Volodyk - Paolini3-Brisingr
«Davvero?» disse lui. Era contento, ma al tempo stesso dispiaciuto che lei fosse convinta di non conoscerlo così a fondo.
Lei lo guardò, poi abbassò lo sguardo. «Già, credo proprio di no. Tu sapresti indovinare il mio?»
«No.»
Il silenzio calò sul bivacco. Nel cielo, le stelle brillavano fredde e bianche. Un vento si levò da est e lambì la pianura, frustando l'erba con un gemito lungo e acuto, come se lamentasse la perdita di una persona cara. Quando arrivò al bivacco, le braci ripresero vigore e una vorticosa criniera di scintille volò verso ovest. Eragon curvò le spalle e si strinse il colletto della casacca. C'era qualcosa di ostile nel vento: lo sferzava con insolita violenza e sembrava isolare lui e Arya dal resto del mondo. Sedevano immobili, naufraghi sulla loro isoletta di luce e calore, mentre la poderosa onda d'aria passava, ululando la sua pena feroce nella vuota distesa di terra.
Quando le raffiche divennero più forti e cominciarono a spingere le scintille oltre la zona di terra brulla che Eragon aveva creato, Arya gettò una manciata di terra sulla brace. Spostandosi in ginocchio, Eragon la raggiunse e cominciò a gettare terra anche lui con entrambe le mani per fare più in fretta. Con il fuoco spento, non riusciva più a vederci bene: la campagna era diventata un fantasma di se stessa, piena di ombre contorte, sagome indistinte e foglie d'argento.
Arya fece per alzarsi, poi rimase accovacciata, le braccia tese per mantenere l'equilibrio, l'espressione vigile. Anche Eragon se ne accorse: l'aria formicolava e ronzava come se stesse per abbattersi un fulmine. I peli sulle mani gli si rizzarono e ondeggiarono nel vento.
«Cosa succede?» chiese.
«Qualcuno ci osserva. Qualunque cosa accada, non usare la magia, altrimenti potresti farci uccidere.»
«Chi...»
«Sssst.»
Guardandosi intorno, trovò un sasso delle dimensioni di un pugno, lo prese e lo soppesò.
In lontananza comparve una manciata di scintillanti luci multicolori. Sfrecciavano verso il bivacco, volando basse sull'erba. Mentre si avvicinavano, Eragon notò che cambiavano di continuo dimensioni, passando da un globo non più grande di una perla a uno di diversi piedi di diametro, e che variavano anche di colore, ripetendo il ciclo di ogni sfumatura dell'arcobaleno. Una nuvola crepitante circondava ogni globo, un alone di tentacoli liquidi che schioccavano e si contorcevano, come bramosi di afferrare qualcosa. Le luci si muovevano così veloci che Eragon non riusciva a contarle, ma stimò che fossero almeno due dozzine.
Piombarono sul bivacco e formarono un muro vorticante intorno a lui e ad Arya. La velocità con cui ruotavano, insieme al fuoco di fila di colori pulsanti, gli faceva girare la testa. Posò una mano a terra per sorreggersi. Il ronzio era così forte, adesso, che gli battevano i denti. Sentì in bocca un sapore metallico, e i capelli gli si rizzarono sul capo. Anche quelli di Arya si sollevarono, malgrado fossero molto più lunghi, e quando la guardò, trovò la scena così buffa che per poco non scoppiò a ridere.
«Che cosa vogliono?» gridò, ma l'elfa non rispose.
Un globo si staccò dagli altri e volò davanti ad Arya, fermandosi a mezz'aria, all'altezza dei suoi occhi. Rimpiccioliva e si dilatava come un cuore pulsante, alternando il blu intenso al verde smeraldo, con sporadici lampi di rosso. Uno dei tentacoli si attorcigliò a una ciocca dei capelli di Arya. Si udì un secco pop e per un istante la ciocca brillò come un frammento di sole, poi svanì. L'odore di capelli bruciati arrivò fino a Eragon.
