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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Poi gli invitati si misero in coda per le congratulazioni e i regali. Eragon fu il primo. Con un sorriso ampio quanto il loro, strinse la mano libera di Roran e chinò la testa al cospetto di Katrina.

«Grazie» gli disse lei.

«Sì, grazie» convenne Roran.

«È stato un onore.» Li guardò entrambi, poi scoppiò a ridere.

«Che c'è?» gli chiese il cugino.

«Voi due! Siete felici come due sciocchi!»

Con uno sguardo scintillante, Katrina rise e abbracciò il marito. «È vero!»

Tornando serio, Eragon aggiunse: «Dovete sapere quanto siete fortunati a essere qui insieme oggi. Se Roran non fosse riuscito a radunare tutti e a convincerli a raggiungere le Pianure Ardenti, e se i Ra'zac avessero portato Katrina a Urû'baen, non avreste potuto...»

«È vero, ma per fortuna non è andata così» lo interruppe Roran. «Non rattristiamo questo giorno con pensieri spiacevoli su ciò che sarebbe potuto accadere.»

«Non era questo il mio intento.» Eragon osservò la fila di persone in attesa dietro di lui, assicurandosi che non fossero così vicine da sentire. «Noi tre siamo nemici dell'Impero. E oggi abbiamo avuto la riprova che non siamo al sicuro nemmeno tra i Varden. Appena possibile, Galbatorix colpirà ciascuno di noi, compresa te, Katrina, per ferire gli altri due. Ecco perché vi ho preparato questi.» Dalla sacca appesa alla cintura estrasse due semplici anelli d'oro, così lucidi che brillavano. La sera prima aveva fuso l'ultima delle tre sfere d'oro estratte dalla terra e li aveva modellati. Consegnò quello più grande a Roran e l'altro a Katrina.

Roran se lo rigirò tra le dita per esaminarlo, poi lo alzò al cielo, studiando con gli occhi socchiusi i segni nell'antica lingua incisi all'interno. «È bellissimo, ma in che modo ci proteggerà?»

«Ho evocato tre incantesimi» rispose Eragon. «Per prima cosa, se mai avrete bisogno del mio aiuto o di quello di Saphira, fate girare l'anello intorno al dito una volta e pronunciate queste parole: "Aiutami, Ammazzaspettri; aiutami, Squamediluce", e noi vi sentiremo e accorreremo più veloci possibile. Poi, se uno di voi due è in pericolo di vita, il vostro anello avviserà noi e l'altro, quello che non è in pericolo. Infine, finché porterete gli anelli al dito, saprete sempre dove trovare l'altro, per quanto lontani possiate essere...» Eragon esitò, poi aggiunse: «Spero che accetterete di portarli.»

«Ma certo» rispose Katrina.

Roran gonfiò il petto e gli si strozzò la voce. «Grazie» disse. «Grazie. Magari li avessimo avuti prima di essere separati a Carvahall...»

Poiché avevano solo una mano libera ciascuno, Katrina aiutò Roran e gli infilò l'anello sul dito medio della mano destra, e lui fece altrettanto con la mano sinistra della fanciulla.

«Ho anche un altro regalo per voi» proseguì Eragon. Si volse, fischiò e agitò la mano. Facendosi strada tra la folla, arrivò di corsa un palafreniere che teneva Fiammabianca per le briglia. Consegnò le redini dello stallone al Cavaliere, poi fece un inchino e si congedò. «Roran, ti servirà un buon cavallo» iniziò Eragon. «Ti presento Fiammabianca. È stato prima di Brom, poi mio, e adesso lo voglio dare a te.»

Roran lo guardò con molta attenzione. «È una bestia magnifica.»

«La più bella che ci sia. Lo accetterai?»

«Con piacere.»

Eragon richiamò il palafreniere e riaffidò Fiammabianca alle sue cure, spiegandogli che adesso il nuovo proprietario era Roran. Non appena l'uomo e il cavallo si furono allontanati, Eragon guardò le persone in fila con i regali per i due sposi. Ridendo, disse: «Se stamattina eravate poveri, prima di stasera sarete ricchi sfondati. Se io e Saphira riusciremo mai a sistemarci, verremo a vivere con voi nel gigantesco palazzo che costruirete per tutti i vostri figli.»

