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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Eragon fu percorso da un brivido gelido, perché la maledizione dell'uomo riecheggiava quella che l'ultimo Ra'zac gli aveva lanciato nell'Helgrind, e si ricordò che Angela gli aveva predetto la stessa cosa. Con uno sforzo accantonò quei pensieri e disse: «Non voglio uccidervi, ma lo farò, se devo. Deponete le armi!»

Nel frattempo, senza far rumore, Arya aprì la porta ai piedi della torre di guardia e sgusciò all'interno. Furtivo come un gatto selvatico, Blödhgarm scivolò dietro i soldati, puntando verso l'altra torre. Se in quel momento uno degli uomini si fosse voltato lo avrebbe visto.

Il capitano sputò ai piedi di Eragon. «Non sembri nemmeno umano! Sei un traditore della tua razza, ecco cosa sei!» sibilò, poi alzò lo scudo e la spada e cominciò ad avanzare lentamente verso di lui. «E tu saresti un Ammazzaspettri?» ringhiò il soldato. «Ha! Se mi dicessero che mio nipote di dodici anni ha ucciso uno Spettro, ci crederei di più.»

Eragon aspettò che fosse vicino. Poi, con un solo affondo, Brisingr trapassò il centro dello scudo, il braccio che lo reggeva, il petto del soldato e infine uscì dall'altra parte. L'uomo fu scosso da un tremito, poi rimase immobile. Mentre Eragon estraeva la spada dal cadavere, dalle torri di guardia si levò uno stridore di ferro e legno: ingranaggi e catene presero a girare, e le grosse travi che serravano i cancelli della città cominciarono a scivolare all'indietro.

«Deponete le armi o morirete!» gridò Eragon. Una ventina di soldati si avventarono su di lui urlando, con le spade sguainate. Gli altri fuggirono verso il centro della città o seguirono il consiglio di Eragon e posarono spade, lance e scudi sui grigi lastroni di pietra e s'inginocchiarono ai lati della strada con le mani sulle ginocchia.

Una nebbiolina di sangue avvolse Eragon mentre si faceva strada fra i soldati a colpi di spada, piroettando da uno all'altro senza lasciar loro il tempo di reagire. Saphira schiacciò due soldati, poi con una breve fiammata dalle narici ne bruciò altri due, arrostendoli nelle loro armature. Eragon si fermò in scivolata oltre l'ultimo soldato, il braccio che impugnava la spada ancora teso dopo l'affondo che aveva appena sferrato, e aspettò di sentire l'uomo stramazzare al suolo, prima una metà poi l'altra.

Arya e Blödhgarm riemersero dalle torri di guardia proprio mentre i cancelli si aprivano con un lungo e sonoro cigolio, rivelando la testa scheggiata e ammaccata del massiccio ariete dei Varden. Sui parapetti, gli arcieri lanciarono grida sgomente e si ritirarono. Decine di mani comparvero intorno ai bordi dei cancelli aprendoli a forza, e sotto l'arco Eragon vide una massa di Varden dal volto sudicio, uomini e nani insieme.

«Ammazzaspettri!» urlarono, e anche: «Argetlam!» e «Bentornato! La caccia è buona oggi!»

«Questi sono miei prigionieri!» dichiarò Eragon, puntando Brisingr verso i soldati inginocchiati sul ciglio della strada. «Legateli e assicuratevi che siano trattati bene. Ho dato la mia parola che non sarebbe stato loro torto un capello.»

Sei guerrieri si affrettarono a eseguire l'ordine.

I Varden si riversarono all'interno dei cancelli, sparpagliandosi nella città in un tintinnio di armature e un rimbombo di stivali. Eragon fu felice di vedere Roran e Horst e parecchi altri uomini di Carvahall nella quarta fila dei guerrieri. Li salutò, e non appena lo scorse Roran alzò il martello e gli corse incontro.

Eragon gli afferrò il braccio destro attirandolo in un ruvido abbraccio. Quando si ritrasse, notò che Roran sembrava invecchiato e aveva gli occhi incavati.

