Volodyk - Paolini1-Eragon.doc
Eragon esitò. «Vorrei lasciare un messaggio per Roran. Non mi sembra giusto partire senza dirgli il perché.»
«Ho già provveduto» lo rassicurò Brom. «Ho lasciato una lettera per lui da Gertrude, con qualche spiegazione. L'ho anche avvertito di guardarsi da certi pericoli. È abbastanza?»
Eragon annuì. Avvolse la carne nelle pelli e s'incamminarono. Furono attenti a non farsi vedere finché non ebbero raggiunto la via maestra; poi si affrettarono, desiderosi di mettere quanta più strada possibile fra loro e Carvahall. Eragon camminava avanti, con piglio deciso, nonostante il dolore alle gambe. Il passo costante gli sgombrò la mente. Una volta arrivati a casa, non muoverò un passo con Brom finché non mi avrà dato delle risposte, si disse risoluto. Spero che possa dirmi di più sui Cavalieri e su coloro che voglio combattere.
Quando i ruderi della fattoria comparvero, le sopracciglia di Brom fremettero di rabbia, Eragon fu turbato nel vedere con quanta rapidità la natura reclamava la fattoria. La neve e la pólvere si erano già accumulate sui resti della casa, celando la violenza dell'attacco degli stranieri. Tutto ciò che restava del fienile era un rettangolo di assi bruciate in rapido disfacimento.
La testa di Brom scattò verso l'alto quando sopra gli alberi si udì il battito d'ali di Saphira. La dragonessa scese in planata dietro di loro, arrivando quasi a sfiorare le loro teste, e lo spostamento d'aria li fece barcollare. Le squame di Saphira scintillarono mentre tracciava un arco sopra la fattoria e atterrava con grazia davanti a loro.
Brom fece un passo avanti, con espressione solenne e gioiosa. I suoi occhi splendevano, e una lacrima brillò sulla sua guancia prima di scomparire nella barba. Rimase immobile a lungo, ansante, mentre guardava Saphira, e lei lui. Eragon lo udì mormorare qualcosa e mosse qualche passo per sentire meglio.
«E così... ricomincia. Ma come, quando finirà? La mia visione è annebbiata; non so predire se sarà farsa o tragedia, poiché vedo gli elementi di entrambe... Comunque, la mia posizione resta immutata, e io… »
Le sue parole si dissolsero in un borbottio mentre Saphira si avvicinava fiera, Eragon superò Brom, fingendo di non aver udito nulla, e la salutò. C'era qualcosa di diverso fra loro, come se si conoscessero più a fondo, ma fossero ancora estranei. Le strofinò il collo, e il suo palmo formicolò quando le menti si toccarono. La dragonessa emanava un'intensa curiosità.
Non ho mai visto umani, tranne te e Garrow, e lui era ferito, disse lei.
Hai visto altra gente attraverso i miei occhi.
Non è la stessa cosa. La dragonessa si avvicinò e volse la lunga testa per poter scrutare meglio Brom con un enorme occhio azzurro. Siete proprio creature bizzarre, disse in tono critico, e continuò a fissare il vecchio. Brom rimase immobile mentre la dragonessa annusava l'aria circostante; poi tese una mano. Saphira abbassò piano la testa e gli permise di toccarla sulla fronte. Poi si ritrasse di colpo con uno sbuffo e si nascose dietro Eragon. La sua coda frustò il terreno. Che cosa succede? domandò lui. Lei non rispose.
Brom si rivolse al ragazzo e chiese sottovoce; «Come si chiama?»
«Saphira.» Una strana espressione attraversò il volto di Brom. Conficcò il bastone nel terreno con tanta forza che le nocche sbiancarono. «Di tutti i nomi che mi hai suggerito, quello è l'unico che le è piaciuto. Credo che sia appropriato» si affrettò ad aggiungere Eragon.
«Molto appropriato» disse Brom, Eragon colse una sfumatura indecifrabile nella sua voce. Perdita, meraviglia, paura, invidia? Non ne era sicuro; poteva essere tutto o niente. Brom alzò la voce e disse; «Salute a te, Saphira. Sono onorato di conoscerti.» Fece un gesto svolazzante con la mano e s'inchinò.
