare soltanto persone, luoghi e cose che uno ha già visto. Eppure quel luogo non l'ho mai visto. Né avevo mai conosciuto Arya quando la sognai la prima volta a Teirm. Magari Togira Ikonoka saprà darci una spiegazione.
Mentre si preparavano alla partenza, i nani sembravano molto più tranquilli ora che avevano messo una discreta distanza fra loro e Tarnag. Quando cominciarono a navigare lungo l'Az Ragni, Ekksvar - che timonava la zattera di Fiammabianca - cominciò a cantare con la sua roca voce da basso:
Lungo la corrente impetuosa
Del sangue spumeggiante di Kilf,
Cavalchiamo i legni ondeggianti,
Per la patria, il clan e l'onore.
Sotto il dominio delle aquile, Nelle foreste dei lupi di montagna
Cavalchiamo i legni sanguinanti, Per il ferro, l'oro e il diamante.
Ascia e piccozza, riempite il mio palmo, Lamina da guerra, proteggi la mia pietra, Mentre lascio la dimora dei miei padri Per le terre desolate e ignote.
Gli altri si unirono a Ekksvar, intonando altre strofe nel linguaggio dei nani. Il canto basso e vibrante accompagnò Eragon mentre puntava cauto verso la prua del battello, dove Arya era seduta a gambe incrociate. «Ho avuto... una visione durante il sonno» disse Eragon. Arya lo guardò con interesse, e lui le riferì le immagini che aveva visto. «Se stavo divinando, allora...»
«Non era divinazione» lo interruppe Arya, poi proseguì con voluta lentezza, per non dar luogo a equivoci. «Ho riflettuto a lungo su come tu sia riuscito a vedermi imprigionata a Gil'ead, e sono giunta alla conclusione che mentre ero priva di sensi il mio spirito ha vagato in cerca di aiuto, ovunque riuscisse a trovarlo.»
«Ma perché io?»
Arya indicò con la testa la mole di Saphira che fendeva le acque. «Durante i quindici anni in cui ho sorvegliato il suo uovo, mi ero abituata alla presenza di Saphira. Probabilmente mi stavo dilatando verso qualunque cosa mi fosse familiare, quando ho toccato i tuoi sogni.»
«Sei davvero così potente da evocare qualcuno a Teirm da Gil'ead? Ti avevano anche drogata!.» Un lieve sorriso comparve sulle labbra di Arya. «Potrei trovarmi alle porte di Vroengard e parlarti con la stessa chiarezza con cui parliamo adesso.» Fece una pausa. «Poiché a Teirm non si trattò di divinazione, vuol dire che anche questo nuovo sogno non lo hai divinato, e perciò
dev'essere stata una premonizione. Si sa che ogni tanto capitano alle razze senzienti, specie a coloro che usano la magia.»
La zattera rollò ed Eragon, per sostenersi, si afferrò alla rete che conteneva le provviste. «Se quello che ho visto si realizzerà, allora come possiamo cambiare le cose che avvengono? Le nostre scelte non contano niente? E se mi gettassi in acqua in questo preciso istante e mi lasciassi annegare?»
«Non lo farai.» Arya immerse l'indice nel fiume e fissò la goccia solitària che le restava sospesa alla pelle, come una tremula lente. «Tanto tempo fa, l'elfo Maerzadi ebbe la premonizione che avrebbe ucciso accidentalmente suo figlio in battaglia. Piuttosto che vivere per vederlo succedere, preferì uccidersi, salvare suo figlio e al tempo stesso provare che il futuro non è prestabilito. Ma a meno che tu non ti suicidi, puoi fare ben poco per cambiare il tuo destino, poiché non sai quali scelte ti condurranno a quel particolare momento nel tempo che hai visto.» Scrollò la mano e la goccia piovve sul legno fra di loro. «Sappiamo che è possibile carpire informazioni al futuro... gli indovini spesso percepiscono il corso che prenderà la vita di una persona... ma non siamo stati capaci di raffinare il processo al punto tale da poter scegliere che cosa, dove e quando vedere.»
