Volodyk - Paolini3-Brisingr
Roran fece un cenno, e due dei suoi uomini si affrettarono a sollevare Edric dal quel peso. Il capitano raddrizzò le spalle e lentamente si avvicinò a Roran, guardandolo dritto negli occhi, con un'espressione indecifrabile. Né lui né Roran si mossero. Roran si accorse che sullo spiazzo era calato un silenzio innaturale.
Edric fu il primo a parlare. «Quanti dei tuoi uomini sono sopravvissuti?»
«La maggior parte. Non tutti, ma la maggior parte.»
Edric annuì. «E Carn?»
«È vivo... E Sand?»
«Un soldato lo ha colpito durante la carica. È spirato pochi minuti fa.» Lo sguardo di Edric oltrepassò Roran, fermandosi sull'ammasso di corpi. «Hai disobbedito ai miei ordini, Fortemartello.»
«Sì.»
Edric tese un braccio verso di lui, la mano aperta.
«Capitano, no!» esclamò Harald, facendo un passo avanti. «Se non fosse stato per Roran, nessuno di noi sarebbe qui. E avresti dovuto vedere che cos'ha fatto. Ha ucciso quasi duecento uomini da solo!»
La protesta di Harald non suscitò alcuna reazione in Edric, che continuò a tenere la mano tesa. Anche Roran rimase impassibile.
Allora Harald si rivolse a lui. «Roran, sai che gli uomini sono con te. Una sola parola, e noi...»
Roran lo fulminò con lo sguardo. «Non dire idiozie.»
«Almeno ti è rimasto un po' di buonsenso» disse Edric a denti stretti. «Harald, tu sta' zitto, se non vuoi guidare i muli con le vettovaglie per tutta la strada del ritorno.»
Roran sollevò il martello e lo porse a Edric. Poi si slacciò la cintura, da dove pendevano la spada e il pugnale, e consegnò a Edric anche quella. «Non ho altre armi» dichiarò.
Edric annuì, scuro in volto, poi si gettò il cinturone su una spalla. «Roran Fortemartello, con questo ti sollevo dal comando. Ho la tua parola d'onore che non cercherai di fuggire?»
«Sì.»
«Allora ti renderai utile dove ci sarà bisogno di te, ma per il resto considerati un prigioniero.» Edric si guardò intorno e indicò un altro guerriero. «Fuller, assumerai tu l'incarico di Roran fino a quando non ci congiungeremo con il resto dei Varden e Nasuada deciderà sul da farsi.»
«Signorsì» disse Fuller.
Per molte ore Roran lavorò insieme agli altri guerrieri per sollevare i loro morti e trasportarli alla periferia del villaggio, dove li seppellirono. Fu così che scoprì che soltanto nove dei suoi ottantuno guerrieri erano morti in battaglia, mentre Edric e Sand avevano perso in tutto quasi centocinquanta uomini, ed Edric ne avrebbe persi ancora di più se un manipolo di suoi guerrieri non fosse rimasto con Roran dopo che questi li aveva salvati.
Quando ebbero finito di seppellire i loro caduti, i Varden recuperarono le frecce, poi innalzarono una pira al centro del villaggio, spogliarono i soldati nemici delle loro armature, li trascinarono sulla pira e appiccarono il fuoco. I corpi cremati produssero una colonna di fumo nero che sembrava innalzarsi all'infinito. Attraverso la densa cortina scura, il sole appariva come un piatto disco rosso.
Della giovane donna e del bambino che i soldati avevano catturato non c'era traccia. Dato che i loro corpi non erano fra i morti, Roran pensò che dovevano essere fuggiti dal villaggio all'inizio della battaglia, probabilmente la cosa migliore che potevano fare. Augurò loro buona fortuna, ovunque fossero andati.
