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Volodyk - Paolini2-Eldest

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Il capoclan proseguì. «A nessuno straniero sono mai state rivelate le nostre segrete credenze, né potrai mai parlarne con umano o elfo. Ma senza questa conoscenza, non potresti mai comprendere cosa significa essere knurla. Ora sei un Ingietum: il nostro sangue, la nostra carne, il nostro onore. Capisci?»

«Sì.»

«Vieni.» Con il boccale in mano, Gannel condusse Eragon fuori dalla sala di allenamento; percorsero cinque ampi corridoi e si fermarono sotto un arco che affacciava su una stanza dalla fioca illuminazione, satura di fumi d'incenso. Davanti a loro, dal pavimento al soffitto si ergeva una poderosa statua col volto cupo scolpito nel granito marrone con insolita crudezza.

«Chi è?» chiese Eragon, intimidito.

«Gùntera, il re degli dei. È un guerriero e un sapiente, ma di umore volubile; per assicurarci la sua benevolenza bruciamo offerte in occasione dei solstizi, prima della semina, alle nascite e alle morti.» Gannel fece uno strano gesto con la mano e s'inchinò alla statua. «È lui che preghiamo prima delle battaglie, poiché fu lui a plasmare questa terra con le ossa di un gigante, e dona al mondo il suo ordine. Tutti i regni appartengono a Gùntera.»

Poi Gannel insegnò a Eragon la maniera corretta per venerare il dio, spiegandogli i segni e le parole da usare. Gli illustrò il significato dell'incenso - simbolo di vita e prosperità - e gli narrò con dovizia di particolari le leggende su Gùntera, raccontandogli come il dio era nato già perfettamente formato da una lupa all'alba dei tempi; come aveva combattuto mostri e giganti per conquistare in Alagaésia una terra per la sua specie; come infine aveva preso Kilf, la dea dei fiumi e del mare, in sposa.

Passarono quindi alla statua di Kilf, che era stata scolpita con grazia squisita nel pallido turchese. I capelli le ricadevano in liquide onde sulle spalle e incorniciavano due occhi di brillante ametista. Nelle mani a coppa teneva un giglio d'acqua e un ramo di roccia rossa porosa che Eragon non riconobbe.

«Cos'è?» domandò indicando.

«Corallo raccolto dal mare che bagna i Monti Beor.»

«Corallo?»

Gannel bevve un sorso di birra, poi disse: «I nostri tuffatori l'hanno trovato mentre cercavano perle. A quanto pare, nell'acqua salata certe pietre crescono come piante.» Eragon lo contemplò, ammirato. Non aveva mai pensato a ciottoli e sassi come creature viventi, eppure lì c'era la prova che bastavano acqua e sale per farli prosperare. Questo finalmente spiegava come mai le rocce continuavano ad affiorare nei loro campi nella Valle Palancar anche quando il terreno veniva dissodato ogni primavera. Crescono!

Proseguirono verso Urùr, dio dell'aria e dei cieli, e suo fratello Morgothal, dio del fuoco. Davanti alla statua rosso carminio di Morgothal, il sacerdote gli narrò che i fratelli si amavano tanto che nessuno dei due poteva vivere senza l'altro. Per questo motivo, nel cielo il Palazzo di Morgothal ardeva di giorno, e le scintille della sua forgia comparivano ogni notte. E sempre per la stessa ragione Urùr alimentava costantemente suo fratello per non farlo morire. Mancavano soltanto altre due statue: Sindri - madre della terra - ed Helzvog.

La statua di Helzvog era diversa dalle altre. Il dio nudo era chino su un masso di silice grigia, delle dimensioni di un nano, e lo sfiorava con la punta dell'indice. I muscoli della schiena erano tesi e gonfi di fatica sovrumana, eppure la sua espressione era incredibilmente tenera, come se davanti a lui ci fosse un neonato.

La voce di Gannel si ridusse a un sussurro. «Gùntera sarà anche il re degli dei, ma è Helzvog che regna nei nostri cuori. Fu lui che avvertì l'esigenza di ripopolare la terra dopo la scomparsa dei giganti. Gli altri dei non erano d'accordo, ma Helzvog li ignorò e in segreto plasmò il primo nano dalle radici di una montagna.