Mi piace, disse Saphira.
Ovvio; a tutti piace essere lusingati. Eragon la toccò sulla spalla e puntò verso la casa diroccata. Saphira lo seguì insieme a Brom. Il vecchio aveva l'aria vivace.
Eragon si arrampicò sulle macerie e scivolò sotto una porta in ciò che restava della sua stanza. A stento la riconobbe sotto i cumuli di legno divelto. Guidato dalla memoria, cercò la parete interna e trovò il suo zaino vuoto. Parte dell'intelaiatura di legno era rotta, ma si poteva riparare. Continuò a frugare attorno e alla fine scoprì un'estremità del suo arco, ancora chiuso nella custodia di pelle. N La pelle era rovinata e piena di graffi, ma fu lieto di constatare che il legno oliato era rimasto intatto. Almeno un colpo di fortuna. Incordò l'arco e ne saggiò l'elasticità. L'arco si piegò senza schiocchi o rotture. Soddisfatto, cercò la faretra, che trovò sepolta lì vicino. Molte frecce erano spezzate.
Porse l'arco e la faretra a Brom, che commentò: «Ci vuole un braccio robusto per tenderlo.» Eragon accettò il complimento in silenzio. Vagò ancora per la casa in cerca di altri oggetti utili e li posò ai piedi di Brom. Un ben magro bottino. «E adesso?» disse il vecchio. I suoi occhi lo scrutavano in profondità. Eragon distolse lo sguardo.
«Troviamo un posto dove nasconderci.»
«Hai già in mente qualcosa?»
«Sì.» Avvolse gli oggetti, tranne l'arco, in un ampio fagotto, e lo chiuse stretto. Se lo gettò in spalla, disse: «Da questa parte» e s'incamminò verso la foresta. Saphira, seguici in volo. Le tue impronte sono troppo facili da scoprire.
D'accordo. La dragonessa si librò.
La destinazione era vicina, ma Eragon seguì un percorso tortuoso allo scopo di seminare eventuali inseguitori. Era passata oltre un'ora quando finalmente si fermò in una radura ben nascosta. Lo spiazzo era largo quanto bastava per ospitare un falò, due persone e un drago. Gli scoiattoli fuggirono tra gli alberi, protestando con sonori squittii contro l'intrusione. Brom si districò da un rampicante e si guardò intorno con interesse. «Qualcun altro sa di questo posto?» domandò. «No. L'ho scoperto quando ci siamo trasferiti qui. Mi ci è voluta una settimana per ripulirlo, e un'altra ancora per portar via tutti i rami secchi.» Saphira atterrò accanto a loro e chiuse le ali, attenta a evitare i rovi. Si accovacciò, spezzando qualche rametto con le dure squame, e posò la testa sul terreno. I suoi occhi imperscrutabili seguivano ogni loro mossa.
Brom si appoggiò al bastone e la osservò attento. Il suo sguardo insistente innervosiva Eragon, che rimase a sua volta a guardare il vecchio finché la fame non lo costrinse ad agire. Accese un falò, riempì una pentola di neve e la mise sul fuoco, per farla sciogliere. Quando l'acqua bollì, tagliò qualche pezzo di carne e lo tuffò nella pentola insieme a un pugno di sale. Non è granché, pensò amaramente, ma basterà allo scopo. Probabilmente mangerò questa roba per parecchio.tempo, perciò tanto vale che mi ci abitui.
Lo stufato bolliva lentamente, diffondendo un ricco aroma nella radura. Saphira fece schioccare la punta della lingua e assaggiò l'aria. Quando la carne fu tenera. Brom si avvicinò ed Eragon lo servì. Mangiarono in silenzio, evitando di guardarsi. Alla fine. Brom prese la sua pipa e cominciò a fumare, soddisfatto, .
«Perché vuoi venire con me?» gli chiese Eragon.
Brom sbuffò una nuvoletta di fumo, che risalì a spirale per poi perdersi fra gli alberi. «Ho un certo interesse nel mantenerti vivo» disse.
«Che cosa significa?» disse Eragon.
