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Volodyk - Paolini2-Eldest

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«Arya?»

Orik annuì sogghignando. «Non ne so molto, ma ho sentito dire che non approva le pratiche dei Quan. A quanto pare gli elfi disdegnano il "borbottare all'aria in cerca di aiuto".»

Eragon guardò la schiena di Arya mentre scendevano, chiedendosi se fosse vero quanto affermava Orik, e in tal caso, in cosa credesse Arya. Trasse un profondo respiro e respinse la questione in un angolo della mente, per godere la meravigliosa sensazione di essere di nuovo all'aria aperta, dove poteva sentire l'odore del muschio, delle felci e degli alberi della foresta, dove il sole gli riscaldava il viso, e le api e gli altri insetti ronzavano.

Il sentiero li condusse sulla riva del lago prima di risalire verso Tarnag e i suoi cancelli aperti. «Come avete fatto a tenere nascosta Tarnag a Galbatorix?» chiese Eragon. «Il Farthen Dùr posso capirlo, ma questo... non ho mai visto nulla di simile.»

Orik ridacchiò. «Nasconderla? Impossibile. No, dopo la caduta dei Cavalieri, siamo stati costretti ad abbandonare le nostre città in superficie e a ritirarci nei tunnel, per sfuggire a Galbatorix e ai Rinnegati. Sorvolavano spesso i Monti Beor, uccidendo chiunque incontrassero.»

«Credevo che i nani avessero sempre vissuto sottoterra.»

Le folte sopracciglia di Orik si unirono in un'espressione corrucciata. «Perché avremmo dovuto? Certo, condividiamo più di un'affinità con la pietra, ma amiamo l'aria aperta quanto un elfo o un umano. Tuttavia è stato soltanto negli ultimi quindici anni, dalla morte di Morzan, che i nani hanno osato tornare a Tarnag e agli altri nostri antichi insediamenti. Galbatorix sarà anche dotato di poteri soprannaturali, ma non si azzarderebbe mai ad attaccare una città intera da solo. Ovviamente lui e il suo drago potrebbero causarci non pochi problemi se volessero, ma di questi tempi non si allontanano spesso da Urù'baen, nemmeno per brevi viaggi. E Galbatorix non potrebbe portare qui un esercito senza prima conquistare Buragh o il Farthen Dùr.»

Un'impresa che gli è quasi riuscita, commentò Saphira.

Nel superare la cima di una collinetta, Eragon sussultò sorpreso quando un animale sbucò dal sottobosco in mezzo al sentiero. La pelosa creatura somigliava a una capra di montagna come quelle della Grande Dorsale, solo che era grossa il doppio e vantava un paio di gigantesche corna ricurve da far impallidire quelle degli Urgali. Ancora più singolare era la sella che portava sul dorso, e il nano che la montava, con in mano un arco teso.

«Hert dùrgrimst? Fild rastn?» gridò il nano.

«Orik Thrifkz menthiv oen Hrethcarach Eragon rak

Dùrgrimst Ingietum» rispose Orik. «Wharn, az vanyalicarharùg Arya. Né oc Ùndinz grimstbelardn.» La capra guardava Saphira intimidita. Eragon notò quanto fossero limpidi e intelligenti i suoi occhi, malgrado il muso stolido irto di candidi ciuffi. In qualche modo gli ricordava Rothgar, e quasi si mise a ridere al pensiero di quanto fosse adatta ai nani. «Azt jok jordn rast» fu la risposta.

Senza alcun comando udibile da parte del nano, la capra balzò avanti, coprendo una tale distanza che per un momento parve volare. Poi cavaliere e cavalcatura scomparvero fra gli alberi.

«Cos'era?» chiese Eragon, incuriosito.

Orik riprese a camminare. «Una Feldùnost, uno dei cinque animali che vivono soltanto su queste montagne. I clan prendono il nome da ciascuno di essi. Tuttavia, il Dùrgrimst Feldùnost è forse il più valoroso e stimato fra i clan.» «Perché?»

«Dipendiamo dalle Feldùnost per il latte, la lana e la carne. Senza di loro, non potremmo vivere sui Beor. Quando Galbatorix e i suoi Cavalieri traditori ci terrorizzavano, fu il Dùrgrimst Feldùnost che rischiò la vita, e lo fa tuttora, per occuparsi dei greggi e dei campi. Per questo, gli siamo tutti debitori.»

