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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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I dodici elfi si fermarono davanti a Saphira. S'inchinarono e fecero con la mano il loro tipico gesto di cortesia, poi, uno per uno, si presentarono con la tradizionale frase iniziale del saluto elfico; Eragon rispose con la consueta formula. Quello che doveva essere il capo, un elfo alto e affascinante, con il corpo ricoperto da una pelliccia blu notte, annunciò lo scopo della loro missione davanti a tutti i presenti e chiese formalmente a Eragon e Saphira se potevano assumere l'incarico.

«Concesso» disse Eragon.

Concesso, disse Saphira.

Eragon domandò: «Blödhgarm-vodhr, ci siamo per caso già visti all'Agaetí Blödhren?» Ricordava infatti di aver visto un elfo con una pelliccia simile danzare fra gli alberi durante i festeggiamenti.

Blödhgarm sorrise, mostrando una chiostra di zanne ferine. «Credo che tu abbia visto mia cugina Liotha. Abbiamo molti tratti in comune, anche se la sua pelliccia è marrone e screziata, mentre la mia è blu scuro.»

«Avrei giurato che eri tu.»

«Purtroppo in quei giorni ero impegnato e non ho potuto prendere parte alla cerimonia. Forse ne avrò l'opportunità la prossima volta, fra cento anni.»

Non ti sembra, disse Saphira a Eragon, che abbia un buonissimo odore?

Eragon fiutò l'aria. Non sento niente. E lo sentirei, se ci fosse qualcosa di particolare.

Strano. La dragonessa gli trasmise tutta la gamma di aromi che aveva percepito, e all'improvviso Eragon capì che cosa intendeva. Un forte odore muscoso lo avvolse come una nuvola densa e inebriante, un tiepido aroma di fumo che conteneva tracce di ginepro frantumato e che faceva fremere le narici di Saphira. Tutte le donne dei Varden sembrano invaghite di lui, disse la dragonessa. Lo seguono ovunque vada, smaniose di parlargli, ma sono così timide che quando lui le guarda non riescono a far altro che squittire.

Magari soltanto le femmine riescono a sentire il suo odore. Eragon scoccò un'occhiata preoccupata ad Arya. Su di lei però non sembra avere effetto.

Arya è protetta dalle influenze magiche.

Lo spero... Credi che dovremmo fermare Blödhgarm? Il suo è un sotterfugio subdolo per conquistare il cuore di una donna.

Più subdolo che adornarsi di abiti eleganti per attirare lo sguardo dell'amato? Blödhgarm non si è approfittato delle donne che ha ammaliato, e mi sembra improbabile che abbia composto le note del suo profumo per attirare le donne umane in particolare. Credo invece che sia una conseguenza involontaria e che il suo aroma abbia tutto un altro scopo. A meno che non superi i limiti della decenza, credo che non dovremmo interferire.

E Nasuada? Non è vulnerabile al suo influsso?

Nasuada è una donna saggia e accorta. Si è fatta circondare da un incantesimo di difesa evocato da Trianna per non soccombere al fascino di Blödhgarm.

Bene.

Quando arrivarono alle tende, la folla crebbe a tal punto da dare l'impressione che mezza popolazione Varden si fosse radunata intorno a Saphira. Eragon alzò la mano verso la folla che lo acclamava: «Argetlam!» e «Ammazzaspettri!», mentre altri gridavano: «Dove sei stato, Ammazzaspettri? Raccontaci le tue avventure!» Altri ancora lo chiamarono Sterminatore di Ra'zac, e l'appellativo gli piacque a tal punto che lo ripeté quattro volte sottovoce. La gente invocava benedizioni sulla sua salute e quella di Saphira, lo invitava a cena, gli offriva oro e gioielli, e qualcuno gli fece particolari richieste di aiuto: guarire un figlio nato cieco, rimuovere un tumore che stava uccidendo una moglie, sanare la zampa rotta di un cavallo o addirittura riparare una spada piegata al grido di: «Era di mio nonno!» Due volte una voce di donna si levò dalla folla dicendo: «Ammazzaspettri, vuoi sposarmi?» Eragon si guardò intorno, ma non riuscì a capire chi aveva parlato.

