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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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«Se Saphira non mi accompagna nel Farthen Dûr, come farò ad arrivare laggiù in un tempo ragionevole?» rispose Eragon, acido.

«Correndo. Mi hai detto tu stesso che hai coperto gran parte della strada dall'Helgrind a qui di corsa. Mi aspetto che, non dovendoti nascondere da soldati o contadini, tu possa coprire molte più leghe ogni giorno.» Nasuada tamburellò di nuovo con le dita sul legno lustro dello scranno. «Certo, andare da solo sarebbe una follia. Se non c'è nessuno ad aiutarlo, perfino un potente mago può morire per un banale contrattempo nei remoti recessi delle terre selvagge. Ma sarebbe uno spreco se ti facessi accompagnare da Arya: le sue qualità mi servono qui. Se invece a sparire senza ragione fosse uno degli elfi di Blödhgarm, se ne accorgerebbero subito tutti. Quindi ho deciso che ti assisterà un Kull, poiché sono le uniche creature in grado di tenere il tuo passo.»

«Un Kull!» esclamò Eragon, incapace di trattenersi. «Mi vorresti mandare dai nani insieme a un ariete? Non so dire quale razza detestino di più. Strappano loro le corna per farne archi! Se entrassi nel Farthen Dûr con un Urgali, i nani non ascolterebbero una sola parola di ciò che ho da dire.»

«Lo so bene» rispose Nasuada. «Ecco perché non andrai subito a Tronjheim. Prima ti fermerai alla Rocca di Bregan, sul monte Thardûr, l'ancestrale dimora dell'Ingemmi. Lì tu e il Kull vi separerete e tu proseguirai verso il Farthen Dûr con Orik.»

Fissando un punto oltre Nasuada, Eragon disse: «E se non sono d'accordo con il cammino che hai scelto per me? E se sono convinto che ci siano modi più sicuri per esaudire ciò che mi chiedi?»

«E quali sarebbero, di grazia?» domandò Nasuada, con la mano a mezz'aria.

«Ci devo pensare, ma sono certo che ci sono.»

«Ci ho già pensato io, Eragon, e a lungo, anche. Che tu mi faccia da emissario è la nostra unica speranza di influenzare la scelta dei nani. Sono cresciuta tra loro, ricordatelo, e li capisco meglio della maggior parte degli esseri umani.»

«Sono sempre dell'idea che sia un errore» borbottò Eragon. «Manda Jörmundur, piuttosto, o un altro dei tuoi comandanti. Io non ci andrò, almeno non finché...»

«Non ci andrai?» ripeté Nasuada, alzando la voce. «Un vassallo che disobbedisce al proprio signore non è certo meglio di un guerriero che ignora il suo capitano sul campo di battaglia, e può essere punito allo stesso modo. In qualità di tua signora, dunque, ti ordino di correre fino al Farthen Dûr, che tu lo voglia oppure no, e assistere alla scelta del prossimo reggente dei nani.»

Furioso, Eragon respirava pesantemente dal naso e continuava a stringere e lasciare il pomolo del falcione.

In tono più pacato ma comunque circospetto, Nasuada aggiunse: «Che cosa farai, Eragon? Eseguirai i miei ordini o vuoi spodestarmi e assumere il comando dei Varden? Non hai altre possibilità.»

Turbato, Eragon rispose: «No, con te si può ragionare. Ti posso convincere in altri modi.»

«Invece no, perché non esiste un'alternativa che abbia le stesse probabilità di successo.»

Eragon incrociò il suo sguardo. «Potrei rifiutarmi di eseguire gli ordini e accettare la punizione che riterrai più opportuna.»