«Mentre eri via» grugnì Roran «sono morti in centinaia tentando di conquistare le mura.»

«Io e Saphira abbiamo fatto il prima possibile. Come sta Katrina?»

«Bene.»

«Quando avremo finito qui, dovrai raccontarmi tutto quello che ti è successo mentre non c'ero.»

Roran serrò le labbra e annuì, poi indicò Brisingr e disse: «Dove hai preso quella spada?»

«A Ellesméra.»

«Come si chiama?»

«Bris...» fece per dire Eragon, ma in quel momento gli altri undici elfi che Islanzadi aveva mandato a proteggere lui e Saphira uscirono dalla colonna di uomini e li circondarono. Arrivarono anche Blödhgarm e Arya; l'elfa era intenta a ripulire la lama sottile della sua spada.

Prima che Eragon potesse riprendere a parlare, Jörmundur oltrepassò i cancelli a cavallo e lo salutò gridando: «Ammazzaspettri! È un vero piacere rivederti!»

Eragon ricambiò il saluto e gli domandò: «E adesso che cosa dobbiamo fare?»

«Quello che ti sembra più opportuno» rispose Jörmundur tirando le redini del suo sauro. «Dobbiamo aprirci la strada fino alla fortezza. Immagino che Saphira non riesca a passare fra le case, perciò volate e colpite le loro forze dove potete. Se riusciste ad aprire un varco nella fortezza, o a catturare Lady Lorana, sarebbe un enorme aiuto.»

«Dov'è Nasuada?»

Jörmundur indicò un punto alle proprie spalle. «Nella retroguardia dell'esercito, a coordinare le nostre forze con re Orrin.» Jörmundur scoccò un'occhiata alla fiumana di guerrieri che continuava a riversarsi nella città, poi tornò a guardare Eragon e Roran. «Fortemartello, il tuo posto è con i tuoi uomini, non qui a cianciare con tuo cugino.» Il magro e asciutto comandante spronò il cavallo e si allontanò lungo la strada buia, urlando ordini ai Varden.

Quando Roran e Arya si voltarono per seguirlo, Eragon afferrò la spalla di Roran e fermò la lama di Arya con la propria. «Aspettate» disse.

«Che cosa c'è?» domandarono in coro Arya e Roran, impazienti.

Sì, che cosa c'è? domandò Saphira. Basta star qui a parlare, quando c'è da divertirsi.

«Mio padre!» esclamò Eragon. «Non è Morzan, è Brom!»

Roran batté le palpebre. «Brom?»

«Sì, Brom!»

Perfino l'impassibile Arya parve sorpresa. «Sei sicuro, Eragon? Come fai a saperlo?»

«Certo che sono sicuro! Ve lo spiegherò più tardi, ma non vedevo l'ora di dirvi la verità.»

Roran scosse la testa. «Brom... non l'avrei mai detto. Però in effetti ha un senso. Sarai felice di esserti liberato del nome di Morzan.»

«Più che felice» disse Eragon sorridendo.

Roran gli diede una pacca sulla schiena, dicendo: «Abbi cura di te, eh?» e corse dietro a Horst e agli altri.

Arya si avviò dietro di lui, ma non aveva fatto che pochi passi che Eragon la chiamò e disse: «Lo Storpio Che è Sano ha lasciato la Du Weldenvarden per raggiungere Islanzadi a Gil'ead.» Gli occhi verdi di Arya si spalancarono e le sue labbra si schiusero come se stesse per fare una domanda, ma prima che ci riuscisse la fiumana di guerrieri la trascinò nel suo flusso verso il cuore della città.

Blödhgarm si avvicinò a Eragon. «Ammazzaspettri, perché il Saggio Dolente ha lasciato la foresta?»

«Lui e il suo compagno hanno sentito che era tempo di combattere contro l'Impero e rivelare la propria esistenza a Galbatorix.»

La pelliccia dell'elfo s'increspò. «Questa è una notizia davvero molto importante.»

