Volodyk - Paolini2-Eldest
«Ma come hai fatto» chiese Eragon «a comunicare così in fretta con re Orrin?»
«I nani usano un sistema di specchi e lanterne per trasmettere messaggi attraverso i tunnel. Sono in grado di inviare un dispaccio da qui ai confini occidentali dei Monti Beor in meno di un giorno. Poi i corrieri lo portano ad Aberon, la capitale del Surda. Tuttavia, per quanto veloce, questo metodo è ancora troppo lento, quando Galbatorix è in grado di sorprenderei con un esercito di Urgali con meno di un giorno di preavviso. Intendo organizzare qualcosa di molto più rapido fra il Du Vrangr Gata e i maghi di Rothgar, prima che ce ne andiamo.»
Nasuada aprì un cassetto della scrivania ed estrasse un rotolo di pergamena. «I Varden partiranno dal Farthen Dùr nel giro di un mese. Rothgar ci garantirà un passaggio sicuro attraverso i tunnel. Inoltre ha mandato una squadra a Orthìad per eliminare quel che resta degli Urgali e sigillare i tunnel affinchè nessuno possa attaccare i nani usando ancora quel percorso. E sebbene questo non assicuri la sopravvivenza dei Varden, ho un favore da chiederti.» Eragon annuì. Si era aspettato una richiesta o un comando. Era l'unica ragione per cui lei li aveva convocati. «Sono ai tuoi ordini.»
«Può darsi.» Gli occhi di lei guizzarono dalla parte di Saphira per un secondo. «Ma non si tratta di un ordine, e voglio che tu rifletta a fondo prima di rispondere. Per ingrossare le schiere di coloro che sostengono i Varden, vorrei diffondere in tutto l'Impero la notizia che un nuovo Cavaliere, di nome Eragon Ammazzaspettri, e il suo drago, Saphira, si sono uniti alla nostra causa. Tuttavia, gradirei il tuo consenso prima di farlo.»
È troppo pericoloso, protestò Saphira.
La notizia della nostra esistenza raggiungerà l'Impero in ogni caso, puntualizzò Eragon. I Varden vogliono vantarsi della vittoria e della morte di Durza. Dato che accadrà con o senza il nostro consenso, credo che dovremmo accettare. La dragonessa diede in un leggero sbuffo. Mi preoccupa Galbatorix. Finora non abbiamo manifestato pubblicamente da che parte stiamo.
Le nostre azioni sono state fin troppo eloquenti.
Sì, ma anche quando Durza ha combattuto contro di te a Tronjheim, non aveva intenzione di ucciderti. Se ci schieriamo contro l'Impero, Galbatorix non sarà più così indulgente. Chi può sapere quali forze o complotti ha tenuto in sospeso, mentre tentava di attirarci dalla sua parte? Finché restiamo nell'ambiguità, non saprà che fare.
Il tempo per l'ambiguità è passato, dichiarò Eragon. Abbiamo combattuto gli Urgali, ucciso Durza, e ho giurato fedeltà al capo dei Varden. Non esiste alcuna ambiguità. No, col tuo permesso acconsentirò alla sua proposta. La dragonessa tacque per lunghi istanti, poi abbassò la testa. Come preferisci.
Eragon le posò una mano sul fianco prima di rivolgere la sua attenzione a Nasuada e proclamare: «Fa' ciò che ti sembra opportuno. Se è questa la maniera in cui possiamo aiutare i Varden, così sia.»
«Ti ringrazio. Lo so che è chiederti molto. Ora, come abbiamo stabilito prima del funerale, vorrei che andassi a Ellesméra per completare il tuo addestramento.»
«Con Arya?»
«S'intende. Gli elfi si sono rifiutati di comunicare sia con noi umani che con i nani da quando fu catturata. Arya è l'unico essere vivente in grado di convincerli a uscire dall'isolamento.»
«Non può usare la magia per riferire loro del suo salvataggio?»