«Quando il suo gesto fu scoperto, gli dei si ingelosirono e Gùntera creò gli elfi per controllare Alagaésia in sua vece. Allora Sindri generò gli umani dal suolo, mentre Urùr e Morgothal fusero le loro conoscenze per dare origine ai draghi. Soltanto Kilf si astenne. Fu così che le prime razze comparvero sulla terra.»

Eragon ascoltava le parole di Gannel, riconoscendo la sua sincerità, ma non poteva fare a meno di chiedersi: Come fa a saperlo? Eragon capì che sarebbe stata una domanda indelicata, e si limitò ad annuire.

«Questo» disse Gannel, bevendo l'ultimo sorso di birra «ci porta al nostro rito più importante, di cui so che Orik ti ha già parlato... Tutti i nani devono essere sepolti nella pietra, altrimenti i nostri spiriti non si uniranno mai a Helzvog nella sua dimora. Non siamo fatti di terra, aria o fuoco, ma di pietra. E come membro dell'Ingietum è tuo dovere assicurare una degna sepoltura a qualunque nano muoia in tua compagnia. Se mancherai di farlo, in assenza di ferite o nemici, Rothgar ti esilierà, e nessun nano riconoscerà la tua presenza fin dopo la tua morte.» Raddrizzò le spalle, fissando Eragon negli occhi. «Hai ancora molto da imparare, ma fa' tesoro degli insegnamenti di oggi, e le tue azioni seguiranno il giusto corso.»

«Non li dimenticherò» promise Eragon.

Soddisfatto, Gannel si allontanò dalle statue per imboccare una scala a chiocciola. Mentre salivano, il capoclan s'infilò una mano nella veste e ne trasse una collana, una semplice catena che passava in un ciondolo d'argento a forma di martello in miniatura. La diede a Eragon.

«Questo è un altro favore che mi ha chiesto Rothgar» spiegò Gannel. «Teme che Galbatorix possa aver scorto una tua immagine dalla mente di Durza, o dei Ra'zac, o di qualcuno dei soldati che hai incontrato viaggiando per l'Impero.» «Cosa avrei da temere?»

«Galbatorix potrebbe divinarti. Forse lo ha già fatto.»

Un brivido di apprensione gli corse lungo la schiena, come un serpente di ghiaccio. Avrei dovuto pensarci, si rimproverò. «La collana impedirà a chiunque di divinare te o il tuo drago, purché la indossi sempre. Ho formulato io l'incantesimo, perciò dovrebbe resistere anche alla più potente delle menti. Ma ti avverto: quando si attiva, la collana attingerà alla tua forza finché non la toglierai, o il pericolo sarà cessato.»

«E quando dormo? La collana potrebbe consumarmi tutta l'energia senza che me ne accorga?»

«No. Ti sveglierà.»

Eragon si fece rotolare il piccolo martello fra i polpastrelli. Era difficile bloccare gli incantesimi di un'altra persona, soprattutto quelli di Galbatorix. Se Gannel è così potente, quali altri incantesimi può aver nascosto nel suo dono? Notò una riga di rune incise sul manico del martello. Dicevano Astim Hefthyn. La scala terminò mentre chiedeva: «Come mai i nani scrivono con le rune degli umani?»

Per la prima volta da quando si erano conosciuti, Gannel scoppiò a ridere; le sue larghe spalle tremavano e il tempio riecheggiò della sua voce profonda. «È il contrario: gli umani scrivono con le nostre rune. Quando i vostri antenati giunsero in Alagaésia, erano illetterati come conigli. Tuttavia adottarono il nostro alfabeto e lo adattarono al loro linguaggio. Alcune delle vostre parole addirittura derivano dalle nostre, come padre, che in origine era farthen.» «Quindi Farthen Dùr significa...?» Eragon s'infilò la collana e la nascose sotto la tunica.

«Nostro Padre.»

Fermandosi davanti a una porta, Gannel invitò Eragon a entrare in una galleria che correva tutto intorno alla cupola di Celbedeil; gli archi aperti che la fiancheggiavano offrivano una visuale completa delle montagne alle spalle di Tarnag, come della città terrazzata sottostante.

