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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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«Nal, Grimstnzborith Orik!» gridarono i nani, battendo sugli scudi con le asce e con le lance, e pestando i piedi sul pavimento. «Nal, Grimstnzborith Orik! Nal, Grimstnzborith Orik!»

«Evviva re Orik!» gridò Eragon. Inarcando il collo, Saphira ruggì il suo omaggio e sputò una vampa di fuoco sopra le teste dei nani, che incenerì una manciata di petali di rosa. A Eragon lacrimarono gli occhi quando fu investito dall'ondata di calore.

Gannel s'inginocchiò davanti a Orik e gli disse ancora qualcosa nella lingua dei nani. Quando ebbe finito, Orik gli toccò la testa e Gannel tornò al proprio posto ai margini della sala. Nado si avvicinò al trono e disse più o meno le stesse cose, e dopo di lui fecero altrettanto Manndrâth e Hadfala e tutti gli altri capiclan, con l'unica eccezione di Grimstborith Vermûnd, che era stato bandito dall'incoronazione.

Credo che si stiano mettendo al servizio di Orik, disse Eragon a Saphira.

Ma non gli avevano già dato la loro parola?

Sì, ma non in pubblico. Eragon vide Thordris avviarsi verso il trono prima di dire: Saphira, secondo te che cosa abbiamo appena visto? Era davvero Gûntera o soltanto un'illusione? La sua coscienza sembrava concreta, e non so come si possa fingere una cosa del genere ma...

Forse era un'illusione, disse lei. Che io sappia, le divinità dei nani non li hanno mai aiutati sui campi di battaglia né in altre occasioni del genere. E non credo che un vero dio accorrerebbe al richiamo di Gannel come un cane ammaestrato. Io non lo farei, e un dio non dovrebbe essere più importante di un drago?... D'altro canto, ci sono molte cose inspiegabili in Alagaësia. È possibile che abbiamo visto un'ombra proveniente da un'epoca ormai dimenticata, una pallida traccia di ciò che era un tempo e che continua a infestare la terra nel desiderio di riprendersi il potere perduto. Chi può saperlo?

Quando l'ultimo capoclan ebbe finito di tributare omaggio a Orik, toccò ai capi delle gilde presentarsi al suo cospetto, e poi Orik fece un cenno a Eragon. Con lenti passi misurati, Eragon avanzò tra le file di guerrieri nani fino a raggiungere la base del trono, dove s'inginocchiò. In quanto membro del Dûrgrimst Ingeitum, riconobbe Orik come proprio re e giurò di servirlo e di proteggerlo; in qualità di emissario di Nasuada, si congratulò con Orik per conto di Nasuada e dei Varden e gli promise la loro amicizia.

Quando Eragon si fu ritirato, molti altri nani si fecero avanti per parlare con Orik, in una processione che parve interminabile. Erano tutti desiderosi di dimostrare la propria lealtà al nuovo re.

La processione durò ore, poi cominciò la presentazione dei regali. Ogni nano offrì in dono a Orik un simbolo del proprio clan o della propria gilda: un calice d'oro traboccante di rubini e diamanti, una cotta di maglia stregata che nessuna lancia avrebbe potuto trapassare, un arazzo di venti piedi intessuto con la morbida lana tosata dalle barbe delle capre Feldûnost, una tavoletta d'agata su cui erano incisi i nomi di tutti gli antenati di Orik, un pugnale ricurvo ricavato dalla zanna di un drago, e molti altri tesori. In cambio, come segno della sua gratitudine, Orik offrì ai nani degli anelli.

Eragon e Saphira furono gli ultimi a presentarsi a Orik. Inginocchiandosi ancora una volta alla base della pedana, Eragon estrasse dalla tunica il bracciale d'oro che la sera prima aveva chiesto ai nani. Lo porse a Orik dicendo: «Ecco il mio regalo, re Orik. Non l'ho fatto io, ma gli ho imposto degli incantesimi per proteggerti. Finché lo porterai non dovrai temere alcun veleno. Se un sicario tenta di ucciderti o di pugnalarti o di lanciare contro di te un oggetto qualunque, l'arma non ti colpirà. Il bracciale ti proteggerà da gran parte degli incantesimi ostili. E possiede anche altre proprietà, che potrebbero tornarti utili quando la tua vita sarà in pericolo.»