Fu una piacevole sorpresa per Roran vedere tornare Fiammabianca al villaggio poco prima che i Varden si mettessero in marcia. All'inizio lo stallone si mostrò schivo e ombroso, e non permise a nessuno di avvicinarlo, ma Roran lo calmò sussurrandogli nell'orecchio, e alla fine riuscì a pulirgli e fasciargli le ferite. Sarebbe stato poco prudente cavalcarlo finché non fosse guarito del tutto, così Roran lo legò insieme ai muli da soma. Fiammabianca dimostrò subito il suo scontento appiattendo le orecchie, frustando l'aria con la coda e scoprendo i denti.
«Fa' il bravo» disse Roran, accarezzandogli il collo. Fiammabianca ruotò l'occhio verso di lui e nitrì, rilassando un poco le orecchie.
Roran montò su un castrone appartenuto a uno dei Varden morti e si accodò alla fila di uomini sulla strada. Ignorò le occhiate che gli venivano rivolte, anche se lo rincuorò sentire parecchi guerrieri mormorare: «Ben fatto.»
Aspettando che Edric desse l'ordine di partire, Roran pensò a Nasuada, a Katrina e a Eragon, e si sentì soffocare da una cappa di terrore quando si domandò quali sarebbero state le loro reazioni una volta che avessero appreso del suo atto di insubordinazione. Subito dopo, però, accantonò ogni timore. Ho fatto quello che era giusto e necessario, si disse. Non me ne pento, quali che siano le conseguenze.
«In marcia!» gridò Edric, in testa alla colonna.
Roran spronò il cavallo al piccolo trotto, e i Varden uscirono dal villaggio avviandosi compatti verso ovest, lasciandosi alle spalle la pira di soldati che continuava a bruciare.
♦ ♦ ♦
MESSAGGIO ALLO SPECCHIO
Il sole mattutino avvolgeva Saphira in un piacevole tepore. La dragonessa si crogiolava distesa su una sporgenza di roccia liscia che si affacciava sulla vuota tenda a cupola di Eragon. Le attività notturne, che l'avevano vista impegnata in un volo di ricognizione per individuare gli accampamenti dell'Impero - come aveva fatto ogni notte da quando Nasuada aveva mandato Eragon nel Farthen Dûr, la grande montagna cava - l'avevano lasciata insonnolita. I voli servivano a nascondere l'assenza di Eragon, ma le pesavano, perché pur non avendo paura del buio, non era una creatura notturna e non le piaceva fare sempre le stesse cose. Per giunta, dato che i Varden impiegavano parecchio tempo per spostarsi da un luogo all'altro, trascorreva le notti a sorvolare più o meno lo stesso panorama. L'unico motivo recente di eccitazione era stato quando, la mattina del giorno prima, aveva scorto Castigo, il drago rosso dalla mente mal cresciuta, che volava basso sull'orizzonte. Il drago non aveva virato per affrontarla, ma aveva proseguito per la sua strada inoltrandosi sempre di più nell'Impero. Quando Saphira aveva riferito dell'avvistamento, Nasuada, Arya, e gli elfi che proteggevano la dragonessa avevano reagito come uno stormo di ghiandaie terrorizzate, schiamazzando e cicalando fra di loro, disperdendosi in ogni direzione. Avevano perfino insistito perché Blödhgarm, l'elfo dalla scura pelliccia lupesca, volasse con lei fingendosi Eragon, ma lei si era opposta categoricamente. Una cosa era permettere all'elfo di creare un'immagine fantasma di Eragon che la cavalcava ogni volta che spiccava il volo o atterrava fra i Varden; ma non avrebbe mai consentito a qualcuno che non fosse Eragon di montarle in groppa, a meno che non ci fosse una battaglia imminente, e forse nemmeno in quel caso.
Saphira sbadigliò e stiracchiò una zampa, sfoderando gli artigli. Poi si rilassò di nuovo, con la coda avvolta intorno al corpo e la testa poggiata sulle zampe, e si lasciò andare a fantasticherie di cervi e altre prede.
Poco dopo udì uno scalpiccio di passi affrettati che attraversavano l'accampamento diretti verso la grande tenda rossa di Nasuada. Saphira non ci badò: c'erano sempre messaggeri che correvano avanti e indietro.