«Purtroppo no. Quando gli elfi si sono ritirati nella Du Weldenvarden, dopo la caduta dei Cavalieri, hanno eretto protezioni magiche tutto intorno alla foresta per impedire a qualunque pensiero, oggetto o creatura di entrare per mezzo di poteri arcani, anche se non di uscire, se ho ben capìto le spiegazioni di Arya. Per questo motivo, Arya deve andare di persona nella Du Weldenvarden affinchè la regina Islanzadi sappia che è viva, che tu e Saphira esistete, e venga a conoscenza di tutti gli eventi che hanno coinvolto i Varden in questi ultimi mesi.» Nasuada gli porse la pergamena. Era chiusa da un sigillo di cera. «Questa è una lettera per la regina Islanzadi, che le spiega la situazione dei Varden e i miei progetti in proposito. Difendila a costo della vita. Se cadesse nelle mani sbagliate, provocherebbe danni enormi. Spero che dopo quanto è accaduto, Islanzadi ci conceda nuovamente la sua benevolenza e riallacci i rapporti diplomatici. Il suo aiuto potrebbe rappresentare la differenza fra la vittoria e la sconfitta. Arya lo sa e ha accettato di perorare la nostra causa, ma volevo che anche tu conoscessi la situazione, per poter sfruttare qualunque occasione si presenti.» Eragon s'infilò la pergamena nella giubba. «Quando dovremmo partire?»
«Domattina... a meno che non abbiate già qualche altro programma.»
«No.»
«Bene» fece Nasuada, intrecciando le mani avanti a sé. «Sappiate che un'altra persona viaggerà insieme a voi.» Eragon la guardò interrogativo. «Re Rothgar ha deciso che per amor di equità dovrebbe esserci un rappresentante dei nani ad assistere al tuo addestramento, poiché la questione riguarda anche la loro razza. Perciò vi accompagnerà Orik.» La prima reazione di Eragon fu di irritazione. Saphira avrebbe potuto volare fino alla Du Weldenvarden portando lui e Arya, risparmiando loro settimane di inutile cammino. Ma tre passeggeri erano troppi da ospitare sulle spalle di Saphira. La presenza di Orik li avrebbe costretti a viaggiare via terra.
Dopo una breve riflessione, però, Eragon riconobbe che la richiesta di Rothgar era molto saggia, perché garantiva a Eragon e Saphira una parvenza di imparzialità di fronte alle diverse razze. Sorrise. «D'accordo. Questo ci rallenterà, ma suppongo di dover cedere a Rothgar. A dire il vero, sono contento di avere la compagnia di Orik. Attraversare Alagaèsia soltanto con Arya era una prospettiva inquietante. Lei è...»
Anche Nasuada sorrise. «È diversa.»
«Già.» Eragon tornò serio. «Hai davvero intenzione di attaccare l'Impero? Tu stessa hai detto che i Varden sono deboli. Non mi pare una mossa saggia. Se aspettiamo...»
«Se aspettiamo» lo interruppe lei, decisa, «Galbatorix diventerà sempre più forte. Questa è la prima volta da quando Morzan fu ucciso che abbiamo una sia pur minima opportunità di coglierlo impreparato. Non aveva ragioni per sospettare che avremmo sconfitto gli Urgali - un successo che dobbiamo a te - perciò non ha ancora preparato l'Impero a un'invasione.»
Invasione! esclamò Saphira. E come pensa di uccidere Galbatorix quando interverrà ad annientare il loro esercito con la magia?
Nasuada scrollò la testa in risposta, quando Eragon diede voce all'obiezione. «Da quanto sappiamo di lui, non combatterà finché la stessa Urù'baen non sarà minacciata.
A Galbatorix non importa se mezzo Impero viene distrutto, purché siamo noi ad andare da lui, e non viceversa. Perché dovrebbe preoccuparsi? Se mai riuscissimo a raggiungerlo, le nostre rendendogli ancor più facile il compito di distruggerci.»
«Non hai ancora risposto alla domanda di Saphira» protestò Eragon. «Perché ancora non lo so. Sarà una lunga campagna. Quando volgerà abbastanza potente da sconfiggere Galbatorix, o gli elfi potrebbero essersi uniti a noi, e i loro maghi sono i più potenti di Alagaésia. Non importa quel che accade, non possiamo permetterci altri indugi. È il momento di rischiare e osare quel che nessuno pensa che possiamo realizzare. I Varden sono vissuti nell'ombra troppo a lungo: dobbiamo sfidare Galbatorix, oppure sottometterci e perire.»
La portata di quanto Nasuada stava suggerendo lo turbava. Implicava così tanti rischi e pericoli ignoti che era quasi assurdo prendere in considerazione una simile impresa. Tuttavia non spettava a lui decidere, e doveva accettarlo. Né aveva intenzione di discuterne oltre. Dobbiamo confidare nel suo giudizio.