In quel delirio, i dodici elfi restavano impassibili. Sapere che stavano guardando quello che lui non poteva vedere e ascoltando quello che lui non poteva sentire era un conforto, e gli consentiva di intrattenersi con i Varden ammassati con una tranquillità di cui in passato non aveva mai goduto.

Poi dalle file di tende cominciarono a farsi avanti gli ex abitanti del villaggio di Carvahall. Eragon smontò da Saphira e camminò fra gli amici e i conoscenti della sua giovinezza, scambiando strette di mano e pacche sulle spalle e ridendo alle battute, incomprensibili per chiunque non fosse cresciuto dalle parti di Carvahall. C'era anche Horst, il fabbro. Eragon gli strinse l'avambraccio abbronzato. «Bentornato, Eragon. Complimenti. Ti siamo debitori per aver distrutto i mostri che ci hanno costretti a lasciare le nostre case. Sono contento di vederti ancora tutto intero.»

«I Ra'zac avrebbero dovuto essere molto più svelti per riuscire a portarmi via anche un solo pezzo!» rise Eragon. Poi lo salutarono i figli di Horst, Albriech e Baldor; Loring il calzolaio con i suoi tre figli; Tara e Morn, proprietari della locanda di Carvahall; Fisk; Felda; Calitha; Delwin e Lenna; e infine Brigit dallo sguardo feroce, che gli disse: «Ti ringrazio, Eragon figlio di Nessuno. Ti ringrazio per aver inflitto la giusta punizione alle creature che hanno mangiato mio marito. Il mio cuore ti appartiene, ora e per sempre.»

Prima che Eragon avesse modo di rispondere, la folla li divise. Figlio di Nessuno? pensò. Ha! Ce l'ho un padre, e lo odiano tutti.

Poi, con sommo piacere, vide Roran farsi strada a spintoni tra la folla, con Katrina al fianco. Lui e Roran si abbracciarono, poi il cugino borbottò: «È stata una vera pazzia restare nell'Helgrind. Dovrei prenderti a calci nel sedere per averci abbandonati in quel modo. La prossima volta avvertimi quando decidi di andartene a zonzo da solo. Sta diventando un'abitudine. E avresti dovuto vedere come ha sofferto Saphira durante il volo di ritorno.»

Eragon posò una mano su una zampa di Saphira e disse: «Mi dispiace se non ho potuto dirti prima che sarei rimasto, ma non l'ho saputo nemmeno io fino all'ultimo momento.»

«E quale sarebbe il motivo preciso che ti ha trattenuto in quelle grotte malefiche?»

«C'era una cosa che dovevo scoprire.»

Roran s'incupì a quella risposta stringata, e per un istante Eragon temette che avrebbe insistito per avere altre spiegazioni, ma poi disse: «Be', che speranze ha un uomo qualunque come me di comprendere i modi e le ragioni di un Cavaliere dei Draghi, anche se è mio cugino? L'unica cosa che conta è che mi hai aiutato a liberare Katrina e adesso sei qui, sano e salvo.» Tese il collo, come se stesse cercando qualcosa in groppa a Saphira, poi guardò Arya, a diversi metri di distanza da loro, e disse: «Hai perso il mio bastone? Ho attraversato tutta Alagaësia con quel bastone, e tu sei riuscito a perderlo nel giro di un paio di giorni?»

«L'ho dato a un uomo che ne aveva più bisogno di me» rispose Eragon.

«Oh, smettila di punzecchiarlo» disse Katrina a Roran, e dopo un attimo di esitazione abbracciò Eragon. «È molto contento di vederti, lo sai. È solo che non riesce a trovare le parole per dirlo.»

Con un sorriso imbarazzato, Roran disse: «Ha ragione. Come sempre quando parla di me.» I due si scambiarono uno sguardo colmo d'amore.