Quel suggerimento la lasciò sbalordita. Poi rispose: «Vederti legato a un palo e frustato sarebbe un danno irreparabile per i Varden. E distruggerebbe la mia autorità, perché tutti capirebbero che mi puoi sfidare come e quando vuoi, rimendiando soltanto una manciata di tagli che potresti guarire un istante dopo, dal momento che non possiamo condannarti a morte come faremmo con un qualunque guerriero che disobbedisce a un superiore. Preferirei abdicare e consegnarti il comando dei Varden che permettere una cosa simile. Se credi di poter ricoprire questo ruolo meglio di me, allora prendilo; prendi il mio trono e proclamati generale in capo dell'esercito! Ma finché parlerò a nome dei Varden, ho il diritto di prendere certe decisioni. Se si riveleranno un errore, la responsabilità è comunque mia.»

«Non vuoi proprio ascoltare nessun consiglio?» le chiese Eragon, preoccupato. «Vuoi imporre il tuo volere sui Varden noncurante di ciò che ti suggerisce chi ti sta intorno?»

Nasuada batté l'unghia del dito medio sul legno lustro dello scranno. «Certo che li ascolto, i consigli. Ne ascolto un fiume continuo ogni ora, se è per quello, ma talvolta le conclusioni a cui arrivo non corrispondono a quelle dei miei sottoposti. Ora devi decidere se vuoi mantenere il tuo giuramento di fedeltà verso di me e rispettare la mia decisione, benché tu non sia d'accordo, o se vuoi comportarti a immagine e somiglianza di Galbatorix.»

«Voglio solo ciò che è meglio per i Varden» insisté Eragon.

«Anch'io.»

«Non mi lasci altra scelta se non quella che non condivido.»

«A volte è più difficile eseguire un ordine che comandare.»

«Posso pensarci un momento?»

«Certo.»

Saphira, chiamò.

Quando la dragonessa curvò il collo e fissò Eragon negli occhi, mille macchioline di luce viola presero a danzare dentro il padiglione. Sì, piccolo mio?

Devo andare?

Secondo me sì.

Eragon strinse le labbra in una rigida linea. E tu?

Sai che detesto separarmi da te, ma le argomentazioni di Nasuada sono ben ponderate. Se restando con i Varden posso contribuire a tenere lontani Murtagh e Castigo, allora forse è giusto che tu parta.

Le emozioni di entrambi scorrevano da una mente all'altra a ondate, in un flusso condiviso di rabbia, attesa, riluttanza e tenerezza. La rabbia e la riluttanza fluivano da Eragon; da Saphira, invece, provenivano sentimenti più dolci ma altrettanto complessi, che placarono la collera di Eragon e gli aprirono prospettive che altrimenti non avrebbe mai colto. Tuttavia Eragon ribadì con cocciuta insistenza la propria ostilità al piano di Nasuada. Se mi accompagni nel Farthen Dûr non starò via tanto a lungo, e Galbatorix avrà meno opportunità di sferrare un nuovo assalto.

Ma le sue spie gli riveleranno che i Varden sono vulnerabili non appena saremo partiti.

Non voglio separarmi ancora da te dopo l'Helgrind; è passato troppo poco tempo.

Nemmeno io voglio separarmi da te, ma i nostri desideri non possono avere la precedenza sui bisogni dei Varden. Ricordati di ciò che ha detto Oromis: la prodezza di un drago e del suo Cavaliere si misura non solo dall'intesa che hanno quando sono insieme, ma anche da ciò che riescono a fare separati. Siamo entrambi abbastanza maturi da agire indipendentemente l'uno dall'altra, Eragon, per quanto l'idea non ci piaccia. L'hai dimostrato tu stesso in occasione del tuo viaggio di ritorno dall'Helgrind.

Ti dispiacerebbe combattere con Arya in sella, come ha proposto Nasuada?

Tra tutti, lei è quella che mi darebbe meno problemi. Abbiamo già combattuto insieme, è stata lei a portarmi per tutta Alagaësia per vent'anni quando ero ancora nell'uovo. Lo sai, piccolo mio. Perché mi fai questa domanda? Sei geloso?

E se anche fosse?

Una scintilla divertita brillò negli occhi color zaffiro di Saphira. La dragonessa gli diede una leccatina. Come sei dolce... Tu vorresti che mi fermassi qui o che venissi con te?

