Volodyk - Paolini2-Eldest
Eragon si spruzzò acqua sul viso e cercò di ravviarsi i capelli. Orik spinse lui e Saphira fuori dalla sala dei banchetti, verso il cancello sud di Tronjheim. «Dobbiamo partire da lì» spiegò, muovendosi con sorprendente rapidità sulle gambette tozze, «perché è dove il corteo con il corpo di Ajihad si è fermato tre giorni fa. Il suo viaggio verso la tomba non può essere interrotto, altrimenti il suo spirito non troverà riposo.»
Che strana usanza, commentò Saphira.
Eragon annuì, notando una lieve incertezza nella sua andatura. A Carvahall di solito le persone venivano seppellite nelle proprie fattorie, oppure, se vivevano al villaggio, in un piccolo cimitero. Gli unici rituali che accompagnavano la cerimonia erano la recitazione di alcune strofe
tratte da famose ballate e, più tardi, un banchetto funebre per i parenti e gli amici. Ce la farai a resistere per tutto il funerale? chiese Eragon, quando Saphira vacillò di nuovo.
La dragonessa diede in un ghigno sommesso. Sì, e anche per la nomina di Nasuada, ma poi avrò bisogno di dormire. Dannato idromele!
Tornando alla conversazione con Orik, Eragon gli chiese: «Dove sarà sepolto Ajihad?»
Orik rallentò e scoccò a Eragon un'occhiata inquieta. «Questo è stato oggetto di discussione fra i clan. Quando muore un nano, noi crediamo che debba essere sigillato nella pietra, altrimenti non raggiungerà mai i suoi antenati. È qualcosa di complesso e non posso spiegare altro a un estraneo... ma facciamo di tutto per assicurarci una simile tumulazione. Il disonore colpisce la famiglia o il clan che lasciano giacere uno di loro in un elemento meno nobile. «Sotto il Farthen Dùr c'è una camera, dimora di tutti i knurlan, tutti i nani, che sono morti qui. È lì che sarà portato Ajihad. Non potrà essere tumulato insieme a noi, poiché è un umano, ma è stata predisposta una speciale nicchia per lui. Così i Varden potranno fargli visita senza disturbare le nostre sacre grotte, e Ajihad riceverà il rispetto che merita.» «Il vostro re ha fatto molto per i Varden» disse Eragon.
«Alcuni sostengono che abbia fatto anche troppo.»
Davanti al massiccio cancello, sollevato sulle catene nascoste per rivelare la fievole luce del giorno che pioveva dalla sommità del Farthen Dùr, trovarono un corteo organizzato con cura meticolosa. Davanti a tutti c'era Ajihad, freddo e pallido, adagiato su un feretro di marmo portato da sei uomini in armatura nera. In testa aveva un elmo tempestato di pietre preziose; all'altezza dello sterno le mani erano intrecciate sull'impugnatura d'avorio della spada snudata, posta sotto lo scudo che gli copriva il petto e le gambe. Una fitta rete di maglie d'argento, simili a tanti cerchietti di luce lunare, gli ricopriva le membra e ricadeva sul feretro.
Subito dietro la salma c'era Nasuada, alta e fiera sotto il mantello di zibellino, con le lacrime come unico ornamento. Al suo fianco c'era Rothgar, vestito di scuro; poi Arya; il Consiglio degli Anziani, tutti con l'espressione contrita di circostanza; e infine una moltitudine in lutto che si allungava per un miglio da Tronjheim.
Ogni porta e ogni arcata del corridòio alto quattro piani che conduceva alla camera centrale di Tronjheim, lontana mezzo miglio, erano stati aperti alla folla di umani e nani. Fra i volti mesti, i lunghi stendardi ondeggiavano per le centinaia di sospiri e sussurri che si levarono quando comparvero Saphira ed Eragon. Jòrmundur fece loro cenno di avvicinarsi. Cercando di non disturbare la formazione, Eragon e Saphira percorsero la colonna fino allo spazio riservato al suo fianco, guadagnandosi un'occhiata di riprovazione da parte di Sabra. Orik prese posto alle spalle di Rothgar. Si disposero tutti all'attesa, anche se Eragon non sapeva di che cosa.
