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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Poi fecero una pausa per bere e mangiare qualche boccone di pane e formaggio.

Dopo il breve ristoro, Rhunön collocò una manciata di ramoscelli nel trogolo, li accese mormorando una parola e quando le fiamme furono bene avviate, mise sul fondo alcuni ciocchi di quercia stagionata. Per quasi un'ora accudì il fuoco, alimentandolo con la cura di un giardiniere che coltiva le rose, finché la legna fu bruciata completamente trasformandosi in un letto di carboni. Allora Rhunön fece un cenno a Eragon e disse: «Adesso!»

Eragon sollevò il blocco di minerale e con estrema cautela lo abbassò nel trogolo. Quando il calore sulle dita divenne insopportabile, lasciò andare il blocco e balzò indietro, mentre una fontana di scintille si levava turbinando come uno sciame di lucciole. Sul minerale e sul carbone rovesciò una spessa coltre di carbonella per attizzare il fuoco.

Eragon si spazzolò la polvere di carbonella dalle mani e afferrò i manici di uno dei mantici, cominciando a pompare come faceva Rhunön sull'altro lato del forno. Insieme ravvivarono il fuoco con un flusso regolare d'aria per far aumentare la temperatura.

Le squame del petto e del collo di Saphira sprizzavano abbaglianti lampi di luce mentre le fiamme danzavano nel forno. Si accucciò a parecchie iarde di distanza, gli occhi fissi sul cuore pulsante del fuoco. Potrei aiutarvi, lo sapete, disse. Mi ci vorrebbe giusto un minuto per sciogliere il minerale.

«Sì» disse Rhunön, «ma se lo sciogliessimo troppo in fretta, il metallo non si combinerebbe con la carbonella e non diventerebbe abbastanza duro e flessibile per una spada. Risparmia il tuo fuoco, dragonessa. Ci servirà più tardi.»

Con il calore del forno unito allo sforzo di azionare il mantice, Eragon si ritrovò ben presto coperto da un velo di sudore; le sue braccia nude risplendevano alla luce del fuoco.

Di tanto in tanto, lui o Rhunön abbandonavano il mantice per spalare un nuovo strato di carbonella sul fuoco.

Il lavoro era monotono e dopo un po' Eragon perse la cognizione del tempo. Il costante ruggito delle fiamme, il mantice stretto fra le mani, il fruscio dell'aria soffiata e la presenza vigile di Saphira erano le uniche cose di cui fosse consapevole.

Così trasalì quando Rhunön disse: «Dovrebbe bastare. Lascia pure il mantice.»

Eragon si asciugò la fronte e la aiutò a togliere i carboni incandescenti dal forno per poi versarli in un barile pieno d'acqua. A contatto dell'acqua i carboni sfrigolarono e sprigionarono un odore acre.

Quando finalmente sul fondo del trogolo comparve la pozza rosseggiante di metallo fuso - le scorie e le altre impurità erano state eliminate durante il processo - Rhunön la coprì con un strato alto un pollice di sottile cenere bianca, poi appoggiò la pala su un lato del forno e andò a sedersi sulla panca. «E adesso?» chiese Eragon, sedendosi al suo fianco.

«Adesso aspettiamo.»

«Cosa?»

Rhunön indicò il cielo dove la luce del sole morente tingeva di rosso, oro e viola i brandelli di nuvole passeggere. «Quando lavoriamo il metallo dev'essere più buio, se vogliamo giudicarne il colore con esattezza. Inoltre l'acciaioluce ha bisogno di tempo per raffreddarsi in modo che sia morbido e facile da modellare.»

Allungando le mani dietro la testa, Rhunön sciolse il laccio che le teneva i capelli, poi li raccolse e li legò di nuovo. «Nel frattempo parliamo della tua spada. Come combatti, con una o con due mani?»

Eragon rifletté un minuto, poi disse: «Dipende. Se posso scegliere preferisco brandire la spada con una mano e portare lo scudo con l'altra. D'altro canto le circostanze non mi sono sempre state favorevoli, e spesso ho dovuto combattere senza scudo. In quel caso, mi piace impugnare l'elsa con entrambe le mani, per imprimere maggiore potenza al colpo. Il pomolo di Zar'roc era abbastanza grande da poterlo stringere anche con la sinistra, se dovevo, ma l'incastonatura del rubino era scomoda e non mi permetteva una presa sicura. Sarebbe bello avere un'elsa leggermente più lunga.»

«Ne deduco che non vuoi una vera spada a due mani» disse Rhunön.

Eragon scosse il capo. «No, sarebbe troppo grande per combattere al coperto.»

«Dipende dalla lunghezza dell'elsa e della lama insieme, ma tutto sommato hai ragione. Che cosa ne diresti invece di una spada a una mano e mezza?»

L'immagine della prima spada di Murtagh gli attraversò la mente. E sorrise. Perché no? pensò Eragon. «Sì, una spada a una mano e mezza sarebbe perfetta.»

«E quanto vorresti che fosse lunga la lama?»

«Non più lunga di quella di Zar'roc.»

«Mmm. Vuoi una lama dritta o curva?»

«Dritta.»

«Hai delle preferenze per il guardamano?»

«Nessuna in particolare.»

Con le braccia incrociate, Rhunön abbassò il mento sul petto e socchiuse gli occhi, le labbra strette in una smorfia di concentrazione. «E quanto dovrebbe essere larga la lama? Ricordati, non importa quanto sia stretta, la spada non si spezzerà.»

«Magari un po' più larga di Zar'roc vicino alla guardia.»