«Tutti i nani cavalcano le Feldùnost?» Eragon pronunciò a fatica quella nuova parola.

«Soltanto fra le montagne. Le Feldùnost sono resistenti e hanno zampe salde, ma sono più adatte alle montagne che non alle pianure.»

Saphira sfiorò Eragon con il muso, facendo indietreggiare Fiammabianca. Ora sì che sarà divertente cacciare. Sono prede ben più appetibili di quelle che ho trovato sulla Dorsale o da qualsiasi altra parte! Se avrò tempo a Tarnag... No! disse Eragon. Non possiamo permetterci di offendere i nani.

La dragonessa sbuffò irritata. Potrei sempre chiedere loro il permesso.

Ora il sentiero che li aveva a lungo nascosti sotto il fogliame scuro entrò nella grande radura che circondava Tarnag. Gruppi di osservatori si erano già radunati nei campi quando sette Feldùnost dai finimenti ingioiellati uscirono dalla città. I cavalieri portavano lance sormontate da lunghi vessilli che schioccavano in aria come fruste. Tirando le redini per fermare la strana bestia, il nano al comando disse: «Vi porgo il benvenuto nella città di Tarnag. Per otho di Ùndin e Gannel, io, Thorv, figlio di Brokk, vi offro in pace l'asilo delle nostre dimore.» Il suo accento era più aspro e rauco di quello di Orik.

«E per otho di Rothgar, noi dellTngietum accettiamo la vostra ospitalità» replicò Orik.

«Anch'io, a nome di Islanzadi» fece eco Arya.

Con evidente soddisfazione, Thorv fece un cenno ai suoi compagni, che spronarono le Feldùnost per disporle in formazione intorno ai quattro. Con gran pompa, i nani li scortarono a Tarnag, attraverso i cancelli della città. Il muro di cinta era spesso quaranta piedi e proiettava la sua ombra sulle prime fattorie che circondavano Tarnag. Altri cinque gradoni - ciascuno difeso da un cancello fortificato - li portarono oltre i campi fino alla città vera e propria. In contrasto con i massicci bastioni e i contrafforti, gli edifici all'interno di Tarnag, sebbene di pietra, erano stati eretti con tale maestria da dare un'impressione di grazia e leggerezza. Eleganti bassorilievi, perlopiù di animali, adornavano le case e le botteghe. Ma ancora più sorprendente era la pietra stessa: vibranti sfumature, dallo scarlatto acceso al più tenue dei verdi, scintillavano nella roccia in strati traslucidi.

E appese in tutta la città c'erano le lanterne senza fiamma dei nani, con le loro scintille multicolori che lasciavano presagire le lunghe notti dei Monti Beor.

Diversamente da Tronjheim, Tarnag era stata costruita a misura di nano, senza alcuna concessione per elfi, umani o draghi in visita. Le porte più grandi erano alte cinque piedi, ma la maggior parte non raggiungevano i quattro. Eragon era di statura media, ma adesso si sentiva un gigante in un teatrino di burattini.

Le strade erano ampie e affollate. Nani di diversi clan si dedicavano laboriosi ai propri mestieri, o si affaccendavano nelle botteghe. Molti indossavano strani, esotici costumi, come un gruppo di fieri nani dai capelli neri che portavano elmi d'argento a forma di teste di lupo.

Eragon guardava soprattutto le donne, poiché le aveva viste soltanto di sfuggita a Tronjheim. Erano più robuste degli uomini, con volti duri ma occhi luminosi e capelli lustri, e mani gentili posate sui minuscoli figli. Non amavano adornarsi di monili preziosi, fatta eccezione per piccole, elaborate spille di ferro e pietra.

Al rumore di zoccoli delle Feldùnost, i nani si voltavano a guardare i nuovi arrivati. Non li acclamarono come Eragon si era aspettato, ma s'inchinavano e mormoravano: «Ammazzaspettri.» Quando videro il martello e le stelle sull'elmo di Eragon, l'ammirazione fu sostituita dallo spavento e, in molti casi, da espressioni offese. Alcuni nani, fra i più arrabbiati, si strinsero attorno a Eragon, imprecando a gran voce.