Spetta a te decidere, non a me.

Ma è una scelta che riguarda entrambi.

Eragon scavò nel terreno con la punta dello stivale, poi disse: Se scegliamo di far parte di questo folle piano, è nostro dovere fare tutto il possibile perché abbia successo. Resta qui e fai in modo che Nasuada non perda la testa per questo piano tre volte maledetto.

Su col morale, piccolo. Corri veloce e tra pochissimo saremo di nuovo insieme.

Eragon guardò Nasuada. «Benissimo» disse, «accetto.»

La regina si rilassò. «Grazie. E tu, Saphira? Resti o vai?»

Proiettando i suoi pensieri in modo da includere sia lei sia Eragon, rispose: Resto, Furianera.

Nasuada inclinò la testa. «Grazie. Ti sono molto grata per il tuo sostegno.»

«Ne hai parlato con Blödhgarm?» chiese Eragon. «Lui è d'accordo?»

«No, ho pensato che gli avresti spiegato tu tutti i dettagli.»

Eragon dubitava che gli elfi sarebbero stati felici all'idea che viaggiasse fino al Farthen Dûr in compagnia di un Urgali. «Posso darti un suggerimento?»

«Lo sai che sono sempre bene accetti.»

Questo commento lo spiazzò. «Un suggerimento e una richiesta, allora.» Nasuada alzò un dito, facendogli segno di continuare. «Quando i nani avranno scelto il nuovo re o la nuova regina, Saphira deve raggiungermi nel Farthen Dûr sia per rendere omaggio al nuovo sovrano sia per mantenere la promessa fatta a re Rothgar dopo la battaglia di Tronjheim.»

L'espressione di Nasuada si inasprì: sembrava un gatto selvatico a caccia. «Di che promessa si tratta?» chiese. «Non me ne avevi mai parlato.»

«Saphira ha promesso di riparare Isidar Mithrim, lo Zaffiro Stellato, per rimediare al danno di Arya, che lo ruppe in quell'occasione.»

Con gli occhi sgranati per lo stupore, Nasuada guardò Saphira e disse: «Sei capace di una simile impresa?»

Sì, ma non so se riuscirò a evocare tutta la magia di cui avrò bisogno quando mi troverò davanti a Isidar Mithrim. La mia abilità nel pronunciare incantesimi non è soggetta ai miei desideri. A volte è come se avessi acquisito un nuovo senso: l'energia mi pulsa nella carne e, indirizzandola con la mia volontà, posso riplasmare il mondo a mio piacimento. Ma a volte non ci riesco: è come chiedere a un pesce di volare. Se riuscissi a riparare Isidar Mithrim, però, sarebbe un bel passo avanti per garantirci la benevolenza dei nani, non solo di quei pochi che hanno una cultura tale da apprezzare l'importanza di un'intesa tra i due popoli.

«Sarebbe più importante di quanto immagini» rispose Nasuada. «Lo Zaffiro Stellato occupa un posto speciale nel cuore di ogni nano. Vanno pazzi per le gemme in generale, ma amano e venerano Isidar Mithrim più di ogni altra perché è stupenda, e soprattutto perché è immensa. Riportala ai fasti di un tempo e restituirai l'orgoglio a un'intera razza.»

Eragon disse: «Anche se Saphira dovesse fallire, è opportuno che sia presente all'incoronazione del nuovo sovrano. Puoi nascondere la sua assenza per qualche giorno diffondendo tra i Varden la notizia che siamo partiti per un breve viaggio ad Aberon o qualcosa del genere. Quando le spie di Galbatorix si accorgeranno dell'inganno, l'Impero non farà in tempo ad attaccare prima del nostro ritorno.»

Nasuada annuì. «È una buona idea. Non appena i nani stabiliranno una data per l'incoronazione, fammelo sapere.»

«D'accordo.»

«Questo era il suggerimento. Ora veniamo alla richiesta. Che cosa volevi domandarmi?»