«Per quanto grande lo possiamo fare, dubito che basterà a contenere un drago» rispose Roran.

«Ma sarete sempre i benvenuti» aggiunse Katrina. «Tutti e due.»

Dopo essersi congratulato con loro ancora una volta, Eragon si nascose in fondo a un tavolo e si divertì a lanciare pezzetti di pollo arrosto a Saphira e a guardarla addentarli al volo. Rimase al banchetto finché Nasuada non ebbe parlato con i due sposi e consegnato loro qualcosa di piccolo, che però non riuscì a vedere. Incrociò la regina mentre se ne stava andando.

«Che c'è, Eragon?» gli chiese. «Non posso restare.»

«Sei stata tu a dare a Katrina l'abito e la dote?»

«Sì. Disapprovi?»

«Ti sono grato perché sei stata così gentile con la mia famiglia, ma mi chiedo...»

«Sì?»

«I Varden non sono a corto di fondi?»

«Sì» rispose Nasuada, «ma non come prima. Da quando ho avuto l'idea di vendere il merletto a poco prezzo e ho trionfato nella Prova dei Lunghi Coltelli, ottenendo l'assoluta fedeltà delle tribù nomadi, che mi hanno anche consentito l'accesso alle loro ricchezze, abbiamo più probabilità di morire in guerra perché ci manca uno scudo o una lancia che non di fame.» Arricciò le labbra in un sorriso. «Ciò che ho dato a Katrina non è nulla in confronto alle enormi somme di denaro di cui ha bisogno questo esercito per funzionare. E non penso di avere scialacquato il mio oro. Anzi, credo di aver concluso un ottimo affare. Ho acquistato prestigio e rispetto presso Katrina e di conseguenza anche la benevolenza di Roran. Forse sono troppo ottimista, ma ho il sospetto che la sua fedeltà si dimostrerà più preziosa di un centinaio di scudi o di lance.»

«Cerchi sempre di migliorare le prospettive dei Varden, vero?»

«Sempre. E dovresti farlo anche tu.» Nasuada si allontanò, poi tornò sui suoi passi e aggiunse: «Prima del tramonto vieni nel mio padiglione: andremo a trovare gli uomini che sono rimasti feriti oggi. Lo sai, molti non possiamo guarirli. Farà loro bene vedere che abbiamo a cuore la loro salute e che ne apprezziamo il sacrificio.»

Eragon annuì. «Ci sarò.»

«Bene.»

Eragon trascorse ore a ridere, mangiare e scambiare storie con i vecchi amici. L'idromele scorreva a fiumi e il ricevimento di nozze si fece ancora più chiassoso. Facendo spazio tra i tavoli, gli uomini dimostrarono il loro valore sfidandosi a incontri di lotta, gare di tiro con l'arco e di bastoni con la punta ferrata. Due elfi, un uomo e una donna, si dimostrarono abili spadaccini e strabiliarono il pubblico con la velocità e la grazia della loro danza a colpi di lama. Quando perfino Arya acconsentì a eseguire una canzone, Eragon sentì un brivido correre lungo la schiena.

Roran e Katrina parlavano poco; preferivano stare seduti e contemplarsi a vicenda, dimentichi di ciò che li circondava.

Quando il bordo del sole arancio toccò il remoto orizzonte, tuttavia, Eragon si congedò, seppur con riluttanza. Con Saphira al fianco, abbandonò la rumorosa baldoria e si incamminò verso il padiglione di Nasuada, respirando a pieni polmoni la fresca aria della sera per schiarirsi le idee. Nasuada lo aspettava davanti alla tenda rossa; i Falchineri erano radunati lì vicino. Senza una parola, lei, Eragon e la dragonessa attraversarono l'accampamento fino alle tende dei guaritori, dove giacevano i guerrieri feriti.