Arya non batté ciglio né tradì alcun allarme. Con il volto sereno, tese un braccio e prima che Eragon potesse scattare per fermarla posò la mano sul globo splendente. Il globo divenne bianco e oro e si gonfiò fino ad assumere un diametro di tre piedi. Arya chiuse gli occhi e abbandonò indietro la testa, i lineamenti soffusi di una gioia radiosa. Le sue labbra si mossero, ma qualunque cosa disse, Eragon non riuscì a sentirla. Quando ebbe finito, il globo avvampò di rosso sangue e poi in rapida successione passò dal rosso al verde al viola all'arancione e a un blu così intenso che Eragon dovette distogliere lo sguardo, per finire con un nero purissimo orlato da una corona di bianchi tentacoli splendenti, come il sole durante un'eclissi. Il suo aspetto smise di mutare, come se soltanto l'assenza di colore potesse esprimere adeguatamente il suo umore.
Il globo si allontanò da Arya per avvicinarsi a Eragon, uno squarcio nel tessuto del mondo circondato da una corona di fiamme. Rimase sospeso davanti a lui ronzando con una tale intensità da fargli lacrimare gli occhi. Gli parve di avere la lingua ricoperta di rame, la pelle gli formicolava, e piccoli filamenti di elettricità gli danzavano sulla punta delle dita. Esitante e spaventato, si chiese se doveva toccare il globo come aveva fatto Arya. La guardò, chiedendole consiglio. Lei annuì e gli fece cenno di procedere.
Eragon tese la mano destra verso il vuoto che era il globo. Con sua sorpresa, incontrò resistenza. Il globo era immateriale, eppure premeva contro la sua mano come una corrente d'acqua impetuosa. Più avvicinava la mano, più resistenza incontrava. Con uno sforzo, spinse ancora e toccò il centro della creatura.
Raggi azzurrini guizzarono fra il palmo di Eragon e la superficie del globo, un'esplosione accecante come un fuoco d'artificio, che cancellò la luce degli altri globi e tinse ogni cosa di un celeste pallido. Eragon gridò di dolore quando i raggi gli ferirono gli occhi, li chiuse forte, abbassando la testa. Poi qualcosa si mosse all'interno del globo, come un drago addormentato che si desta dipanando le sue spire, e una presenza entrò nella sua mente, spazzando via le sue difese come foglie secche disperse dal vento d'autunno. Eragon trasalì. Si sentì colmare da una gioia irreale: qualunque cosa fosse il globo, sembrava essere composto da felicità distillata. Gioiva di essere vivo e traeva piacere da ogni cosa che lo circondava. Sarebbe scoppiato a piangere di gioia, ma non aveva più il controllo del proprio corpo. La creatura lo teneva immobilizzato con quei raggi azzurrini che ancora guizzavano sotto il suo palmo, e cominciò a insinuarsi nelle sue ossa e nei suoi muscoli, soffermandosi nei punti dov'era stato ferito; poi tornò nella sua mente. Nonostante la sensazione di euforia, Eragon trovava la presenza della creatura così strana e innaturale da voler fuggire, ma nella sua coscienza non c'era nessun posto dove nascondersi. Fu costretto a sottomettersi a quel contatto intimo con l'anima fiammeggiante della creatura che gli esplorava i ricordi, passando dall'uno all'altro con la rapidità di una freccia elfica. Eragon si chiese come facesse ad assimilare tante informazioni così in fretta. Provò allora a sua volta a sondare la mente del globo, per poter apprendere qualcosa sulla sua natura e le sue origini, ma quello respinse ogni suo tentativo. Le poche impressioni che ricevette furono così diverse da quelle che aveva trovato nelle menti degli altri esseri da risultargli incomprensibili.
Dopo un altro quasi istantaneo giro del suo corpo, la creatura si ritrasse. Il legame fra di loro si spezzò come una corda sottoposta a eccessiva tensione. La raggiera luminosa che avvolgeva la mano di Eragon si dissolse, lasciandogli nel campo visivo immagini persistenti di un rosa livido.