Con un cenno del capo, Orik accettò il bracciale e disse: «Ti ringrazio molto per il tuo prezioso regalo, Eragon Ammazzaspettri.» E facendo in modo che tutti vedessero s'infilò la fascia d'oro sul braccio sinistro.

Poi venne il turno di Saphira, che proiettò i suoi pensieri verso tutti i presenti, dichiarando: Ecco il mio regalo, Orik. Oltrepassò il trono, gli artigli che ticchettavano sul pavimento di pietra, e si sollevò poggiando le zampe davanti sul bordo dell'intelaiatura che conteneva lo Zaffiro Stellato. Le robuste travi di legno scricchiolarono sotto il suo peso ma ressero. I minuti passarono senza che accadesse nulla, ma Saphira rimase dov'era, fissando l'enorme gemma.

I nani la osservavano rapiti, con gli occhi sgranati e il fiato sospeso.

Sei sicura di riuscirci? chiese Eragon, esitante, non volendo distrarla.

Non lo so. Le poche volte che ho usato la magia in passato non mi sono soffermata a pensare all'incantesimo. Ho semplicemente desiderato che il mondo cambiasse, ed è cambiato. Non è mai stato un procedimento consapevole... Immagino che dovrò aspettare finché non sentirò che è arrivato il momento giusto per riparare Isidar Mithrim.

Fatti aiutare. Lasciami evocare un incantesimo attraverso di te.

No, piccolo. È compito mio, non tuo.

Una voce solitaria, bassa e limpida, si levò nella sala, cantando una melodia lenta e malinconica. Uno alla volta, gli altri membri del coro invisibile si unirono al canto, colmando Tronjheim con la triste bellezza della loro musica.

Eragon stava per chiedere loro di tacere, ma Saphira disse: Va tutto bene. Lasciali stare.

Anche se non capiva le parole della canzone, Eragon intuì dal tono della melodia che si trattava di una lamentazione per le cose di un tempo che non c'erano più, come lo Zaffiro Stellato. Mentre il canto volgeva al termine, Eragon si ritrovò a pensare alla vita perduta nella Valle Palancar e gli si riempirono gli occhi di lacrime.

Con sorpresa notò un analogo flusso di pensieri malinconici scorrere in Saphira. La tristezza e il rimpianto non erano tratti caratteristici della sua personalità, perciò Eragon rimase colpito, e le avrebbe chiesto spiegazioni se non avesse percepito in lei qualcosa di più profondo, come se una parte antica del suo essere si fosse risvegliata.

La canzone si concluse con una lunga nota vibrante. In quell'istante Saphira fu attraversata da una corrente di energia così ricca e impetuosa che Eragon trasalì, e la dragonessa abbassò la testa a sfiorare lo Zaffiro Stellato con la punta del muso. La ragnatela di crepe che si diramava sulla gemma gigantesca s'illuminò di lampi sfolgoranti, poi l'intelaiatura si spezzò e cadde a terra, rivelando Isidar Mithrim di nuovo integro e perfetto.

Ma c'era qualcosa di diverso. Il colore della pietra era di una tonalità di rosso più profonda, più ricca di sfumature, e i petali interni della rosa erano striati da venature d'oro scuro.

I nani contemplarono Isidar Mithrim per qualche istante di muto stupore. Poi balzarono in piedi entusiasti, con acclamazioni e applausi così fragorosi da ricordare lo scroscio tonante di una cascata. Saphira chinò il capo verso la folla e tornò da Eragon, sbriciolando i petali di rosa sotto le zampe. Grazie, gli disse.

E di che cosa?

Di avermi aiutata. Sono state le tue emozioni a guidarmi. Senza di loro sarei potuta restare lì per settimane prima di sentire l'ispirazione per riparare Isidar Mithrim.