Tuttavia Eragon notò a malapena il panorama, poiché la parete interna della galleria era coperta da uno straordinario fregio ininterrotto, una gigantesca fascia narrativa che cominciava con la creazione dei nani da parte di Helzvog. Le figure e gli oggetti spiccavano in rilievo, donando allo sfondo una qualità iperrealista, con i suoi colori saturi e scintillanti e i dettagli minuti.

Affascinato, Eragon chiese: «Com'è stato fatto?»

«Ogni scena è stata scolpita su piccole lastre di marmo, che in seguito sono state smaltate a fuoco e unite a formare un unico pezzo.»

«Non sarebbe stato più facile usare colori normali?»

«Sì» rispose Gannel, «ma non sarebbero durati secoli, millenni, senza cambiare. Lo smalto non sbiadisce né si opacizza, come accade ai colori a olio. La prima sezione è stata realizzata soltanto un decennio dopo la scoperta del Farthen Dùr, molto prima che gli elfi mettessero piede in Alagaésia.»

Il sacerdote prese Eragon sotto braccio e lo guidò lungo il fregio. A ogni passo, percorrevano innumerevoli anni di storia.

Eragon vide che un tempo i nani erano nomadi che vagavano per una sconfinata pianura, finché la terra non era diventata così rovente e desolata da costringerli a migrare a sud, verso i Monti Beor. Ecco come si è formato il Deserto di Hadarac, pensò, stupito.

Via via che fiancheggiavano il murale, girando intorno a Celbedeil, Eragon fu testimone di ogni momento cruciale della storia, dall'addomesticamento delle Feldùnost alla creazione di Isidar Mithrim, dal primo incontro fra nani ed elfi alle incoronazioni dei re dei nani. I draghi apparivano di frequente, ma sempre nell'atto di incendiare e uccidere. Eragon ebbe difficoltà a trattenersi dai commenti davanti a quelle sezioni.

Rallentò il passo quando si accorse che la fascia istoriata si stava avvicinando all'evento che aveva sperato di trovare: la guerra fra elfi e draghi. Qui i nani avevano dedicato ampio spazio alle devastazioni che le due razze avevano arrecato ad Alagaésia. Eragon rabbrividì di orrore alla vista di elfi e draghi che si uccidevano a vicenda. Le battaglie si susseguivano per diverse iarde, ogni immagine più sanguinosa della precedente, finché le tenebre non s'illuminarono, mostrando un giovane elfo inginocchiato sull'orlo di una rupe, con in mano un bianco uovo di drago. «È... ?» mormorò Eragon.

«Sì, è Eragon, il Primo Cavaliere. È un ritratto fedele, poiché lui acconsentì a posare per i nostri artigiani.» Affascinato, Eragon studiò il volto del suo omonimo. L'ho sempre immaginato più vecchio. Gli occhi dal classico taglio obliquo, il naso adunco e il mento aguzzo gli conferivano un'aria feroce; era un viso remoto, completamente diverso dal suo... eppure l'atteggiamento dell'elfo, le spalle dritte e tese, gli rammentavano come si era sentito lui quando aveva trovato l'uovo di Saphira. Non siamo poi tanto diversi, tu e io, pensò, accarezzando il freddo smalto. E una volta che le mie orecchie saranno diventate come le tue, saremo davvero fratelli nel tempo... Mi domando se approveresti le mie azioni. Sapeva che avevano fatto almeno una scelta identica: entrambi avevano tenuto l'uovo. In quel momento, sentì una porta aprirsi e chiudersi; si volse e vide Arya che si avvicinava dal fondo della galleria. L'elfa scrutò la parete istoriata con la stessa espressione neutra che Eragon le aveva visto usare al cospetto del Consiglio degli Anziani. Quali che fossero le sue particolari emozioni, Eragon capì soltanto che lei trovava la situazione sgradevole.

Arya chinò la testa. «Grimstborith.»

«Arya.»

«Stai insegnando a Eragon la vostra mitologia?»