Eragon si sentì rizzare i capelli sulla nuca. A quanto pare, avermi adottato non è stata la decisione più popolare che Rothgar potesse prendere.

Già, concordò Saphira. Può aver rafforzato il suo controllo su di te, ma a costo di alienarsi molti nani... Sarà meglio che ci togliamo dai piedi, prima che cominci a scorrere il sangue. Thorv e le altre guardie incedevano fra la folla come se non esistesse, sgombrando la strada per altri sette livelli, finché non rimase un ultimo cancello a separarli dalla mole di Celbedeil. Poi Thorv svoltò a sinistra, verso un grande palazzo addossato al fianco della montagna, protetto sul fronte da un barbacane con due torri munite di caditoie.

Mentre si avvicinavano, un gruppo di nani armati uscì da dietro le case, schierandosi a formare una barriera che bloccava la strada. Lunghi veli viola coprivano i loro volti e le spalle, come calotte di maglia.

Le guardie subito arrestarono le loro Feldùnost, scuri in volto. «Cosa c'è?» chiese Eragon a Orik, ma il nano si limitò a scuotere la testa e a farsi avanti, la mano sull'ascia.

«Etzil nithgech!» gridò un nano velato, sollevando un pugno. «Formv Hrethcarach... formv Jurgencarmeitder nos età goroth bahst Tarnag, dùr encesti rak kythn! Jok is warrev az barzulegùr dùr dùrgrimst, Az Sweldn rak Anhùin, mògh tor rak Jurgenvren? Né ùdim etal os rast knurlag. Rnurlag ana...» Per un intero minuto, continuò a blaterare con crescente livore.

«Vrron!» latrò Thorv, tagliando corto, poi i due nani cominciarono a litigare. Malgrado l'asprezza dei toni, Eragon si accorse che Thorv provava rispetto per l'altro nano.

Il giovane si spostò di lato nel tentativo di vedere meglio la scena da dietro la Feldùnost di Thorv, e il nano velato tacque di colpo, indicando inorridito l'elmo di Eragon.

«Knurlag qana qirànù Dùrgrimst Ingietum!» strillò. «Barzul ana Rothgar oen volfild...»

«Jok is frekk dùrgrimstvren?» lo interruppe Orik a voce bassa, estraendo l'ascia. Preoccupato, Eragon rivolse un'occhiata ad Arya, ma anche lei era troppo assorbita dal confronto per notarlo. Senza farsi notare, fece scivolare la mano sull'impugnatura di Zar'roc.

Lo strano nano guardò truce Orik, si tolse un anello di ferro dalla tasca, si strappò tre peli dalla lunga barba e li avvolse intorno a esso, poi lo scagliò sulla strada e sputò. Senza altre parole, i nani ammantati di viola se ne andarono. Thorv, Orik e gli altri guerrieri trasalirono quando l'anello rimbalzò tintinnando sul selciato di granito. Perfino Arya parve sconcertata. Due dei nani più giovani sbiancarono e misero mano alle lame, poi le abbassarono quando Thorv gridò: «Età!»

La loro reazione turbò Eragon molto più del rauco alterco. Mentre Orik si chinava a raccogliere l'anello per infilarlo in un sacchetto, Eragon chiese: «Cosa significa?»

«Significa» rispose Thorv «che hai dei nemici.»

Oltre il barbacane si apriva un ampio cortile apparecchiato con tre tavoli da banchetto, decorato da lanterne e stendardi. Trovarono un nutrito gruppo di nani ad attenderli davanti ai tavoli, fra cui spiccava uno dalla barba grigia vestito con una pelle di lupo. Allargò le braccia e disse: «Benvenuti a Tarnag, dimora del Dùrgrimst Ragni Hefthyn. Ho sentito tessere le tue lodi, Eragon Ammazzaspettri. Io sono Ùndin, figlio di Derùnd, e capoclan.» Un altro nano si fece avanti. Aveva le spalle e il torace da guerriero, con un paio di occhi neri infossati che non si staccarono dal volto di Eragon nemmeno per un secondo. «E io sono Gannel, figlio di Orm Scuredisangue, capoclan del Dùrgrimst Quan.»