Eragon studiò Katrina con attenzione. I capelli ramati avevano riacquistato l'antico splendore e i segni lasciati dai patimenti che aveva sofferto erano scomparsi, anche se la ragazza era sempre più magra e pallida del normale.

Avvicinandosi ancora di più, perché nessuno dei Varden lì intorno la sentisse, Katrina mormorò: «Non avrei mai pensato di doverti tanto, Eragon. Che noi ti dovessimo tanto. Da quando Saphira ci ha portati qui, ho capito che cosa hai rischiato per salvarmi, e te ne sono riconoscente. Se fossi rimasta anche solo un'altra settimana nell'Helgrind sarei morta, o impazzita, che è come morire continuando a vivere. Per avermi salvata da quel destino, e per aver guarito la spalla di Roran, ti ringrazio, ma avrai la mia eterna gratitudine soprattutto per averci riuniti. Se non fosse stato per te, non ci saremmo mai più ritrovati.»

«Sono convinto che in qualche modo Roran sarebbe riuscito a portarti fuori dall'Helgrind, anche senza di me» osservò Eragon. «Sa essere molto persuasivo quando è arrabbiato. Avrebbe convinto un altro mago ad aiutarlo... magari Angela l'erborista... e sarebbe comunque riuscito nel suo intento.»

«Angela l'erborista?» esclamò Roran. «Quella lingualunga non sarebbe mai stata capace di battere i Ra'zac.»

«Oh, rimarresti sorpreso dalle sue capacità. È molto più abile di quanto sembra... o di quanto non dica.» Poi Eragon si azzardò a fare una cosa che non avrebbe mai fatto quando viveva nella Valle Palancar, ma che adesso, in qualità di Cavaliere dei Draghi, gli parve appropriata: baciò sulla fronte Katrina e poi Roran, e disse: «Roran, tu per me sei come un fratello. Katrina, tu sei come una sorella. Se vi dovesse mai accadere qualcosa, chiamatemi, e che abbiate bisogno di Eragon il Contadino o di Eragon il Cavaliere, io sarò a vostra disposizione.»

«Lo stesso vale per noi» disse Roran. «Se mai dovessi cacciarti nei guai, chiamaci, e noi correremo in tuo aiuto.»

Eragon annuì, ma si trattenne dal commentare che i guai in cui era solito cacciarsi non erano del genere che uno dei due avrebbe potuto risolvere. Posò le mani sulle spalle di entrambi e disse: «Che possiate vivere a lungo, felici, e stare insieme per sempre, e che possiate avere molti bambini.» Il sorriso di Katrina vacillò per un istante, ed Eragon si domandò come mai.

Su insistenza di Saphira, ricominciarono a camminare verso il padiglione rosso di Nasuada al centro dell'accampamento. Accompagnati dal corteo di Varden esultanti, arrivarono davanti all'ingresso dove Nasuada li aspettava, con re Orrin alla sua sinistra e decine di nobili e funzionari radunati dietro una doppia fila di guardie schierate ai lati.

Nasuada indossava una lunga veste di seta verde che scintillava al sole come le piume sul petto di un colibrì, in netto contrasto con la pelle scura. Le maniche del vestito, lunghe fino al gomito, avevano un orlo di merletto. Da quel punto in poi, fino ai polsi sottili, le braccia erano fasciate da candide bende di lino. Il capo dei Varden spiccava sul resto della folla come uno smeraldo adagiato su un letto di foglie marroni. Soltanto Saphira poteva competere con lo splendore del suo aspetto.

Eragon e Arya si presentarono a Nasuada e poi a re Orrin. Nasuada diede loro il benvenuto formale da parte di tutti i Varden e li lodò per il loro coraggio. Concluse dicendo: «Sì, Galbatorix può anche avere un Cavaliere e un drago che combattono per lui come Eragon e Saphira combattono per noi. Può avere un esercito così numeroso da oscurare la terra. E può evocare strani e orribili sortilegi, abominio dell'arte magica. Ma con tutto il suo malefico potere non ha potuto impedire a Eragon e a Saphira di entrare nel suo regno e di uccidere quattro dei suoi servitori preferiti, né a Eragon di attraversare impunito l'Impero. Il braccio dell'usurpatore si è davvero indebolito se non è riuscito a difendere i suoi confini e a proteggere i suoi turpi agenti nel loro covo inaccessibile.»