Il globo davanti a Eragon ricominciò a cambiare colore, rimpicciolì fino a diventare non più grosso di una mela e raggiunse i compagni nel vortice di luce che accerchiava lui e Arya. Il ronzio si abbassò fino ai limiti dell'udibile, poi il vortice esplose mentre i globi scintillanti si sparpagliavano in ogni direzione. Si raggrupparono di nuovo a un centinaio di piedi dal bivacco, accalcandosi l'uno sull'altro, simili a gattini giocherelloni, poi sfrecciarono verso sud e scomparvero, come se non fossero mai esistiti. Il vento impetuoso calò fino a diventare una brezza leggera.
Eragon cadde in ginocchio, le braccia tese verso il punto in cui prima fluttuavano i globi, sentendosi vuoto senza quell'impressione di beatitudine che gli avevano regalato. «Cosa...» fece per chiedere, ma poi gli venne un accesso di tosse e dovette ricominciare, con la gola secca. «Cos'erano?»
«Spiriti» rispose Arya. Si mise a sedere.
«Non assomigliavano a quelli che sono usciti da Durza quando l'ho ucciso.»
«Gli spiriti possono assumere diverse forme, secondo il loro capriccio.»
Eragon batté le palpebre più volte e si asciugò gli angoli degli occhi con un dito. «Come si fa a volerli soggiogare con la magia? È mostruoso. Mi vergognerei di essere un negromante. Bah! E Trianna che si vanta di esserlo. La costringerò a smettere di usare gli spiriti, altrimenti la espellerò dal Du Vrangr Gata e chiederò a Nasuada di bandirla dai Varden.»
«Non essere così precipitoso.»
«Non penserai forse che sia giusto che un mago costringa gli spiriti a obbedirgli... Sono così belli che...» S'interruppe e scosse la testa, traboccante di emozione. «Chiunque faccia loro del male dovrebbe essere ucciso senza pietà.»
Con un sorriso accennato, Arya disse: «A quanto pare Oromis doveva ancora introdurre l'argomento quando tu e Saphira siete partiti da Ellesméra.»
«Se intendi dire gli spiriti, no, me ne ha parlato diverse volte.»
«Ma non nel dettaglio, direi.»
«Forse no.»
Nell'oscurità, la sagoma di Arya si mosse mentre lei si sdraiava su un fianco. «Gli spiriti inducono sempre un senso di estasi quando scelgono di comunicare con noi che siamo fatti di materia, ma non lasciarti ingannare. Non sono benevoli, felici o allegri come ti fanno credere. Compiacere quelli con cui stabiliscono un legame è il loro modo di difendersi. Detestano restare legati a un luogo, e tanto tempo fa hanno capito che se la persona con cui hanno a che fare è felice, sarà meno propensa a trattenerli come servi.»
«Non so» disse Eragon. «Ti fanno sentire così bene che è più facile capire il desiderio di trattenerli per sempre, piuttosto che la volontà di liberarli.»
Arya si strinse nelle spalle. «Gli spiriti non sanno prevedere i nostri comportamenti, così come noi non conosciamo i loro. Hanno così poco in comune con le altre razze di Alagaësia che conversare con loro, anche nei termini più semplici, è una sfida, e ogni incontro è irto di pericoli, dato che nessuno sa come reagiranno.»
«Ma niente di tutto questo spiega perché non dovrei ordinare a Trianna di abbandonare la negromanzia.»
«L'hai mai vista evocare gli spiriti?»
«No.»
«Appunto. Trianna è con i Varden da sei anni, e in tutto questo tempo ha dimostrato la sua padronanza della stregoneria soltanto una, dico una volta. E solo dopo molte insistenze di Ajihad e molta preoccupazione e preparazione da parte sua. Ha le capacità, non è una ciarlatana, ma evocare gli spiriti è troppo pericoloso, e non ci si avventura in un'impresa simile a cuor leggero.»
Eragon si massaggiò il palmo luccicante con il pollice sinistro. La sfumatura di colore cambiò quando il sangue affluì in superficie, ma i suoi sforzi non servirono a ridurre la quantità di luce irradiata dalla sua mano. Si grattò il gedwëy ignasia con le unghie. Sarà meglio che scompaia nel giro di qualche ora. Non posso risplendere come una lanterna. Mi farei uccidere. Ed è anche ridicolo. Chi ha mai sentito parlare di un Cavaliere dei Draghi con una parte del corpo sfolgorante?
