Volodyk - Paolini2-Eldest
Preoccupato, Roran trovò pane e carne in cucina, poi andò ad aiutare i bambini ad affilare le punte della lancia. Quando arrivò Felda, una delle madri, Roran lasciò i bambini alla sua custodia, e riattraversò i torrenti di fango di Carvahall per tornare sulla strada maestra.
Mentre si accovacciava nel fango, un improvviso raggio di sole squarciò la cappa grigia, illuminando le gocce di pioggia che sembravano ardere di un fuoco cristallino. Roran contemplava rapito lo spettacolo, incurante della pioggia che gli bagnava il viso. Lo squarcio fra le nubi continuò ad allargarsi, finché il poderoso fronte di nubi temporalesche si fermò sul versante occidentale della Valle Palancar, mentre dall'altro lato si stagliava una limpida fascia di cielo azzurro: era come se il pennello di un artista avesse tracciato una riga netta sul panorama bagnato, con i campi, i cespugli, gli alberi, il fiume e le montagne che da una parte sfolgoravano di colori brillanti, e dall'altra erano grevi di ombre scure. Sembrava che il mondo fosse stato trasformato in una scultura di metallo brunito.
Poi, d'un tratto, Roran colse un movimento con la coda dell'occhio e vide un soldato fermo sulla strada, la cotta di maglia che scintillava come ghiaccio. L'uomo spalancò la bocca sbalordito davanti alle nuove fortificazioni di Carvahall, poi si volse per dileguarsi in fretta nella nebbiolina dorata.
«Soldati!» gridò Roran, balzando in piedi. Era un peccato non avere l'arco con sé, ma lo aveva lasciato in casa per proteggerlo dagli elementi. La sua unica consolazione era che anche i soldati avrebbero avuto difficoltà a tenere le armi asciutte.
Dalle case del villaggio, uomini e donne accorsero per assieparsi lungo la trincea e sbirciarono fra i rami dello sbarramento di pini imperlati di gocce di pioggia, zirconi lucenti che riflettevano file di occhi angosciati. Roran si trovò al fianco di Sloan. Il macellaio impugnava uno degli scudi costruiti da Fisk nella sinistra, e nella destra una mannaia ricurva come una mezzaluna. Aveva la cintura festonata da una dozzina di coltelli, tutti grandi e affilati come rasoi. Lui e Roran si scambiarono un cenno d'intesa, poi tornarono a concentrarsi sul punto dov'era scomparso il soldato.
Meno di un minuto dopo, la voce disincarnata di un Ra'zac sibilò nella bruma: «La vossstra ossstinazione nel difendere Carvahall è una dichiarazione d'intenti. Il vossstro dessstino è sssegnato: morirete!»
Rispose Loring: «Mostrate le vostre facce pustolose se osate, luridi vermi, insetti schifosi, viscidi serpenti, mostril Vi spaccheremo il cranio e ingrasseremo i porci con il vostro sangue!»
Una sagoma scura volò verso di loro, seguita dal tonfo sordo di una lancia che si conficcava in una porta, a un soffio dal braccio sinistro di Gedric.
«Al riparo!» gridò Horst dal centro della linea. Roran s'inginocchiò dietro lo scudo e sbirciò attraverso il sottile spiraglio fra due tavole. Fece appena in tempo, poiché una mezza dozzina di lance sfrecciarono oltre lo sbarramento di alberi per piombare fra i villici rannicchiati.
Da qualche parte, nella nebbia, si udì un grido straziante.
Il cuore di Roran sobbalzò. Aveva il fiato corto, anche se non aveva mosso un muscolo, e le mani fradicie di sudore. Udì un debole rumore di vetro infranto ai margini settentrionali di Carvahall... poi il boato di un'esplosione e lo schianto del legno.
Voltandosi di scatto, lui e Sloan si precipitarono dall'altra parte di Carvahall, dove trovarono una squadra di sei soldati che spostavano i resti tranciati di alcuni alberi. Alle loro spalle, lividi e infuriati nella luccicante cortina di pioggia, sedevano i Ra'zac sui loro neri destrieri. Senza rallentare, Roran balzò contro il primo uomo con la lancia in pugno. Il soldato parò il primo e il secondo affondo con un braccio levato, poi Roran lo colpì al fianco e, quando l'uomo barcollò, gli trapassò la gola.