«È un onore essere vostri ospiti» disse Eragon chinando il capo. Percepì l'irritazione di Saphira nell'essere ignorata. Pazienza, mormorò, con un sorriso forzato.

La dragonessa sbuffò.

I capiclan salutarono Arya e Orik a turno, ma la loro cordialità fu inutile con Orik, il quale per tutta risposta tese la mano col palmo aperto, mostrando l'anello di ferro.

Ùndin sgranò gli occhi, e prese l'anello con cautela, tenendolo fra il pollice e l'indice come se fosse uno scorpione velenoso. «Chi te lo ha dato?»

«L'Az Sweldn rak Anhùin. E non l'ha dato a me, ma a Eragon.»

Quando sui volti dei nani si dipinse un'espressione allarmata, Eragon si sentì di nuovo cogliere dalla preoccupazione. Aveva visto nani che da soli affrontavano un gruppo di Kull senza battere ciglio. L'anello doveva simboleggiare qualcosa di spaventoso, se poteva minare il loro coraggio.

Ùndin si accigliò mentre ascoltava i mormorii dei suoi consiglieri, poi disse: «Dobbiamo consultarci su questo argomento. Ammazzaspettri, è stata preparata una festa in tuo onore. Se vuoi essere così gentile da seguire i miei servitori, ti mostreranno i tuoi alloggi, dove potrai rinfrescarti, e poi potremo cominciare.»

«Prego» disse Eragon, porgendo le redini di Fiammabianca a un nano in attesa, e ne seguì un altro nel palazzo. Nel varcare la soglia, scoccò un'occhiata indietro ad Arya e Orik, impegnati con i capiclan, le teste chine e ravvicinate. Non ci metterò molto, promise a Saphira.

Dopo aver percorso a schiena curva una serie di passaggi a misura di nano, fu sollevato nel vedere che la stanza che gli era stata assegnata era abbastanza spaziosa da consentirgli di stare dritto. Il servitore s'inchinò e disse: «Tornerò non appena Grimstborith Ùndin sarà pronto.»

Come il nano lo lasciò da solo, Eragon trasse un profondo respiro, godendosi il silenzio. L'incontro con i nani velati continuava a turbarlo, impedendogli di rilassarsi. Se non altro non resteremo a lungo qui a Tarnag. Questo dovrebbe far sì che non ci facciano del male.

Si tolse i guanti e si avvicinò a un bacile di marmo posato sul pavimento, accanto al letto basso. Infilò le mani nell'acqua e le ritrasse di scatto con un gridolino involontario. L'acqua era bollente. Dev'essere un'usanza dei nani, pensò. Attese che si raffreddasse un po', poi si lavò la faccia e il collo, strofinandoli con cura mentre il vapore si levava dalla sua pelle.

Rinvigorito, si sfilò i calzoni e la tunica, e indossò gli abiti che aveva usato per le esequie di Ajihad. Toccò Zar'roc, poi decise che sarebbe stato un insulto alla tavola di Ùndin, e alla cintura allacciò soltanto il suo coltello da caccia. Estrasse dallo zaino la pergamena che gli aveva affidato Nasuada con l'incarico di consegnarla a Islanzadi e la soppesò, domandandosi dove nasconderla. La lettera era troppo importante per lasciarla incustodita nella stanza, dove avrebbero potuto leggerla o rubarla. Non trovando posto migliore, se la infilò in una manica. Qui sarà al sicuro, purché non capiti di combattere, e in questo caso avrò problemi ben più grossi di cui preoccuparmi.

Quando il servitore tornò a chiamare Eragon, era passata un'ora o poco più da mezzogiorno, ma il sole era già calato dietro le montagne torreggianti, immergendo Tarnag nell'oscurità. Uscito nel cortile, Eragon rimase sorpreso dalla trasformazione della città. Con la notte prematura, le lanterne dei nani rivelavano la loro vera potenza, inondando le vie di una luce pura e intensa che faceva risplendere l'intera valle.

Ùndin e gli altri nani erano disposti intorno ai tavoli, insieme a Saphira, che si era sistemata a un capotavola. Nessuno sembrava intenzionato a contestare la sua scelta.

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