Stava per addormentarsi quando sentì sfrecciare un altro corriere e poi, dopo un breve intervallo, altri due. Senza aprire gli occhi, estrasse la punta della lingua e assaggiò l'aria. Non rilevò alcun odore inconsueto. Dopo aver deciso che non valeva la pena di indagare, scivolò nel mondo dei sogni, dove si tuffò in un fresco lago verde per pescare.
Fu svegliata da una serie di urla furibonde.
Non si mosse, e continuò ad ascoltare un gran numero di bipedi dalle orecchie rotonde che discutevano fra di loro. Erano troppo lontani perché riuscisse a distinguere che cosa dicevano, ma dal tono delle voci intuì che erano così arrabbiati che avrebbero potuto arrivare a uccidere. A volte scoppiavano liti fra i Varden - come in qualsiasi altro branco - ma Saphira non aveva mai sentito tanti bipedi accapigliarsi così a lungo e con tanta foga.
Saphira provò un fastidioso dolore pulsante alla base del cranio quando le grida dei bipedi si fecero più acute. Graffiò la roccia sotto di sé, sollevando piccole scie di quarzo scheggiato con gli artigli.
Conterò fino a trentatré, pensò, e se per allora non avranno ancora smesso, molto meglio per loro che il motivo di tanta agitazione sia degno d'interrompere il riposo di una figlia del vento!
Quando arrivò a ventisette, i bipedi tacquero. Finalmente! Si riassestò e si preparò a riprendere il sonno di cui aveva tanto bisogno.
Risuonò un tintinnio metallico, accompagnato da un fruscio di vesti, da uno scalpiccio di piedi umani e dall'inconfondibile odore della guerriera dalla pelle scura. E adesso che c'è? si domandò Saphira, e per un breve istante valutò l'ipotesi di ruggire forte per far fuggire chiunque fosse venuto a disturbarla.
Aprì un solo occhio, e vide arrivare Nasuada e le sue sei guardie del corpo. Giunta ai piedi del lastrone di roccia, Nasuada ordinò ai suoi di restare sul prato insieme a Blödhgarm e agli altri elfi - impegnati in un addestramento - e si arrampicò da sola.
«Salute a te, Saphira» disse Nasuada. Indossava un abito rosso che spiccava in modo quasi innaturale contro il verde delle foglie dei meli alle sue spalle. Il sole riflesso dalle squame di Saphira le chiazzava il volto di una miriade di puntini luminosi.
Saphira batté le palpebre una volta, dato che non aveva alcuna voglia di rispondere a parole.
Dopo essersi guardata attorno, Nasuada si avvicinò alla sua testa e sussurrò: «Saphira, devo parlarti in privato. Tu puoi entrare nella mia mente, ma io non posso entrare nella tua. Puoi farlo adesso per sentire che cosa ho da dirti?»
Penetrando nella mente affaticata e tesa della donna, Saphira le riversò addosso la propria irritazione per essere stata svegliata, poi disse: Posso, se voglio, ma non lo farei mai senza il tuo permesso.
Certo, rispose Nasuada. Capisco. Dapprima Saphira ricevette dalla donna solo immagini ed emozioni scollegate fra di loro: una forca col cappio vuoto, sangue sul terreno, facce ringhianti, paura, stanchezza, e una corrente sotterranea di feroce determinazione. Perdonami, disse Nasuada. Ho avuto una mattinata pesante. Se i miei pensieri vagano troppo, ti prego, abbi pazienza.
Saphira batté di nuovo le palpebre. Cos'è che agita tanto i Varden? Sono stata svegliata dalle grida furiose e concitate di un gruppo di uomini e prima ancora ho sentito un insolito numero di messaggeri che correvano nell'accampamento.
Nasuada strinse le labbra e abbassò lo sguardo, incrociando le braccia ferite. Il colore della sua mente si fece nero come una nube temporalesca, gravida di minacce di morte e violenza. Dopo una pausa insolitamente lunga, disse: Stanotte uno dei Varden, un uomo di nome Othmund, è strisciato nell'accampamento degli Urgali e ne ha uccisi tre che dormivano intorno al fuoco. Gli Urgali non sono riusciti a prenderlo, ma stamattina Othmund si è vantato della sua impresa, pavoneggiandosi davanti ai compagni.