Sloan ululò come una bestia impazzita e scagliò la mannaia, che si andò a conficcare nell'elmo di un soldato, spaccandogli il cranio. Due soldati lo caricarono con le spade sguainate. Sloan scartò di lato, ridendo, adesso, e si difese dall'attacco con lo scudo. Un soldato colpì tanto forte che la lama gli restò conficcata nel legno. Sloan lo attirò a sé e gli piantò un coltello nell'occhio. Estratta un'altra mannaia, il macellaio cominciò a saltellare intorno al secondo avversario, fissandolo con un ghigno da folle. «Mi divertirò a sbudellarti come un capretto!» gracchiò, gli occhi iniettati di sangue.
Roran perse la lancia nel combattere contro gli altri due rimasti. Riuscì appena in tempo a estrarre il martello per parare il fendente di una spada, che altrimenti gli avrebbe tagliato la gamba. Il soldato che gli aveva strappato la lancia di mano gliela scagliò addosso, mirando al petto. Roran lasciò cadere il martello e l'afferrò al volo, con una mossa fulminea che sorprese lui stesso almeno quanto i soldati. Poi si volse e la piantò fra le costole dell'uomo che l'aveva tirata, e quella rimase incastrata nel metallo della corazza. Ormai disarmato, si vide costretto a indietreggiare davanti all'altro soldato. Inciampò su un cadavere, ferendosi il polpaccio su una spada nel cadere, e rotolò di fianco per schivare un colpo, cercando a tentoni nel fango qualcosa, qualunque cosa, da poter usare come arma. Le sue dita frenetiche si strinsero su un'elsa. Strappò la lama dal fango e recise di netto la mano del soldato che impugnava la spada. L'uomo si guardò inebetito il moncherino sanguinante. «Colpa mia che non ho usato lo scudo» farfugliò.
«Già» assentì Roran, e gli tagliò la testa.
In preda al panico, l'ultimo soldato fuggì verso le impassibili sagome dei Ra'zac, mentre Sloan lo subissava di insulti e maledizioni. Nella fitta cortina di pioggia, Roran osservò con un brivido di orrore le due figure nere protendersi dai cavalli e afferrare l'uomo per la gola con mani deformi. Le dita crudeli si strinsero; l'uomo emise un gorgoglio disperato e si divincolò, poi il suo corpo si afflosciò inerte. I Ra'zac trassero il cadavere su una delle selle, poi voltarono i cavalli e si allontanarono.
Roran rabbrividì e guardò Sloan, che stava pulendo le lame. «Hai combattuto bene.» Mai avrebbe immaginato che il macellaio avesse in corpo tanta ferocia.
Sloan disse a bassa voce: «Non avranno mai Katrina. Mai, dovessi scuoiarli uno per uno, o combattere mille Urgali, e anche il re, se necessario. Tirerò giù il cielo e farò annegare l'Impero nel suo stesso sangue, prima che le venga torto un capello.» Poi serrò le labbra, si rimise i coltelli nella cintura, e cominciò a trascinare i tre alberi spezzati al loro posto. Nel frattempo Roran fece rotolare i soldati morti nel fango, lontani dalle fortificazioni. Adesso ne ho uccisi cinque. Alla fine si stiracchiò la schiena indolenzita e si guardò intorno, perplesso, perché non sentiva altro che il sibilo della pioggia nel silenzio. Perché nessuno è venuto ad aiutarci?
Chiedendosi che cos'altro era successo, tornò con Sloan sulla scena del primo attacco. Due soldati penzolavano inerti dai rami viscidi dello sbarramento di alberi, ma non fu quello ad attirare la loro attenzione. Horst e gli altri abitanti del villaggio erano inginocchiati in circolo intorno a un corpicino immobile. Roran trasalì. Era Elmund, figlio di Delwin, e aveva soltanto dieci anni. Il ragazzino era stato colpito al fianco da una lancia. I genitori erano seduti nel fango accanto a lui, le facce bianche come cenci lavati.