Per più di un'ora Nasuada ed Eragon si intrattennero con chi aveva perso un arto o la vista o aveva contratto un'infezione incurabile combattendo contro l'Impero. Qualcuno era stato ferito al mattino. Altri, come scoprì Eragon, nonostante le erbe e gli incantesimi distribuiti a profusione, ancora non si erano ripresi dalla battaglia delle Pianure Ardenti. Benché prima di avviarsi insieme a lui tra le file di uomini avvolti nelle coperte Nasuada lo avesse messo in guardia, chiedendogli di non dissipare le sue energie nel tentativo di guarire tutti, Eragon non riuscì a trattenersi dal borbottare qualche incantesimo qua e là, almeno per alleviare il dolore, curare un ascesso, saldare un osso fratturato o cancellare un'orrenda cicatrice.

Incontrò un uomo che aveva perso la gamba sinistra dal ginocchio in giù e due dita della mano destra. Aveva il pizzetto grigio e gli occhi coperti da una benda nera. Quando Eragon lo salutò e gli chiese come stava, lui lo afferrò per il gomito con le tre dita rimaste e gli disse con voce roca: «Ah, Ammazzaspettri. Sapevo che saresti venuto. È da quando ho visto la luce che ti aspetto.»

«Che vuoi dire?»

«La luce che ha illuminato il mondo. In un solo istante ho visto ogni cosa vivente intorno a me, dalla più grande alla più piccola. Ho visto le ossa risplendere dentro le mie braccia. Ho visto i vermi nella terra, le cornacchie nel cielo e gli acari in mezzo alle loro ali. Sono stato scelto dagli dei, Ammazzaspettri. Se mi hanno concesso questa visione, un motivo c'è. Vi ho visti sul campo di battaglia, tu e il tuo drago; parevi un sole abbagliante in una moltitudine di fioche candele. E poi ho visto tuo fratello, sì, tuo fratello e il suo drago, e anche loro due parevano un sole.»

Mentre ascoltava, a Eragon si drizzarono i peli sul collo. «Non ho fratelli, io» rispose.

Lo spadaccino menomato ridacchiò. «Non pensare di Prenderti gioco di me, Ammazzaspettri. Io la so lunga. Il mondo brucia intorno a me; dal fuoco sento i sussurri dei pensieri altrui, ed è da quei sussurri che apprendo tante cose. Adesso ti nascondi da me, ma ti vedo comunque: sei un uomo dalla fiamma gialla, con dodici stelle che ti fluttuano attorno alla vita e un'altra, più luminosa delle altre, sulla mano destra.»

Eragon premette il palmo contro la cintura di Beloth il Savio per verificare che i dodici diamanti cuciti all'interno fossero ancora nascosti. Sì, c'erano.

«Ascoltami, Ammazzaspettri» sussurrò l'uomo, attirandolo verso il suo viso rugoso. «Ho visto tuo fratello, e lui bruciava. Ma non come te. Oh, no. La luce dalla sua anima non gli brillava da dentro, ma attraverso, come se provenisse da fuori. Dentro era vuoto, era solo il guscio di un uomo, nient'altro. E quel fulgore lo trapassava. Capisci? Altri lo illuminavano.»

«E dov'erano questi altri? Li hai visti?»

Il guerriero esitò. «Li sentivo vicini, infuriati contro il mondo intero, come se odiassero ogni cosa, ma non riuscivo a vedere i loro corpi. C'erano e non c'erano, insomma. Non te lo so spiegare meglio... Non volevo avvicinarmi più di così a quelle creature, Ammazzaspettri. Non erano umane, di questo sono sicuro, e il loro odio somigliava alla più violenta tempesta mai vista racchiusa in una minuscola bottiglia.»

«E quando il vetro si romperà...» sussurrò Eragon.

«Già, Ammazzaspettri. A volte mi chiedo se Galbatorix non sia riuscito a catturare addirittura le divinità in persona e a ridurle in schiavitù, ma poi scoppio a ridere e mi dico che sono pazzo.»

«Quali divinità? Quelle dei nani? Quelle delle tribù nomadi?»

«Che differenza fa, Ammazzaspettri? Una divinità è pur sempre una divinità, poco importa da dove viene.»

Eragon borbottò: «Forse hai ragione.»