Gli schermi delle lanterne furono abbassati a metà, diffondendo una fredda penombra che conferiva un'aura mistica all'evento. Nessuno sembrava muoversi o respirare: per un breve istante Eragon ebbe l'impressione che fossero tutti statue impietrite per l'eternità. Una voluta solitària d'incenso si levò dal feretro verso la volta nebbiosa, spandendo un aroma di cedro e ginepro. Era l'unica cosa che si muoveva nel corridòio: una spirale grigiastra che ondeggiava sinuosa da parte a parte.
Nelle viscere di Tronjheim rimbombò un tamburo. Boom.
La nota bassa riverberò nelle loro ossa, scuotendo la pietra della città-montagna che vibrò come un'enorme campana. Mossero il primo passo.
Boom. Alla seconda nota si unì quella di un altro tamburo più basso; ogni colpo rimbombava inesorabile nel corridòio, sospingendo il corteo a un ritmo maestoso. La forza del suono conferiva a ogni passo il significato, lo scopo e la solennità adeguati all'occasione. Il lento rullio dei tamburi non permetteva a nessuno di formulare un pensiero, ma soltanto di provare emozioni, abilmente evocate, che si esprimevano con lacrime di cordoglio e gioia acre al tempo stesso.
Boom.
Quando il tunnel finì, i necrofori di Ajihad si fermarono fra i pilastri di onice, prima di procedere lenti nella camera centrale. Qui Eragon vide le espressioni dei nani farsi ancora più solenni nello scorgere le rovine di Isidar Mithrim. Boom.
Attraversarono un cimitero di cristallo. Un cerchio di schegge torreggianti giaceva al centro della grande camera, circondando il martello e i pentacoli incisi. Molti frammenti erano più grandi di Saphira. I colori dello Zaffiro Stellato ancora baluginavano nei frammenti, e su alcuni erano visibili i petali della rosa intagliata.
Boom.
I necrofori continuarono ad avanzare fra innumerevoli bordi affilati come rasoi. Poi il corteo deviò per scendere lungo un ampio scalone verso i tunnel sottostanti. Marciarono attraverso molte cavèrne, superando rifugi di pietra dove nani bambino si tenevano avvinghiati alle sottane delle madri e osservavano con occhi spalancati.
Boom.
. E con un crescendo finale, si fermarono sotto una volta di stalattiti nervate che copriva una grande catacomba fiancheggiata da nicchie. In ciascuna nicchia c'era una tomba con sopra inciso un nome e l'emblema di un clan. Migliaia
- centinaia di migliaia - di morti erano sepolti lì. L'unica fonte di illuminazione erano alcune lanterne rosse che brillavano fioche nell'oscurità.
Dopo una pausa, i necrofori entrarono in una piccola stanza annessa alla sala principale. Al centro, su una piattaforma rialzata, c'era un grande sepolcro aperto, come un nero abisso in attesa. Sulla lapide era inciso in rune: Che tutti, Knurlan, Umani ed Elfi,
Ricordino
Quest'Uomo.
Poiché era Nobile, Forte e Saggio.
Gùntera Arùna
Quando si furono tutti radunati in circolo, Ajihad venne calato nel sepolcro, e coloro che lo avevano conosciuto personalmente ebbero il permesso di avvicinarsi. Eragon e Saphira erano i quinti in coda, dietro Arya. Mentre salivano i gradini di marmo per rendere omaggio al defunto, Eragon fu sopraffatto da un dolore straziante, aggravato dal fatto che considerava il funerale di Ajihad anche quello di Murtagh.
Fermandosi davanti alla tomba, abbassò lo sguardo su Ajihad. Appariva molto più sereno e tranquillo di quanto non fosse mai stato in vita, come se la morte avesse riconosciuto la sua grandezza e lo onorasse cancellando ogni traccia di affanno terreno dal suo volto. Eragon aveva conosciuto Ajihad soltanto per un breve periodo, ma in quel tempo aveva imparato a rispettarlo sia come persona che per ciò che rappresentava: la libertà dalla tirannia. Inoltre Ajihad era stato il primo a concedere asilo a Eragon e Saphira da quando avevano lasciato la Valle Palancar.