Alzando le braccia, Orik fece tacere la folla e disse: «A nome della nostra razza, ti ringrazio per il tuo regalo, Saphira. Oggi hai risanato l'orgoglio del nostro regno, e noi non dimenticheremo il tuo gesto. Che non si dica che i knurlan sono degli ingrati; da questo istante fino alla fine dei tempi il tuo nome sarà citato nelle festività invernali insieme agli elenchi dei Mastri Artigiani, e quando Isidar Mithrim sarà ricollocato nella sua posizione in cima a Tronjheim, il tuo nome verrà inciso nel castone dello Zaffiro Stellato insieme a quello di Dûrok Ornthrond, che per primo scolpì la gemma a forma di rosa.»

Rivolto a Eragon e Saphira, Orik disse: «Ancora una volta avete dimostrato la vostra amicizia verso la mia gente. Sono contento che le vostre azioni abbiano confermato che il mio padre adottivo aveva deciso per il meglio quando vi ha accolto nel Dûrgrimsth Ingeitum.»

Dopo la conclusione dei numerosi riti che seguirono l'incoronazione, e dopo che Eragon ebbe aiutato Saphira a togliersi la lana dai denti - un compito viscido, bagnaticcio e odoroso che lo costrinse a lavarsi di nuovo

- i due si presentarono al banchetto in onore di Orik. La festa fu allegra e chiassosa, e durò tutta la notte. Giocolieri e acrobati intrattennero gli ospiti, insieme a una compagnia di attori che recitarono un'opera intitolata Az Sartosvrenht rak Balmung, Grimsthnzborith rak Kvisagûr, che Hûndfast tradusse per Eragon in La Saga di re Balmung di Kvisagûr.

Mentre l'euforia dei festeggiamenti scemava e le teste dei nani ubriachi ciondolavano sui calici, Eragon si chinò verso Orik, seduto a capotavola, e disse: «Maestà.»

Orik agitò la mano. «Non voglio che mi chiami sempre maestà, Eragon. Non mi piace. A meno che l'occasione non lo richieda, usa il mio nome come hai sempre fatto. È un ordine.» Fece per prendere il suo calice ma lo mancò, rischiando di farlo rovesciare. Scoppiò a ridere.

Con un sorriso, Eragon disse: «Orik, volevo chiederti, è stato davvero Gûntera a incoronarti?»

Orik affondò il mento nel petto, la sua espressione all'improvviso seria mentre sfiorava l'orlo del calice con un dito. «Era quanto di più simile a Gûntera si possa vedere sulla faccia della terra. Questo risponde alla tua domanda, Eragon?»

«Io... credo di sì. Compare sempre quando viene chiamato? Si è mai rifiutato d'incoronare uno dei vostri sovrani?»

Orik aggrottò le sopracciglia. «Hai mai sentito parlare dei Re Eretici e delle Regine Eretiche?»

Eragon fece di no con la testa.

«Erano knurlan che non ottennero la benedizione di Gûntera, eppure si ostinarono a voler salire al trono.» Orik fece una smorfia. «Tutti, nessuno escluso, ebbero regni brevi e infelici.»

Eragon si sentì stringere il petto. «In buona sostanza, sebbene fossi stato eletto dal raduno dei clan, se Gûntera non ti avesse incoronato adesso tu non saresti re?»

«Già. Oppure sarei re di una nazione straziata dalla guerra civile.» Orik si strinse nelle spalle. «Ma non temevo troppo questa possibilità. Con i Varden in procinto d'invadere l'Impero, soltanto un pazzo avrebbe rischiato di spaccare il nostro paese negandomi il trono, e anche se Gûntera è molte cose, di sicuro non è un pazzo.»

«Ma non ne eri certo» osservò Eragon.

Orik scosse il capo. «Non finché non mi ha posato l'elmo in testa.»

PAROLE DI SAGGEZZA

«Scusa» disse Eragon, urtando il catino.

Nasuada aggrottò le sopracciglia, il volto deformato da una serie di piccole onde che incresparono l'acqua.