Eragon trovava profondamente inquietante l'idea di far scorrere la conoscenza attraverso il tempo. Suscitava troppi interrogativi sulla natura della realtà. Che il fato e il destino esistano oppure no, l'unica cosa che posso fare è godermi il presente e vivere nel modo più onorevole possibile. Eppure non potè fare a meno di domandare: «Che cosa mi impedisce, però, di divinare uno dei miei ricordi? In essi ho già visto tutto... perciò dovrei riuscire a vederli con la magia.»
Arya si volse di scatto a guardarlo negli occhi. «Se ti preme la vita, non provarci mai. Tanti anni fa, alcuni dei nostri maghi si dedicarono al tentativo di sconfiggere gli enigmi del tempo. Quando cercarono di evocare il passato, riuscirono soltanto a creare un'immagine sfuocata nello specchio, prima che l'incantesimo consumasse tutta la loro energia e li uccidesse. Non abbiamo più compiuto esperimenti del genere. Si dice che l'incantesimo funzionerebbe con la partecipazione di un numero maggiore di maghi, ma nessuno ha voglia di rischiare e la teoria resta non provata. Se anche uno riuscisse a divinare il passato, non avrebbe alcuna utilità. E per divinare il futuro, bisognerebbe conoscere esattamente cosa sta per accadere, quando e dove, il che vanifica lo scopo.
«È un mistero quindi, come una persona possa avere premonizioni mentre dorme, come possa fare inconsapevolmente qualcosa che ha sconfitto i nostri più grandi sapienti. Le premonizioni possono essere legate alla natura e alla sostanza stessa della magia... o magari funzionano in maniera simile alla memoria ancestrale dei draghi. Non lo sappiamo. Sono molte le vie della magia ancora da esplorare.» L'elfa si alzò con fluida agilità. «Cerca di non smarrirti in esse.»
Inquietudini
Nel corso della mattinata, la valle andò sempre più allargandosi, a mano a mano che le zattere procedevano verso un ampio varco fra due montagne. A mezzogiorno raggiunsero lo sbocco e finalmente abbandonarono un regno di ombre per affacciarsi su una pianura assolata che si perdeva a vista d'occhio.
La corrente li trascinò oltre i picchi innevati, e le pareti del mondo si aprirono per rivelare un cielo sconfinato e un orizzonte piatto. Quasi all'istante l'aria si fece più mite. L'Az Ragni curvava a est, lambendo le colline da un lato e la pianura dall'altro.
La vastità del panorama sembrava turbare i nani. Borbottavano fra di loro e rivolgevano sguardi struggenti alla gola cavernosa che si lasciavano alle spalle.
Eragon si sentì rinvigorito dai raggi del sole. Era difficile persino sentirsi svegli quando per tre quarti della giornata eri immerso nella penombra. Dietro la sua zattera, Saphira spiccò il volo dall'acqua e si librò sulla prateria fino a diventare un puntino splendente sotto l'azzurra volta.
Che cosa vedi? le domandò.
Vedo branchi di gazzelle a nord e a est. A ovest, il Deserto di Hadarac. Tutto qui.
Nient'altro? Niente Urgali, o carovane di mercanti di schiavi, o di nomadi?
Siamo soli.
Quella sera Thorv scelse una piccola insenatura per accamparsi. Mentre Dùthmér preparava la cena, Eragon sgombrò una zona di fianco alla sua tenda, poi estrasse Zar'roc e assunse la posizione di guardia che Brom gli aveva insegnato quando si allenavano. Eragon sapeva di non essere all'altezza degli elfi, e non aveva alcuna intenzione di arrivare a Ellesméra fuori esercizio.
Con estrema lentezza, levò Zar'roc sopra la testa e la calò con entrambe le mani come per spaccare l'elmo di un nemico. Mantenne la posizione per un secondo; poi, sempre controllando i movimenti, torse il busto a destra, girando la lama di Zar'roc per parare un colpo immaginario... poi si fermò con le braccia rigide.