Afflitto, Eragon cercò di pensare al più grande tributo da offrirgli. Alla fine inghiottì il nodo alla gola e sussurrò: «Sarai ricordato, Ajihad. Lo giuro. Riposa in pace sapendo che Nasuada continuerà la tua opera e che l'Impero sarà distrutto grazie a quanto tu hai compiuto.» Consapevole del contatto di Saphira con il suo braccio, Eragon scese dalla piattaforma insieme a lei, e lasciò il posto a Jòrmundur.
Quando anche l'ultimo ebbe onorato la salma, Nasuada si chinò su Ajihad e toccò la mano del padre, stringendola con gentile premura. Con un gemito sofferto, cominciò a cantare in una strana lingua dolente, riempiendo la caverna con i suoi lamenti.
Poi arrivarono dodici nani che fecero scivolare un lastrone di marmo sul volto di Ajihad. Ed egli più non fu. Giuramento di fedeltà
Eragon sbadigliò, coprendosi la bocca, mentre la folla si disponeva nell'anfiteatro sotterraneo. La grande arena riecheggiava di voci che discutevano del funerale appena concluso.
Eragon prese posto nell'ordine più basso, al livello del podio. Con lui c'erano Orik, Arya, Rothgar, Nasuada e il Consiglio degli Anziani. Saphira si accomodò sulla rampa di scale che tagliava le gradinate. Orik si protese verso il giovane e disse: «Fin dai tempi di Korgan, tutti i nostri re sono stati eletti in questo luogo. È giusto che i Varden facciano altrettanto.»
Resta da vedere, pensò Eragon, se questo trasferimento di poteri sarà pacifico. Si strofinò un occhio per asciugare le ultime lacrime; la cerimonia lo aveva profondamente scosso.
Sulle ceneri del suo cordoglio cominciò a ribollire l'ansia: lo impensieriva il proprio ruolo negli eventi imminenti. Se anche tutto fosse filato liscio, lui e Saphira stavano per farsi dei nemici potenti. La sua mano si spostò su Zar'roc, stringendone il pomo.
Ci vollero parecchi minuti perché l'anfiteatro si riempisse. Poi Jòrmundur salì sul podio. «Popolo dei Varden. Quindici anni or sono ci siamo qui riuniti alla morte di Deynor. Il suo successore, Ajihad, ha fatto molto per opporsi all'Impero e a Galbatorix, più di chiunque prima di lui. Ha vinto innumerevoli battaglie contro forze superiori. Ha quasi ucciso Durza, imprimendo una scalfittura sulla lama dello Spettro. E ha accolto il Cavaliere Eragon e Saphira a Tronjheim. Tuttavia è il momento di scegliere un nuovo capo, che ci assicuri la gloria finale.»
Qualcuno dalle gradinate più in alto gridò: «L'Ammazzaspettri!»
Eragon cercò di non reagire, e fu lieto di notare che Jòrmundur non battè ciglio nel replicare: «Forse negli anni a venire, ma per il momento egli è chiamato ad altri dovéri e responsabilità. No, il Consiglio degli Anziani ha riflettuto a lungo. Ci occorre qualcuno che comprenda i nostri bisogni e i nostri desideri, qualcuno che ha vissuto e sofferto insieme a noi. Qualcuno che si è rifiutato di fuggire, anche quando la battaglia era imminente.»
In quel momento Eragon sentì che il pubblico aveva capìto. Il nome si diffuse come un sussurro esalato da mille gole e fu pronunciato da Jòrmundur stesso: «Nasuada.» Con un inchino, Jòrmundur si fece da parte.
Fu il turno di Arya. L'elfa scrutò il pubblico in attesa, poi disse: «Gli elfi onorano Ajihad questa notte... E in nome della regina Islanzadi, riconosco l'ascesa di Nasuada e le offro il medesimo sostegno e la medesima amicizia che tributavamo a suo padre. Che le stelle la proteggano.»
Rothgar salì sul podio e dichiarò asciutto: «Anch'io sostengo Nasuada, come i nostri clan.» E si allontanò subito. Toccava a Eragon. Eretto davanti alla folla, con tutti gli sguardi puntati su lui e Saphira, annunciò: «Anche noi sosteniamo Nasuada.