«Ma che ne sarà di te, Nasuada? Sarai al sicuro quando ce ne saremo andati? Devo pensare al mio giuramento. Ora è mia responsabilità garantire la tua incolumità.»
truppe sarebbero decimate ed esauste,
al termine, tu potresti essere diventato La donna serrò la mascella e agitò una mano. «Non devi temere, sono ben protetta.» Abbassò lo sguardo. «Tuttavia devo ammettere... una delle ragioni per cui voglio andare nel Surda è che Orrin mi conosce da tanto tempo e mi ha offerto la sua protezione. Non posso restare qui senza te e Arya, e con il Consiglio degli Anziani ancora troppo potente. Non mi accetteranno come loro capo finché non proverò oltre ogni dubbio che i Varden sono sotto il mio controllo, e non il loro.»
Poi sembrò attingere a una misteriosa forza interiore, che le raddrizzò le spalle e le sollevò il mento, dandole un'aria distante e altezzosa. «Ora va', Eragon. Prepara il tuo cavallo, riempi le bisacce, e trovati al cancello nord al sorgere del sole.»
Eragon s'inchinò, rispettando il suo ritorno alle formalità, e uscì con Saphira.
Dopo cena, Eragon e Saphira volarono insieme. Si librarono sopra Tronjheim, dove ghiaccioli scintillanti guarnivano le pendici interne del Farthen Dùr come un gigantesco merletto bianco. Anche se mancava ancora qualche ora alla notte, era già quasi buio dentro la montagna.
Eragon reclinò indietro la testa, assaporando l'aria sul viso. Gli mancava il vento: il vento che soffiava sui prati e sospingeva le nuvole, il vento che portava la pioggia e i temporali, e sferzava gli alberi tanto da piegarli. A dire il vero, mi mancano anche gli alberi, pensò. Il Farthen Dùr è un luogo incredibile, ma è privo di piante e animali come la tomba di Ajihad.
Saphira assentì. I nani sembrano pensare che le gemme possano prendere il posto dei fiori. Poi rimase in silenzio, mentre la luce sbiadiva a poco a poco. Quando fu troppo buio per gli occhi di Eragon, Saphira disse: È tardi. Sarà meglio rientrare.
Va bene.
La dragonessa cominciò a scendere tracciando ampie e pigre spirali, avvicinandosi a Tronjheim che riluceva come un faro al centro del Farthen Dùr. Erano ancora lontani dalla città-montagna, quando volse la testa e disse: Guarda. Eragon seguì il suo sguardo, ma non scorse altro che la grigia e piatta landa sotto di loro. Cosa? Invece di rispondere, la dragonessa inclinò le ali e virò a sinistra, sorvolando una delle quattro strade che partivano da Tronjheim seguendo i quattro punti cardinali. Mentre atterravano, Eragon notò una macchia bianca su una collinetta poco distante. La macchia ondeggiò stranamente nell'oscurità, come la fiamma di una candela, poi si trasformò in Angela, che indossava una tunica di lana candida.
L'indovina portava una grossa cesta di vimini carica di funghi delle più svariate specie; Eragon non ne riconobbe la maggior parte. Mentre lei si avvicinava, il giovane li indicò e disse: «Stai raccogliendo funghi?»
«Ciao» lo salutò Angela con una risata, e posò in terra il pesante fardello. «Oh no, funghi è un termine troppo generico.» Li sparpagliò con le mani. «Questo è una famigliola cattiva, questo è un coprino chiomato e qui c'è un gallinaccio, e un pletus, un cantarello, una colombina rossa e quello è un agarico ametistino. Una meraviglia, non trovi?» Indicò ciascuno a turno, per finire con un fungo dal cappello screziato di rosa, lavanda e giallo. «E quello?» domandò Eragon, indicando un fungo dal gambo azzurro folgore, le lamelle color arancio acceso e il cappello nero e lucido come inchiostro.
Lei lo guardò con orgoglio. «La Fricai Andlàt, come direbbero gli elfi. Il gambo provoca la morte istantanea, mentre il cappello può curare la maggior parte dei casi di avvelenamento. È da esso che si estrae il Nettare di Tunivor. La Fricai Andlàt cresce soltanto nelle grotte della Du Weldenvarden e del Farthen Dùr, ma qui morirebbe se i nani cominciassero a depositare i loro rifiuti da qualche altra parte.»