Bisogna fare qualcosa, si disse Roran, cadendo in ginocchio, le mani strette intorno alla lancia per sostenersi. Pochi bambini sopravvivevano ai loro primi cinque o sei anni. Ma perdere il primogenito adesso, quando tutto indicava che sarebbe cresciuto per diventare alto e forte e prendere il posto di suo padre a Carvahall, era una tragedia insopportabile. Katrina, i bambini... bisogna metterli al sicuro.
Ma dove?... Dove?... Dove?... Dove?
Lungo la corrente impetuosa
Durante il primo giorno di navigazione da Tarnag, Eragon s'impegnò per imparare i nomi delle guardie di Ùndin. Erano Ama, Trihga, Hedin, Ekksvar, Shrrgnien - un nome che trovò impronunciabile, ma gli dissero che significava Cuordilupo - Dùthmér e Thorv.
Ogni zattera aveva una piccola cabina al centro, ma Eragon preferiva trascorrere il tempo seduto sul bordo dei legni, ad ammirare i Monti Beor che gli scorrevano davanti. Martin pescatori e taccole volteggiavano bassi sul fiume limpido, mentre aironi azzurri se ne stavano appollaiati immobili come statue sulle rive paludose, screziate di luce che filtrava dalle chiome dei noccioli, dei faggi e dei salici. Di tanto in tanto una rana gracidava da un cespuglio di felci. Quando Orik si sedette al suo fianco, Eragon disse: «È bellissimo.»
«Lo credo anch'io.» Il nano si accese la pipa, poi si adagiò sulla schiena ed emise uno sbuffo di fumo. Eragon ascoltava gli scricchiolii del legname e delle corde, mentre Trihga timonava la zattera con una lunga pagaia fissata a poppa. «Orik, tu lo sai perché Brom si unì ai Varden? So così poco di lui. Per gran parte della mia vita non è stato altro che il vecchio cantastorie del villaggio.»
«Lui non si unì mai ai Varden. Contribuì a fondarli.» Orik fece una pausa per gettare un po' di cenere nell'acqua. «Dopo che Galbatorix ascese al trono, Brom rimase l'unico Cavaliere ancora in vita, a parte i Rinnegati.» «Ma lui non era un Cavaliere, non più, allora. Il suo drago era rimasto ucciso nella battaglia di Dorù Areaba.» «Be', restava comunque un Cavaliere nel suo cuore. Brom fu il primo a organizzare gli amici e gli alleati dei Cavalieri che erano stati costretti all'esilio. Fu lui che convinse Rothgar a ospitare i Varden nel Farthen Dùr, e che ottenne l'aiuto degli elfi.»
Qualche attimo di silenzio, poi Eragon chiese: «Come mai rifiutò il comando?»
Orik sorrise mesto. «Forse perché non l'aveva mai desiderato. Tutto questo accadde prima che Rothgar mi adottasse, e vedevo così poco Brom a Tronjheim... Era sempre lontano a combattere i Rinnegati o impegnato in qualche complotto.» «I tuoi genitori sono morti?»
«Sì. Se li portò via il vaiolo quando ero piccolo, e Rothgar fu così gentile da accogliermi nel suo palazzo, e dato che non aveva figli suoi, mi nominò suo erede.»
Eragon pensò all'elmo con il simbolo dell'Ingietum. Rothgar è stato altrettanto gentile con me.
Quando calarono le prime ombre della sera, i nani appesero una lanterna rotonda a ciascun angolo dei battelli. Eragon rammentò che il tipico colore rosso delle lanterne serviva a migliorare la visione notturna. Mentre scrutava le pure e immobili profondità delle lampade, domandò ad Arya, in piedi accanto a lui: «Sai come sono fatte?» «Funzionano con un incantesimo che donammo ai nani molto tempo fa. Sanno usarlo con grande perizia.» Eragon si grattò il mento e le guance, sentendo le prime chiazze di peluria che gli cresceva. «Puoi insegnarmi altre magie durante il viaggio?»
L'elfa si teneva in perfetto equilibrio sui tronchi ondeggianti; lo guardò severa. «Non è compito mio. Un insegnante ti aspetta.»
«Allora puoi dirmi almeno una cosa?» insistette lui. «Cosa significa il nome della mia spada?»