Rifletté su quanto gli aveva detto Brom. «Non sono spiriti umani, vero? E non appartengono nemmeno agli elfi, ai nani, o a nessuna altra creatura. Voglio dire, non sono fantasmi. Non diventiamo come loro, dopo morti.»
«No. E per favore non chiedermelo, perché già so dove vuoi andare a parare. Vuoi sapere che cosa sono, ma è una risposta che dovrai ottenere da Oromis, non da me. Lo studio della negromanzia, se fatto come si deve, è un lavoro lungo e arduo, e dovrebbe essere affrontato con la massima prudenza. Non voglio dire niente che possa interferire con le lezioni che Oromis ha stabilito per te, e di certo non voglio che tu corra il rischio di farti del male cercando di mettere in pratica qualcosa che ti ho detto quando manchi ancora della dovuta istruzione.»
«E quando tornerò a Ellesméra?» chiese lui. «Non posso lasciare di nuovo i Varden, non adesso, non mentre Castigo e Murtagh sono ancora vivi. Finché non sconfiggeremo l'Impero, o l'Impero sconfiggerà noi, io e Saphira dovremo aiutare Nasuada. Se Oromis e Glaedr vogliono davvero completare il nostro addestramento, allora dovrebbero raggiungerci, e addio Galbatorix!»
«Ti prego, Eragon» disse lei. «Questa guerra non finirà presto come credi. L'Impero è vasto, e noi non abbiamo fatto altro che punzecchiargli la pelle. Finché Galbatorix non sa dell'esistenza di Oromis e Glaedr, abbiamo un vantaggio.»
«È un vantaggio il fatto che non si mostrino mai?» mugugnò lui. Arya non rispose e, dopo un istante, Eragon si sentì infantile per essersi lamentato. Oromis e Glaedr volevano distruggere Galbatorix più di chiunque altro, e se avevano scelto di nascondersi a Ellesméra avevano le loro ottime ragioni. Eragon stesso ne conosceva parecchie, compresa la più importante: l'incapacità di Oromis di evocare incantesimi che richiedessero molta energia.
Infreddolito, Eragon si abbassò le maniche fin sulle mani e incrociò le braccia. «Che cos'hai detto allo spirito?»
«Voleva sapere perché abbiamo usato la magia; ecco che cosa li ha attirati. Gliel'ho spiegato, e ho spiegato loro anche che tu eri quello che ha liberato gli spiriti intrappolati dentro Durza. Ne sono stati molto contenti.» Una pausa di silenzio, poi Arya si spostò verso il giglio e lo toccò ancora. «Oh!» esclamò. «Sono stati molto riconoscenti. Naina!»
Al suo comando, una pioggia di luce soffusa illuminò il bivacco. Eragon vide allora che la foglia e lo stelo del giglio erano diventati d'oro massiccio, i petali di un metallo bianco che non conosceva, e il cuore del fiore, come Arya rivelò inclinando la corolla, era fatto di rubini e diamanti. Stupefatto, Eragon fece scorrere un dito sulla foglia ricurva, e la sottile peluria metallica lo solleticò. Proteso in avanti, scorse la stessa collezione di escrescenze, solchi, forellini, venature e altri minuscoli dettagli con cui aveva adornato la versione originale della pianta; con l'unica differenza che adesso erano d'oro.
«È una copia perfetta!» commentò.
«Ed e ancora vivo.»
«È impossibile!» Eragon si concentrò per cercare qualche debole traccia di calore e movimento che gli confermasse che il giglio non era soltanto un oggetto inanimato. Ne trovò diverse, intense come sempre in una pianta durante le ore notturne. Accarezzando di nuovo la foglia, disse: «Questo va al di là di ogni mia conoscenza della magia. Secondo ogni logica, questo fiore dovrebbe essere morto. Invece è vivo e vegeto. Non so nemmeno immaginare che cosa sia necessario per trasformare una pianta in metallo vivente. Forse Saphira potrebbe farlo, ma non sarebbe mai capace di insegnare l'incantesimo a qualcun altro.»