Quando si allontanò dal giaciglio dell'uomo, una delle guaritrici lo prese da parte e gli disse: «Perdonalo, mio signore. A causa delle gravi ferite è quasi uscito di senno. Non fa che delirare, sostiene di vedere soli, stelle e luci scintillanti. A volte sembra che sappia cose che non dovrebbe, ma non farti ingannare, è solo che le sente dagli altri pazienti. Chiacchierano tutto il tempo, sai? Non hanno altro da fare, poveretti.»

«Prima di tutto io non sono il tuo signore, e poi quell'uomo non è pazzo» rispose Eragon. «Che cosa sia non lo so per certo, ma possiede un dono straordinario. Se migliora o peggiora, ti prego di informare il Du Vrangr Gata.»

La guaritrice fece un inchino. «Come desideri, Ammazzaspettri. Ti chiedo perdono per il mio errore.»

«Com'è stato ferito?»

«Si è mozzato le dita cercando di fermare la spada di un soldato con la mano. Poi uno dei proiettili delle catapulte dell'Impero gli è finito sulla gamba, frantumandogliela. Siamo stati costretti ad amputargliela. Chi era accanto a lui ha detto che non appena è stato colpito, ha cominciato a gridare qualcosa a proposito di una certa luce e quando l'hanno soccorso hanno notato che aveva gli occhi bianchi. Non aveva più nemmeno le pupille.»

«Ah. Mi sei stata di grande aiuto. Grazie.»

Quando Eragon e Nasuada lasciarono le tende dei guaritori, era buio. La regina sospirò e disse: «Adesso mi andrebbe proprio una tazza di idromele.» Eragon annuì, lo sguardo fisso a terra. Tornarono al padiglione rosso e dopo un po' Nasuada gli chiese: «A cosa stai pensando?»

«Viviamo in un mondo strano, e se riuscirò a comprenderne anche solo una minima parte potrò ritenermi fortunato.» Poi le raccontò della conversazione con l'uomo ferito, e anche Nasuada la trovò interessante.

«Dovresti parlarne con Arya» gli suggerì. «Forse lei sa chi potrebbero essere questi "altri" di cui parlava.»

Arrivati al padiglione, si separarono. Nasuada andò a finire di leggere un rapporto, mentre Eragon proseguì verso la sua tenda, seguito da Saphira. La dragonessa si accucciò e si preparò a dormire. Lui le si sedette accanto e si mise a fissare le stelle, mentre davanti agli occhi gli sfilava una parata di uomini feriti in marcia.

Ciò che molti di loro gli avevano detto continuava a echeggiargli nella mente: Abbiamo combattuto per te, Ammazzaspettri.

♦ ♦ ♦

SUSSURRI NELLA NOTTE

Roran aprì gli occhi e fissò la tela che gli pendeva sopra la testa. La tenda era pervasa da una sottile luce grigia, che privava gli oggetti del loro colore e tramutava ogni cosa in una pallida ombra della propria versione diurna. Rabbrividì. Le coperte gli erano scivolate fino alla vita e aveva il busto esposto all'aria gelida della notte. Nel risistemarle si accorse che Katrina non era più al suo fianco.

La vide seduta vicino all'ingresso della tenda, a fissare il cielo, avvolta in un mantello. I capelli le ricadevano fino alla base della schiena come un intricato, scuro ammasso di rovi.

Nel guardarla, Roran si sentì un nodo in gola.

Portando con sé le coperte, andò a sedersi accanto a lei. Le cinse le spalle con un braccio, e Katrina gli posò la testa e il collo contro il petto. Roran ne avvertì il calore. La baciò sulla fronte. Contemplò a lungo le stelle lucenti insieme a lei e ne ascoltò il ritmo regolare del respiro: insieme al suo, era l'unico suono percepibile in quel mondo addormentato.

Poi Katrina sussurrò: «Le costellazioni hanno una forma diversa qui. L'avevi notato?»

«Sì.» Roran spostò il braccio e seguì la curva della sua vita, avvertendo il lieve gonfiore della pancia che cresceva. «Perché ti sei svegliata?»

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