» Saphira ringhiò la sua approvazione.
Pronunciate le dichiarazioni, i membri del Consiglio si disposero sui lati del podio, Jòrmundur davanti a tutti. Con fiero contegno, Nasuada si avvicinò e s'inginocchiò umilmente davanti a lui, l'abito disposto in pieghe corvine. Alzando la voce, Jòrmundur disse: «Per diritto di eredita
e successione, abbiamo scelto Nasuada. Per i ineriti di suo padre e la benedizione dei suoi pari, abbiamo scelto Nasuada. Ora vi chiedo: abbiamo scelto bene?»
Il ruggito di acclamazione fu unanime. «Sì!»
Jòrmundur annuì. «E dunque, per i poteri conferiti a questo consiglio, passiamo i privilegi e le responsabilità accordati ad Ajihad alla sua unica discendente, Nasuada.» E depose un cerchietto Prendendola per mano, la fece alzare e annunciò: «Ecco la nostra nuova guida!» Per dieci minuti i Varden e i nani esultarono, gridando la loro approvazione finché l'arena non riverberò tutta del loro clamore. Una volta placati gli animi, Sabra fece cenno a Eragon, mormorando: «È tempo di mantenere la tua promessa.» In quel momento, per Eragon cessò ogni rumore. Anche il suo nervosismo scomparve, inghiottito dall'importanza del momento. Facendosi forza, con un profondo respiro, lui e Saphira si avvicinarono a Jòrmundur e Nasuada, ogni passo lungo un'eternità. Mentre camminavano, Eragon guardò Sabra, Elessari, Umérth e Falberd, notando i loro mezzi sorrisi, il loro compiacimento e, da parte di Sabra, un evidente disdegno. Alle spalle dei membri del consiglio c'era Arya, che annuì in suo sostegno.
Stiamo per cambiare la storia, disse Saphira.
Ci stiamo gettando da una rupe senza sapere quanto è profonda l'acqua di sotto.
Già, ma che volo magnifico!
Con un'occhiata fugace al volto sereno di Nasuada, Eragon s'inchinò e s'inginocchiò. Estrasse Zar'roc dal fodero, la prese di piatto con entrambe le mani e la levò, come per offrirla a Jòrmundur. Per un istante, la lama rimase fra Jòrmundur e Nasuada, in bilico fra due differenti destini. Eragon trattenne il fiato: quale semplice scelta su cui basare una vita. Più di una vita: un drago, un re, un Impero!
Poi il fiato tornò a riempirgli i polmoni, il tempo riprese a scorrere, e lui si volse verso Nasuada. «In nome del più profondo rispetto e apprezzamento per le difficoltà che incontrerai, io, Eragon, primo Cavaliere dei Varden, Ammazzaspettri e Argetlam, ti faccio dono della mia spada e della mia fedeltà, Nasuada.»
d'argento sulla fronte di Nasuada. I Varden e i nani ammutolirono, esterrefatti. Nel medesimo istante, il Consiglio degli Anziani passò dal trionfo alla rabbia impotente. I loro sguardi ardevano con la forza e il veleno di chi si sente tradito. Persino Elessari lasciò che la collera le cancellasse il suo cortese contegno. Soltanto Jòrmundur - dopo un breve sussulto di sorpresa - sembrò accettare l'annuncio con equanimità.
Nasuada sorrise e prese Zar'roc, posando la punta della spada sulla fronte di Eragon, come aveva già fatto. «Sono onorata che tu abbia scelto di servirmi, Cavaliere Eragon. Accetto, come tu accetti, tutte le responsabilità derivanti da questa posizione. Levati come mio vassallo e riprendi la tua spada.»
Eragon obbedì, poi indietreggiò insieme a Saphira. La folla balzò in piedi fra grida di esultanza; i nani pestavano gli stivali chiodati al ritmo dei guerrieri umani che battevano le spade sugli scudi.
Voltandosi sul podio, Nasuada afferrò la balaustra con le mani e guardò la folla dell'anfiteatro. Il suo volto irradiava gioia pura. «Popolo dei Varden!»
Silenzio.