«Poiché insisti a farmi partire, con il tuo permesso dopo l'incoronazione vorrei volare con Saphira da Tronjheim a Ellesméra.»

«A che scopo?»

«Per consultarci con i maestri che abbiamo incontrato durante la nostra ultima visita nella Du Weldenvarden. Avevamo promesso loro che non appena gli eventi l'avessero consentito saremmo tornati per completare il nostro addestramento.»

Nasuada aggrottò le sopracciglia. «Non c'è tempo: non potete trascorrere settimane o mesi a Ellesméra per riprendere il vostro addestramento.»

«Lo so, ma forse riusciremo a trovare il tempo almeno per una breve visita.»

Nasuada appoggiò la testa allo schienale dello scranno intarsiato e guardò Eragon attraverso le palpebre socchiuse. «E chi sono i tuoi maestri? Ho notato che eludi sempre ogni domanda su di loro. Chi è stato a istruirvi a Ellesméra?»

Toccando Aren, l'anello di Brom, Eragon rispose: «Abbiamo giurato a Islanzadi che non avremmo rivelato la loro identità senza il permesso suo, di Arya o di chiunque le fosse succeduto sul trono.»

«Per tutti i demoni del cielo e della terra, quanti giuramenti avete fatto tu e Saphira?» domandò Nasuada. «A quanto pare vi impegnate con chiunque incontriate.»

Un po' imbarazzato, Eragon si strinse nelle spalle e aprì bocca per parlare, ma poi intervenne Saphira: Non siamo stati noi a cercarcele, ma come possiamo evitare di dare la nostra parola a tutte le razze di Alagaësia visto che per rovesciare Galbatorix e l'Impero ci serve il sostegno di tutti? È il prezzo da pagare per conquistarci l'aiuto di chi detiene il potere.

«Mmm. Dunque, se voglio sapere la verità, devo chiedere ad Arya?» domandò Nasuada.

«Sì, ma dubito che te la dirà; gli elfi considerano l'identità dei nostri maestri uno dei loro segreti più preziosi. Non correranno mai il rischio di condividerlo con qualcuno a meno che non sia strettamente necessario, per evitare che ne giunga voce a Galbatorix.» Eragon fissò la gemma azzurra incastonata nell'anello, chiedendosi quante altre informazioni il giuramento prestato e il suo onore gli avrebbero consentito di rivelare, poi aggiunse: «Sappi una cosa, però: non siamo così soli come pensavamo.»

L'espressione di Nasuada si indurì. «Capisco. Buono a sapersi, Eragon... Vorrei solo che gli elfi fossero più disponibili nei miei confronti.» Dopo aver arricciato le labbra un istante, continuò: «Perché dovete andare fino a Ellesméra? Non avete un modo per comunicare direttamente con i vostri tutori?»

Eragon allargò le braccia in un gesto di impotenza. «Magari. Ahimè, ancora non è stato inventato un incantesimo che riesca a far breccia nelle difese che circondano la Du Weldenvarden.»

«Gli elfi non hanno nemmeno lasciato un varco che essi stessi possano sfruttare?»

«Se così fosse, Arya avrebbe chiamato la regina Islanzadi non appena aveva ripreso i sensi nel Farthen Dûr invece di andare di persona nella Du Weldenvarden.»

«Suppongo che tu abbia ragione. Ma allora come hai fatto a consultare la regina sul destino di Sloan? Hai lasciato intendere che quando vi siete parlati l'esercito elfico era ancora di stanza nella Foresta.»

«Sì» rispose, «ma sul limitare, al di là delle barriere di protezione.»

Mentre Nasuada valutava la richiesta di Eragon, tra i due calò un silenzio palpabile. Fuori dalla tenda, il Cavaliere sentì i Falchineri discutere se fosse meglio usare un'alabarda o una roncola per combattere contro un grande numero di fanti e, più oltre, il cigolio di un carretto trascinato da buoi, il clangore delle armature di uomini che si allontanavano trottando e centinaia di altri suoni indistinti in tutto l'accampamento.

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