«Di cosa?» chiese lei. «Credo di doverti fare le mie congratulazioni. Hai portato a termine ogni fase della missione che ti avevo affidato, e anche di più.»

«No, è che...» Eragon s'interruppe quando si rese conto che lei non poteva notare l'ondulazione dell'acqua. Lo specchio magico di Nasuada aveva lo scopo di mostrarle un'immagine nitida di Eragon e Saphira, non degli oggetti che loro guardavano. «Ho urtato il catino con la mano, tutto qui.»

«Oh. Bene, in tal caso, lascia che ti faccia i miei complimenti, Eragon. Garantendo l'ascesa al trono di Orik...»

«Anche se ho dovuto rischiare di farmi uccidere?»

Nasuada sorrise. «Sì, anche se hai dovuto rischiare di farti uccidere. Sei riuscito a preservare la nostra alleanza con i nani, e questo potrebbe fare la differenza fra la vittoria e la sconfitta. Ora la domanda è: quanto ci vorrà prima che il resto dell'esercito dei nani ci raggiunga?»

«Orik ha già ordinato ai guerrieri di prepararsi a partire» disse Eragon. «I clan impiegheranno qualche giorno per radunare le forze, ma poi si metteranno subito in marcia.»

«Bene. Il loro aiuto ci serve appena possibile. E tu quando tornerai? Fra tre giorni? Quattro?»

Saphira arruffò le penne delle ali; il suo fiato era caldo sul collo di Eragon. Lui la guardò, poi, scegliendo le parole con cura, disse: «Dipende. Ricordi di cosa abbiamo parlato prima che partissi?»

Nasuada strinse le labbra. «Certo che lo ricordo, Eragon. Io...» Il suo sguardo si spostò di lato mentre ascoltava un uomo che le parlava, ma la sua voce era solo un mormorio incomprensibile per Eragon e Saphira. Riportando lo sguardo su di loro, Nasuada disse: «La compagnia del capitano Edric è appena tornata. Mi dicono che abbiamo subito gravi perdite, ma Roran è vivo.»

«È ferito?» s'informò Eragon.

«Te lo farò sapere non appena avrò notizie. Fossi in te non mi preoccuperei troppo, visto che Roran ha la fortuna di...» Ancora una volta, la voce di una persona che non potevano vedere distrasse Nasuada e lei sparì dal campo visivo.

Eragon aspettò, inquieto.

«Scusami» disse Nasuada, comparendo di nuovo nel catino. «Stiamo per cingere d'assedio Feinster e dobbiamo respingere le scorrerie di soldati ordinate da Lady Lorana... Eragon, Saphira, abbiamo bisogno di voi per questa battaglia. Se gli abitanti di Feinster vedono solo uomini, nani e Urgali schierati davanti alle loro mura, potrebbero convincersi di avere ancora una possibilità di salvare la città e combatteranno fino allo stremo. Non possono riuscirci, è chiaro, ma devono ancora convincersene. Se invece vedono un drago e un Cavaliere a guidare l'attacco contro di loro, perderanno ogni desiderio di resistere.»

«Ma...»

Nasuada alzò la mano per interromperlo. «Ci sono altri motivi per cui dovete tornare. A causa delle ferite che ho riportato nella Prova dei Lunghi Coltelli, non posso cavalcare in battaglia con i Varden come ho sempre fatto. Ho bisogno che tu prenda il mio posto, Eragon, per assicurarmi che i miei comandi siano eseguiti alla lettera, e anche per rinsaldare il morale dei nostri guerrieri. E poi malgrado i nostri sforzi, nell'accampamento cominciano a circolare voci sulla tua assenza. Se Murtagh e Castigo ne approfittano per attaccarci, o se Galbatorix li manda come rinforzi per Feinster... be', anche con gli elfi al nostro fianco dubito che riusciremmo a tener loro testa. Mi dispiace, Eragon, ma non posso permetterti di tornare a Ellesméra adesso. È troppo pericoloso.»

Stringendo il bordo freddo del tavolo di pietra dov'era posato il catino, Eragon disse: «Nasuada, per favore. Se non adesso, quando?»

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