Eragon salì in groppa a Saphira. A Blödhgarm e alle sue altre guardie disse: «Andate alla fortezza. Ci incontreremo là.»

Senza attendere la risposta dell'elfo, Saphira balzò sulle scale che portavano in cima alle mura della città. I gradini di pietra scricchiolarono sotto il suo peso; si arrampicò sull'ampio parapetto e spiccò il volo, planando sulle baracche in fiamme ai piedi dei bastioni di Feinster. Batté rapida le ali per prendere quota.

Dovremo avere il permesso di Arya prima di parlare ad altri di Oromis e Glaedr, esclamò Eragon ricordando il voto di segretezza che lui, Orik e Saphira avevano fatto alla regina Islanzadi durante la loro prima visita a Ellesméra.

Sono sicura che ce lo darà non appena avrà sentito il nostro racconto, disse Saphira.

Già.

Eragon e Saphira volarono da un punto all'altro di Feinster, atterrando ovunque scorgessero un grosso gruppo di soldati o di Varden in difficoltà. Se non lo attaccavano subito, Eragon cercava di convincere i nemici ad arrendersi. Non sempre ci riusciva, ma ci provava comunque, perché molti degli uomini che affollavano le vie di Feinster erano comuni cittadini e non soldati addestrati. A ciascuno Eragon diceva: "È l'Impero il nostro nemico, non voi. Non impugnate le armi contro di noi e non avrete motivo di temerci."

Le poche volte che Eragon scorse una donna o un bambino correre per le vie buie della città, ordinò loro di nascondersi nella casa più vicina e tutti, nessuno escluso, obbedirono.

Eragon scrutò le menti di ogni persona intorno a sé e a Saphira alla ricerca di stregoni ostili, ma non ne trovò altri, tranne i tre in cui si era imbattuto, e quei tre stavano bene attenti a tenergli nascosti i propri pensieri. Lo preoccupava il fatto che fossero spariti senza prendere parte al combattimento.

Forse intendono abbandonare la città, disse a Saphira.

Credi che Galbatorix li lascerebbe andare via nel bel mezzo di una battaglia?

Dubito che voglia perdere anche uno solo dei suoi stregoni.

Può darsi, ma dobbiamo comunque stare attenti. Chissà che cosa stanno tramando.

Eragon si strinse nelle spalle. Per ora, la cosa migliore da fare è aiutare i Varden a prendere Feinster in fretta.

Lei annuì e virò verso una schermaglia in una piazza vicina.

Combattere in una città era diverso da uno scontro all'aperto, com'erano abituati a fare Eragon e Saphira. Le strade strette e gli edifici ravvicinati ostacolavano i movimenti di Saphira e impedivano di reagire d'istinto quando i soldati attaccavano, anche se Eragon poteva percepire gli uomini in avvicinamento molto tempo prima che arrivassero. I loro scontri con i soldati si trasformavano inevitabilmente in mischie confuse e disperate, interrotte da occasionali esplosioni di fuoco o di magia. Più di una volta Saphira distrusse la facciata di una casa con un involontario colpo di coda. Lei ed Eragon riuscirono sempre a evitare gravi ferite - per una combinazione di fortuna, abilità e incantesimi di protezione - ma gli attacchi li resero più cauti e nervosi di quanto non fossero di solito in battaglia.

Il quinto scontro lasciò Eragon così schiumante di collera che quando i soldati cominciarono a battere in ritirata, come finivano sempre per fare, li inseguì, deciso a sterminarli fino all'ultimo uomo. Con sua sorpresa, deviarono bruscamente dalla strada e sfondarono la porta sbarrata di una modisteria.

Eragon li inseguì, balzando sui resti distrutti della porta. L'interno del negozio era buio e odorava di profumo stantio e piume di gallina. Per un attimo pensò d'illuminarlo con la magia, ma visto che i soldati erano svantaggiati, si trattenne. Percepiva le loro menti e sentiva i loro respiri affannati, ma non poteva vedere se c'erano ostacoli fra lui e loro. Avanzò lentamente nell'oscurità, tastando il pavimento coi piedi, con lo scudo davanti al corpo e Brisingr pronta a colpire.