Gannel le rivolse un sorriso glaciale. «Un individuo deve sempre conoscere la fede della società cui appartiene.» «Ma la conoscenza non sempre implica la fede.» L'elfa sfiorò con l'indice il pilastro di un arco. «Né significa che coloro che alimentano tali credenze lo facciano per scopi che non siano... puramente materiali.»

«Vuoi forse negare il valore dei sacrifici che compie il mio clan per portare conforto ai nostri fratelli?» «Non nego nulla, ma mi domando soltanto se non sarebbe stato preferibile condividere le vostre ricchezze con i più bisognosi: gli affamati, i senzatetto, o magari perfino i Varden. Invece le avete accumulate per innalzare un monumento alle vostre pie illusioni.»

«Basta!» Il nano serrò i pugni, il volto chiazzato di rosso. «Senza di noi i raccolti si seccherebbero per la siccità. I fiumi e i laghi strariperebbero. Le nostre greggi darebbero vita a bestie da un occhio solo. Il cielo stesso si squarcerebbe per l'ira degli dei!» Arya sorrise. «Soltanto le nostre preghiere impediscono che questo accada. Se non fosse stato per Helzvog, dove...»

Eragon perse il filo. Non comprese le vaghe critiche di Arya nei confronti del Dùrgrimst Quan, ma dalle risposte di Gannel intuì che, in maniera implicita e sempre in tono affabile e cortese, l'elfa aveva suggerito che le divinità dei nani non esistessero, pareva mettere in dubbio le facoltà mentali di ogni nano che entrava in un tempio, e sostenere che i ragionamenti dei nani presentassero numerose lacune.

Dopo qualche minuto, Arya levò una mano per interrompere Gannel e disse: «Questa è la differenza tra noi, Grimstborith. Tu ti sei consacrato a qualcosa che credi vero ma non puoi provare. Non ci resta che trovarci d'accordo sul fatto che non siamo d'accordo.» Poi si rivolse a Eragon. «Gli Az Sweldn rak Anhùin hanno aizzato la popolazione di Tarnag contro di te. Ùndin ritiene, come me, del resto, che sia meglio se resti all'interno delle sue mura fino alla partenza.»

Eragon esitò. Voleva continuare a visitare Celbedeil, ma se c'erano guai in vista, allora il suo posto era accanto a Saphira. S'inchinò a Gannel e domandò scusa. «Non devi giustificarti, Ammazzaspettri» disse il capoclan, scoccando un'occhiata torva all'indirizzo di Arya. «Fai ciò che devi, e che la benedizione di Gùntera sia con te.» Insieme, Eragon e Arya lasciarono il tempio e circondati da una decina di guerrieri attraversarono la città. Eragon sentì una folla inferocita che gridava da una terrazza più in basso. Un sasso rimbalzò su un tetto vicino. Il movimento attirò il suo sguardo verso un pennacchio scuro di fumo che risaliva dai margini della città.

Una volta al sicuro nel palazzo, Eragon corse in camera sua. S'infilò la cotta di maglia, e si legò i bracciali e gli schinieri; si calcò la calotta di cuoio in testa, e poi l'elmo, e afferrò lo scudo. Raccolse in fretta lo zaino e le bisacce, e tornò subito nel cortile, dove si sedette con la schiena appoggiata alla zampa destra di Saphira.

Tarnag è come un termitaio stuzzicato, osservò lei.

Speriamo di non essere morsi.

Arya li raggiunse poco dopo, seguita a ruota da uno squadrone di cinquanta nani armati di tutto punto, che si schierarono al centro del cortile. I nani aspettavano impassibili, borbottando piano fra di loro, mentre occhieggiavano di continuo il cancello sprangato e la montagna che si ergeva alle loro spalle.

«Hanno paura» disse Arya, sedendosi accanto a Eragon «che i dimostranti ci impediscano di raggiungere i battelli.» «Saphira può sempre portarci in volo.»

«E Fiammabianca? E le guardie di Ùndin? No, se ci fermano, dovremo aspettare che la rabbia dei nani sbollisca.» Studiò il cielo che si andava oscurando. «È un peccato che tu sia riuscito a offendere così tanti nani, ma forse era inevitabile. I clan sono sempre stati litigiosi: quello che piace a uno scontenta un altro.»

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