Eragon si guardò intorno, scrutando la piccola collina, e si rese conto di cosa voleva dire esattamente: un letamaio. «Salute a te, Saphira» disse Angela, oltrepassandolo per accarezzare la dragonessa sul naso. Saphira socchiuse gli occhi e sospirò di piacere, dimenando la coda. In quello stesso momento arrivò Solembum trotterellando, con un ratto inerte che gli penzolava dalla bocca. Senza scomporsi, il gatto mannaro si acciambellò sul terreno e cominciò a mordicchiare il roditore con deliberata indifferenza.
«Dunque» disse Angela, scostando una ciocca dell'enorme massa di riccioli, «si parte per Ellesméra?» Eragon annuì. Non si prese la briga di chiederle come lo sapeva: Angela sembrava sapere sempre tutto quel che accadeva. Quando lui rimase in silenzio, lei lo rimbrottò: «Perché quella faccia scura? Non è mica una condanna a morte!» «Lo so.»
«E allora sorridi, perché se non è una condanna a morte, allora devi essere contento! Sei flaccido come il ratto di Solembum. Flaccido. Che bella parola, non trovi?»
Eragon non potè fare a meno di sorridere, e anche Saphira ridacchiò, con un profondo brontolìo gutturale. «Non sono sicuro che sia bella come dici, ma sì, capisco il tuo punto di vista.»
«Ne sono lieta. La comprensione è un'ottima cosa.» Inarcando le sopracciglia, Angela infilò un'unghia sotto un fungo e lo capovolse per esaminarne le lamelle, mentre diceva: «Che fortunata coincidenza esserci incontrati stanotte, proprio mentre tu stai per partire e io... andrò ad accompagnare i Varden nel Surda. Come ti dissi tempo fa, mi piace trovarmi dove succedono le cose, e quello è il posto giusto.»
Eragon sorrise ancora di più. «Be', allora questo significa che faremo un viaggio tranquillo, altrimenti accompagneresti noi.»
Angela si strinse nelle spalle, poi si fece seria e disse: «Sta' attento nella Du Weldenvarden. Solo perché gli elfi sono misteriosi e imperscrutabili, non vuol dire che non siano soggetti alla rabbia e alle passioni come il resto di noi mortali. Ciò che le rende letali, però, è come le nascondono, a volte per anni.»
«Ci sei stata?»
«Tanto tempo fa.»
Dopo una pausa, Eragon chiese: «Cosa ne pensi dei progetti di Nasuada?»
«Mmm... è predestinata! Tu sei predestinato! Sono tutti predestinati!» Scoppiò a ridere, piegata in due, poi si raddrizzò di colpo. «Nota bene che non ho specificato quale tipo di destino vi attende, perciò non importa quel che accadrà, io l'ho predetto. Molto saggio da parte mia.» Sollevò di nuovo la cesta, posandola su un'anca. «Suppongo che non ti vedrò per un bel pezzo, perciò stammi bene, buona fortuna, evita i cavoli arrosto, non mangiare moccio, e guarda il lato bello della vita!» E con una strizzatina d'occhio, si allontanò, lasciando Eragon perplesso e imbarazzato. Dopo una pausa appropriata, Solembum raccolse la sua cena e la seguì, con la sua solita aria sdegnosa e noncurante.
Il dono di Rothgar
Mancava ancora mezz'ora all'alba quando Eragon e Saphira giunsero al cancello nord di Tronjheim. Il cancello era sollevato quel tanto da permettere a Saphira di passare, così si affrettarono a varcarlo e si disposero all'attesa sotto la volta vicina, dove torreggiavano pilastri di diaspro rosso, e sculture di bestie ringhianti si affacciavano fra le colonne color del sangue. Più avanti, due grifoni d'oro alti trenta piedi montavano guardia perenne ai confini di Tronjheim. Coppie identiche si trovavano davanti a ciascun cancello della città-montagna. Non c'era anima viva. Eragon teneva le redini di Fiammabianca. Lo stallone era stato strigliato, ferrato e sellato, con le bisacce che traboccavano di provviste. Scalpitava impaziente; Eragon non lo cavalcava da oltre una settimana. Poco dopo arrivò Orik, con la sua peculiare andatura dondolante, un grosso zaino in spalla e un voluminoso involto sotto il braccio. «Niente cavallo?» domandò Eragon, piuttosto stupito. Si aspetta che andiamo a piedi fino alla Du Weldenvarden?