«Per farla breve, sono un cantastorie, e si da il caso che tu rappresenti per me una gran bella storia. Sei il primo Cavaliere al di fuori del controllo del re in oltre cento anni. Che cosa succederà? Morirai come un martire? Ti unirai ai Varden? O ucciderai re Galbatorix? Domande affascinanti, E io sarò lì a testimoniare ogni tuo passo costi quel che costi.»
Eragon si sentì stringere lo stomaco in una morsa. Non riusciva a immaginarsi nell'atto di compiere quelle gesta, e ancora meno di diventare un martire. Cerco vendetta, ma per il resto non ho ambizioni. «Vedremo. Ma dimmi una cosa:. come fai a parlare con Saphira?»
Brom si concesse il tempo necessario per aggiungere altro tabacco alla pipa. Dopo averla riaccesa e rimessa in bocca, disse; «D'accordo, se sono le risposte che vuoi, risposte avrai, ma potrebbero non piacerti.» Si alzò per andare a prendere il suo fagotto e tornò vicino al fuoco. Ne estrasse un lungo oggetto avvolto in un panno. Misurava all'incirca cinque piedi e, a giudicare da come lo maneggiava, doveva essere piuttosto pesante.
Brom cominciò a dipanare la protezione di stoffa, un lembo alla volta, come se fossero le bende di una mummia. Lo sguardo incantato di Eragon s'illuminò quando si posò su una spada. Il pomo era d'oro, a forma di goccia, e recava incastonato un rubino grande come un uovo di quaglia. L'elsa era di filigrana d'argento brunito, e scintillava come una galassia di stelle. Il fodero era di pelle color vino, liscia come seta, adorna solo di uno strano simbolo nero inciso. Vicino alla spada c'era una cintura di pelle con una pesante fibbia. L'ultimo lembo di stoffa cadde, e Brom passò l'arma a Eragon.
La sua mano aderì perfettamente all'impugnatura, come se fosse stata fatta per lui. Lentamente sfilò la spada dal fodero, che scivolò senza nemmeno un fruscio. La lama piatta era di un rosso iridescente, che rifletteva la luce del falò. I due profili taglienti convergevano eleganti in una punta aguzza. Sul metallo era inciso il simbolo nero impresso sul fodero. L'equilibrio della spada era perfetto; sembrava un'estensione del suo braccio, al contrario dei rozzi utensili da agricoltore cui era abituato. Emanava un'aura di potere, come se nel suo nucleo covasse una forza irresistibile. Era stata creata per le violente emozioni della battaglia, per porre fine alla vita degli uomini, eppure era di una bellezza sconvolgente.
«Un tempo questa era l'arma di un Cavaliere» disse Brom in tono grave. «Quando un Cavaliere terminava l'addestramento, gli elfi gli facevano dono di una spada. I loro metodi di forgiatura sono sempre rimasti segreti. Le loro spade sono eternamente affilate e non si macchiano mai. L'usanza era che il colore della lama combaciasse con quello del drago del Cavaliere, ma immagino che in questo caso possiamo fare un'eccezione. Questa spada si chiama Zar'roc. Non so che cosa significa: probabilmente qualcosa di personale per il Cavaliere che la possedeva.» Osservò Eragon tentare qualche fendente.
«Dove l'hai presa?» domandò il ragazzo. A malincuore rimise la spada nel fodero e fece per restituirla al vecchio, ma Brom non mosse un dito per prenderla.
«Non ha importanza» disse Brom. «Ti basti sapere.che ho dovuto passare una serie di brutte e pericolose avventure per entrarne in possesso. Considerala tua. Hai più diritto di me ad averla, e prima che sia tutto compiuto, credo proprio che ti servirà.»
L'offerta colse Eragon alla sprovvista. «È un dono principesco: ti ringrazio.» Incerto su che altro dire, fece scorrere la mano sul fodero. «Che cosa significa questo simbolo?» domandò. «Era l'emblema personale del Cavaliere.» Eragon cercò di interromperlo, ma Brom lo fulminò con un'occhiataccia. «Ora, sarà bene che tu sappia che chiunque può imparare a parlare con i draghi, se ha ricevuto l'adeguata istruzione. Ma» e alzò un dito con enfasi «saperlo fare non significa niente. So più io dei draghi e delle loro capacità di qualsiasi altro essere vivente. Da solo, ti ci vorrebbero anni per imparare quello che io posso insegnarti. Ti sto offrendo la mia conoscenza come via più breve. La ragione per cui so queste cose rimane affar mio.»