Perché l'ha fatto? chiese Saphira. Gli Urgali gli hanno ucciso la famiglia?
Nasuada scosse il capo. Quasi vorrei che lo avessero fatto, perché in quel caso gli Urgali non sarebbero così furiosi: la vendetta, almeno, la capiscono. No, è questo il lato strano della vicenda: Othmund odia gli Urgali solo perché sono Urgali. Non hanno mai fatto del male né a lui né alla sua famiglia, eppure lui li odia con ogni fibra del suo corpo. O almeno così mi è parso di capire dopo avergli parlato.
Come ti comporterai con lui?
Nasuada guardò di nuovo Saphira con occhi colmi di profonda tristezza. Sarà impiccato per i suoi crimini. Quando ho accettato gli Urgali fra i Varden, ho decretato che chiunque avesse attaccato uno di loro sarebbe stato punito come se avesse attaccato un compagno umano. Non posso rimangiarmi la parola data.
Rimpiangi la tua promessa?
No. Gli uomini hanno sempre saputo che non avrei mai perdonato atti del genere. Altrimenti si sarebbero rivoltati contro gli Urgali il giorno stesso che Nar Garzhvog e io abbiamo stretto il nostro accordo. Ora devo dimostrare a tutti che parlavo sul serio. Se non lo facessi, è probabile che ci sarebbero altri spargimenti di sangue, e allora gli Urgali risolverebbero le cose a modo loro, e ancora una volta le nostre due razze cercherebbero di balzarsi alla gola a vicenda. È più che giusto che Othmund sia giustiziato per aver ucciso gli Urgali e disobbedito ai miei ordini, ma... oh, Saphira... ai Varden questa decisione non piacerà affatto. Ho sacrificato la mia stessa carne per conquistare la loro lealtà, ma adesso mi odieranno per la mia decisione di impiccare Othmund... Mi odieranno per aver messo sullo stesso piano la vita degli Urgali e la vita degli umani. Abbassando le braccia, Nasuada si srotolò le maniche. E non posso dire che questo mio modo di affrontare ciò che è successo mi piaccia più di quanto non piaccia a loro. Nonostante tutti i miei sforzi per trattare gli Urgali come miei simili, con la franchezza e la giustizia che avrebbe usato mio padre, non posso fare a meno di ricordare il modo in cui l'hanno ucciso. Non posso fare a meno di rivedere tutti quegli Urgali che massacravano i Varden nella battaglia del Farthen Dûr. Non posso fare a meno di ricordare le storie che sentivo da bambina, storie di Urgali che sciamavano dalle montagne per assassinare persone innocenti nei loro letti. Erano sempre gli Urgali i mostri da temere, e adesso ho unito il nostro destino al loro. Non posso fare a meno di pensare a tutto questo, Saphira, e mi domando se ho preso la decisione giusta.
Non puoi fare a meno di essere umana, disse Saphira cercando di confortarla. Ma non devi sentirti vincolata dalle convinzioni di chi ti circonda. Puoi superare i limiti della tua razza, se lo vuoi fermamente. Se gli eventi del passato hanno qualcosa da insegnarci, è che i re, le regine e gli altri capi che hanno unito sotto di loro razze diverse sono coloro che hanno fatto il bene maggiore per Alagaësia. Dobbiamo temere la collera e i conflitti, non un avvicinamento con i nostri nemici di un tempo. Ricorda la tua avversione per gli Urgali, perché se la sono meritata, ma ricorda anche che un tempo i nani e i draghi si odiavano come gli umani e gli Urgali. E che un tempo noi draghi combattevamo gli elfi e che, potendo, avremmo estinto la loro razza. Un tempo era così, ora non più, perché persone come te hanno avuto il coraggio di accantonare i rancori passati e di forgiare rapporti di amicizia dove prima non esistevano.