Fievole come il sospiro di un filo che cade in terra, Eragon sentì un oggetto volare verso di lui.

Fece uno scatto all'indietro, e barcollò quando una mazza o un martellò colpì il suo scudo, facendolo a pezzi. Esplosero delle urla. Un uomo rovesciò una sedia, o un tavolo, e qualcosa si fracassò contro il muro. Eragon menò un fendente e sentì Brisingr affondare nella carne fino all'osso. Un peso bloccava l'estremità della spada. Eragon la ritrasse con uno strattone e l'uomo che lo aveva assalito stramazzò ai suoi piedi.

Scoccò una rapida occhiata alle sue spalle, nel vicolo stretto dove Saphira lo aspettava. Soltanto allora vide la lanterna montata su un palo di ferro all'angolo della strada e capì che la luce lo rendeva perfettamente visibile ai soldati. Si scansò in fretta dal cono di luce e gettò via lo scudo ormai inservibile.

Un altro schianto echeggiò nel negozio, seguito da un frastuono di passi che correvano su per le scale. Eragon si slanciò dietro i soldati. Al primo piano c'era l'alloggio dei proprietari del negozio. Diverse persone urlarono e un bambino cominciò a piangere quando irruppe nel labirinto di piccole stanze, ma lui li ignorò, concentrato soltanto sul suo obiettivo.

Alla fine Eragon riuscì a raggiungere i soldati e a chiuderli in trappola, in una stanza angusta illuminata dalla fioca luce di una candela. Erano quattro, e li uccise con altrettanti affondi, facendo una smorfia quando fu investito dagli spruzzi di sangue. Si procurò un nuovo scudo togliendolo a uno dei cadaveri, poi si fermò a guardarli. Gli parve indelicato lasciarli lì, sul pavimento del soggiorno, così li scaraventò fuori della finestra.

Mentre tornava alle scale, una sagoma sbucò da dietro un angolo e tentò di pugnalarlo al costato. La punta del pugnale si fermò a un soffio dal suo fianco, bloccata dagli incantesimi. Con un sussulto, Eragon alzò Brisingr per decapitare il nemico, quando si accorse che l'aggressore era un ragazzino di non più di tredici anni.

S'impietrì. Avrei potuto essere io, pensò. Avrei fatto lo stesso, se fossi stato al suo posto. Guardando oltre le spalle del ragazzo, vide un uomo e una donna in camicia da notte e berretto di lana che si stringevano fissandolo con orrore.

Rabbrividì. Abbassò Brisingr e tolse il pugnale dalla debole stretta del ragazzo. «Fossi in voi» disse, colpito dalla nota greve che gli venava la voce, «non uscirei finché la battaglia non è finita.» Esitò, poi aggiunse: «Mi dispiace.»

Colmo di vergogna, uscì di fretta dal negozio e raggiunse Saphira.

Continuarono lungo la strada.

Non lontano dalla modisteria, Eragon e Saphira s'imbatterono in parecchi uomini di re Orrin che trasportavano candelabri d'oro, vassoi e posate d'argento, gioielli, e oggetti d'arredamento fuori da una ricca dimora dove avevano fatto irruzione.

Eragon strappò una pila di tappeti dalle braccia di un soldato surdano. «Rimettete queste cose al loro posto!» urlò all'intero gruppo. «Siamo qui per aiutare questa gente, non per derubarla. Sono i nostri fratelli e sorelle, le nostre madri e i nostri padri. Per questa volta vi lascio andare, ma spargete la voce che se qualcuno saccheggia le case, lo farò appendere e frustare come un ladro!» Saphira ruggì, a sottolineare la minaccia. Sotto i loro sguardi vigili, i guerrieri richiamati all'ordine riportarono il bottino nella casa rivestita di marmo.

Ora, disse Eragon a Saphira, forse possiamo...

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