Mentre i Varden esplodevano in un coro di acclamazioni, Eragon sorrise fra sé nel riconoscere quanto era abile Nasuada nel far leva sulle loro emozioni, ispirando fiducia, lealtà e ottimismo, nonostante la situazione in cui si trovavano. Non che mentisse: per quanto Eragon ne sapeva, Nasuada non mentiva mai, nemmeno quando aveva a che fare con il Consiglio degli Anziani o altri avversari politici. Quello che faceva era riferire le verità che più rafforzavano la sua posizione e i suoi argomenti. In questo, pensò Eragon, era molto simile agli elfi.

Quando le manifestazioni di esultanza dei Varden si furono placate, re Orrin salutò Eragon e Arya come aveva fatto Nasuada. Le sue parole furono più misurate di quelle della ragazza, e sebbene tutti avessero ascoltato in rispettoso silenzio e alla fine avessero applaudito, era ovvio che per quanto la folla lo rispettasse, non lo amava come amava Nasuada, e che Orrin non riusciva a infiammare l'immaginazione dei soldati quanto lei. Il re dal volto glabro era dotato di un intelletto superiore, ma la sua personalità era troppo distaccata, eccentrica e mite per rappresentare il concentrato delle speranze degli umani che si opponevano a Galbatorix.

Se sconfiggiamo Galbatorix, disse Eragon a Saphira, non dovrà essere Orrin a sostituirlo a Urû'baen. Non sarebbe in grado di unire il paese come Nasuada ha unito i Varden.

Sono d'accordo.

Re Orrin concluse il suo discorso. Nasuada sussurrò all'orecchio di Eragon: «Adesso tocca a te rivolgerti a coloro che si sono radunati per acclamare il famoso Cavaliere dei Draghi.» Nei suoi occhi balenò una scintilla di divertita malizia.

«A me?»

«Tutti si aspettano che tu lo faccia.»

Allora Eragon si volse per affrontare la moltitudine, con la lingua asciutta come sabbia. Aveva la mente vuota, e per un paio di secondi di panico pensò di aver perso il dono della parola, e che avrebbe fatto una figuraccia davanti all'intera popolazione dei Varden. Da qualche parte si levò il nitrito di un cavallo, ma per il resto l'accampamento sembrava immerso in un silenzio irreale. Fu Saphira a spezzare la sua paralisi dandogli un colpetto col muso sul braccio e dicendo: Di' che sei onorato di avere il loro sostegno e che sei felice di essere tornato fra di loro. Grazie al suo incoraggiamento, Eragon riuscì a spiccicare qualche parola appena accettabile, poi s'inchinò e fece un passo indietro.

Abbozzando un sorriso mentre la folla lo applaudiva e lo acclamava e batteva le spade sugli scudi, Eragon disse: È stato orribile! Preferirei combattere contro uno Spettro piuttosto che farlo di nuovo.

Su! Non è stato così difficile.

Non difficile: tremendo.

Uno sbuffo di fumo si levò dalle narici della dragonessa.

Ma che bel Cavaliere dei Draghi sei, terrorizzato all'idea di parlare alla folla! Se solo Galbatorix lo sapesse, gli basterebbe chiederti di fare un discorso alle sue truppe per costringerti alla resa. Ha!

Non sei spiritosa, borbottò lui, ma Saphira continuò a ridacchiare.

RISPETTO PER UN RE

Dopo il brevissimo discorso di Eragon ai Varden, Nasuada fece un cenno a Jörmundur, che subito accorse al suo fianco. «Fa' tornare tutti ai loro posti. Se ci attaccassero in questo momento, saremmo spacciati.»

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