La voce di Arya si ridusse a un sussurro. «Miseria è la tua spada. E questo rimase finché non l'hai avuta tu.» Eragon guardò Zar'roc con avversione. Più cose apprendeva sulla spada, più maligna e funesta gli sembrava, come se la lama fosse dotata di una propria volontà in grado di causare sventure. Non solo Morzan l'ha usata per uccidere i Cavalieri, ma lo stesso nome di Zar'roc è malvagio. Se non fosse stato Brom a dargliela, e se Zar'roc non avesse avuto il pregio di non rompersi e non perdere mai il filo, Eragon l'avrebbe scagliata nel fiume all'istante.
Prima che si facesse buio, Eragon andò a nuoto da Saphira. Insieme volarono per la prima volta da quando avevano lasciato Tronjheim, e si librarono in alto sull'Az Ragni, dove l'aria era rarefatta e l'acqua sottostante un minuscolo rigagnolo viola.
Senza sella, Eragon strinse forte le ginocchia intorno ai fianchi di Saphira, sentendo le sue squame strofinare contro le cicatrici che gli erano rimaste dal loro primo volo.
Quando Saphira virò a sinistra, sfruttando una corrente ascensionale, Eragon vide tre puntolini marroni lanciarsi dalle pendici dei monti e ascendere rapidamente. Sulle prime Eragon li prese per falchi, ma mentre si avvicinavano, si rese conto che gli animali erano lunghi venti piedi, con code affusolate e ali membranose. In effetti assomigliavano ai draghi, solo che il corpo era più piccolo, più magro e più serpentesco di quello di Saphira. E le loro squame non scintillavano, ma erano screziate di verde e marrone.
Eccitato, Eragon li indicò a Saphira. Secondo te sono draghi? domandò.
Non saprèi. La dragonessa batteva le ali per restare ferma in aria, mentre i nuovi arrivati le volteggiavano intorno. Le creature parvero sconcertate da Saphira. Si lanciarono contro di lei sibilando, ma solo per deviare sopra la sua testa all'ultimo momento.
Eragon sogghignò ed espanse la mente, nel tentativo di toccare i loro pensieri. Nello stesso istante, le tre creature sussultarono e lanciarono acute strida, aprendo le fauci come serpenti infuriati. Le loro grida laceranti erano mentali oltre che fisiche, e trafissero Eragon con una forza inaudita, cercando di renderlo inoffensivo. Anche Saphira la percepì. Continuando a strillare, le selvagge creature attaccarono, con gli artigli snudati.
Reggiti, lo avvertì Saphira. Ripiegò l'ala sinistra e fece un mezzo giro su se stessa, evitando due degli animali, poi battè rapida le ali per librarsi sopra il terzo. Nello stesso tempo, Eragon si affannava nel tentativo di bloccare le grida. Nell'istante in cui la sua mente fu di nuovo lucida, fece ricorso alla magia. Non li uccidere, disse Saphira. Lascia a me questo piacere.
Benché le creature fossero più agili di Saphira, la dragonessa aveva dalla sua il vantaggio della mole e della forza fisica. Una delle bestie alate si gettò in picchiata su di lei. Saphira si capovolse - volando in caduta libera - e sferrò un calcio al petto della creatura.
Il grido calò mentre l'avversario ferito batteva in ritirata.
Saphira dispiegò le ali, tornando in posizione normale per affrontare gli altri due che convergevano su di lei. Inarcò il collo, Eragon sentì un rombo sonoro scuoterle le costole, e poi una vampa di fuoco scaturì dalle sue fauci. Un alone azzurro avvolse la testa di Saphira, scorrendo lungo le squame sfaccettate finché la dragonessa non sfolgorò tutta di una luce abbagliante che sembrava illuminarla dall'interno.
Le due bestie serpentesche lanciarono grida sgomente e ciascuna virò su un lato di Saphira. L'assalto mentale cessò, mentre volavano via, dileguandosi veloci fra le montagne.
Per poco non mi facevi cadere, si lamentò Eragon, sciogliendosi i muscoli indolenziti delle braccia che aveva tenuto avvinghiate al suo collo.
Lei gli rivolse un sogghigno divertito. Per poco, ma non abbastanza.