Quando Brom ebbe finito di parlare, Saphira si alzò per avvicinarsi a Eragon. Il ragazzo estrasse la spada per mostrarla alla dragonessa. Ha potere, disse lei, sfiorandone la punta con il naso. Il colore iridescente del metallo ondeggiò come acqua quando fu toccato dalle sue squame. Lei alzò la testa con uno sbuffo soddisfatto, e la spada riprese il suo aspetto normale. Eragon la ripose nel fodero, turbato.
Brom inarcò un sopracciglio. «Questo è il genere di cose di cui ti parlavo. I draghi ci stupiscono sempre. Accadono certe cose intorno a loro, cose misteriose che sono impossibili altrove. Anche se i Cavalieri hanno agito a fianco dei draghi per secoli, non hanno mai compreso fino in fondo le loro capacità. C'è chi sostiene addirittura che nemmeno i draghi conoscano fino in fondo la portata dei loro poteri. Sono legati a questa terra in un modo che consente loro di superare grandi ostacoli. Ciò che Saphira ha appena fatto dimostra la mia tesi: c'è ancora molto che non sai.»
Ci fu una lunga pausa. «Può darsi» disse Eragon. «ma posso imparare, E gli stranieri sono la cosa che più mi interessa al momento. Hai idea di chi fossero?»
Brom, trasse un lungo sospiro. «Si chiamano Ra'zac. Nessuno sa se sia il nome della loro razza o quello che si sono scelti. A ogni modo, se possiedono nomi individuali, li tengono segreti. I Ra'zac non si sono mai visti prima dell'ascesa al potere di Galbatorix. Deve averli scovati da qualche parte durante i suoi viaggi e arruolati al suo servizio. Si sa poco di loro. Ma posso dirti una cosa: non sono umani. Quando ho intravisto la testa di uno di loro, mi è sembrato di scorgere un becco e occhi neri grandi quanto il mio pugno... ma come riescano a parlare la nostra lingua è un mistero. Senza dubbio il resto del loro corpo è altrettanto deforme. Per questo si coprono sempre con i mantelli, che sia caldo o freddo.
«Quanto ai loro poteri, sono più forti di qualunque uomo e possono fare salti di incredibile altezza, ma non sanno usare la magia. Ritieniti fortunato per questo, ragazzo mio, perché altrimenti a quest'ora saresti già nelle loro grinfie. So anche che provano una certa avversione per la luce del sole, per quanto essa non possa fermarli, se sono decisi. Non commettere mai l'errore di sottovalutare un Ra'zac, perché sono astuti e pieni di risorse.»
«Quanti sono?» disse Eragon, chiedendosi come facesse Brom a sapere tante cose. «per quanto ne so, solo quei due che hai visto. Potrebbero essercene altri, ma non ne ho mai sentito parlare. Può darsi che siano gli ultimi di una razza quasi estinta. Sai, sono i cacciatori di draghi personali del re. Quando la notizia di un avvistamento di un drago in queste terre giunge all'orecchio di Galbatorix, lui manda i Ra'zac a investigare. E spesso li segue una scia di morte.» Brom soffiò una serie di anelli di fumo e li guardò fluttuare fra i rovi. Eragon ignorò gli anelli finché non si accorse che stavano cambiando colore e guizzavano in tutte le direzioni. Brom ammiccò con aria astuta.
Eragon era sicuro che nessuno avesse visto Saphira: perciò come poteva Galbatorix aver avuto notizia della sua esistenza? Quando espresse i suoi dubbi. Brom disse: «Hai ragione, mi sembra molto improbabile che qualcuno di Carvahall abbia avvertito il re. Perché non mi racconti dove hai trovato l'uovo e come hai allevato Saphira? Questo potrebbe aiutarci a capire.»