«Perché?»

«Penso che sarebbe più elegante.»

Un'aspra risata rauca proruppe dalla gola di Rhunön. «E questo in che cosa migliora l'uso della spada?»

Eragon si agitò a disagio sulla panca, a corto di parole.

«Non chiedermi di creare un'arma in base all'aspetto» lo ammonì Rhunön. «Un'arma è uno strumento, e se è bella, è bella perché è funzionale. Una spada che non sa adempiere al proprio compito ai miei occhi sarebbe brutta anche se avesse una bella forma e fosse adorna delle gemme più preziose e delle incisioni più elaborate.» L'elfa arricciò le labbra e le sporse in fuori mentre rifletteva. «Dunque, ricapitolando... una spada che vada bene sia per gli sfrenati combattimenti in campo aperto che per difenderti nelle strette gallerie del Farthen Dûr. Una spada per tutte le occasioni, di discreta lunghezza, quindi, tranne che per l'elsa che dovrà essere più lunga della media.»

«Una spada per uccidere Galbatorix» disse Eragon.

Rhunön annuì. «E in quanto tale dovrà essere ben protetta contro la magia...» Affondò di nuovo il mento nel petto. «Le armature sono molto migliorate nell'ultimo secolo, perciò la punta dovrà essere più stretta di quanto non fossi solita fare, per trapassare le placche e le maglie e scivolare negli interstizi fra i vari pezzi. Mmm.» Da una borsa legata al fianco Rhunön trasse uno spago annodato con cui prese diverse misure delle mani e delle braccia di Eragon. Poi estrasse un attizzatoio di ferro dalla fucina e glielo lanciò. Lui lo afferrò al volo con una mano e inarcò un sopracciglio, stupito. L'elfa gli fece un cenno con l'indice puntato e disse: «Avanti, ora. In piedi, fammi vedere come ti muovi con una spada.»

Uscendo da sotto la tettoia della fucina, Eragon obbedì, mostrandole le diverse mosse che Brom gli aveva insegnato. Dopo qualche minuto sentì un clangore di metallo sulla pietra. Rhunön tossì e disse: «Oh, che disastro.» Gli si piazzò davanti impugnando un secondo attizzatoio, la fronte solcata da un fiero cipiglio. Si portò l'attrezzo davanti al viso in segno di saluto e disse: «In guardia, Ammazzaspettri!»

L'attizzatoio sibilò nell'aria quando Rhunön gli si avventò contro con un fendente, che Eragon parò saltando di lato. L'attizzatoio che aveva in mano vibrò con violenza quando le due sbarre di metallo cozzarono. Duellarono per qualche minuto. Per quanto fosse evidente che l'elfa non tirava di scherma da un pezzo, Eragon la trovò lo stesso un'avversaria formidabile. Alla fine furono costretti a smettere perché il morbido ferro degli attizzatoi si era piegato, tanto che le sbarre erano storte come i rami di un tasso.

Rhunön prese i due attizzatoi ormai inutilizzabili e li posò sulla pila degli attrezzi rotti. Tornò indietro, sollevò il mento e disse: «Ora so esattamente che forma dovrà avere la tua spada.»

«Ma come farai?»

Negli occhi di Rhunön balenò un luccichio divertito. «Non la farò io. Sarai tu, Ammazzaspettri, a fare la spada in vece mia.»

Eragon restò per un momento a bocca aperta, poi balbettando disse: «Iio? Ma non sono mai stato a bottega da un fabbro o da un armaiolo. Non sarei capace di forgiare nemmeno un banale coltellino.»

Il luccichio negli occhi di Rhunön si fece più intenso. «Eppure sarai tu a fare la spada.»

«Ma come? Mi starai accanto per dirmi come devo martellare il metallo?»

«Più o meno» disse Rhunön. «Entrerò nella tua mente per guidarti, in modo che le tue mani facciano ciò che le mie non possono. Non è la soluzione perfetta, ma non so che cos'altro escogitare per eludere il mio giuramento ed esercitare ancora una volta la mia arte.»

Eragon corrugò la fronte. «Ma se sarai tu a muovere le mie mani, non è come se la spada la facessi tu?»

Il volto di Rhunön si adombrò, e con voce brusca l'elfa disse: «Ammazzaspettri, la vuoi o no questa spada?»

«Certo.»

«E allora basta con tutte queste domande. Fare la spada attraverso le tue mani è diverso perché io penso che sia diverso. Se non ne fossi convinta, il mio giuramento m'impedirebbe di aiutarti. Perciò, a meno che tu non voglia tornare dai Varden a mani vuote, faresti meglio a tenere la bocca chiusa.»

«Sì, Rhunön-elda.»

Tornarono davanti al forno e Rhunön chiese a Saphira di staccare dal fondo del trogolo di mattoni la massa ancora calda di acciaioluce rappreso. «Rompila in pezzi della grandezza di un pugno» la istruì, poi indietreggiò a distanza di sicurezza.

Saphira sollevò una zampa davanti e la calò con tutta la sua forza sul blocco ondulato di acciaioluce. La terra tremò e l'acciaioluce si spezzò in diversi punti. Saphira lo calpestò ancora tre volte prima che Rhunön fosse soddisfatta del risultato. L'elfa raccolse nel grembiule i frammenti appuntiti e li portò a un tavolo basso accanto alla fucina. Lì divise il metallo in base alla durezza, che, come disse a Eragon, era in grado di determinare dal colore e dalla densità del metallo fratturato. «Alcuni pezzi sono troppo duri e altri troppo morbidi» disse. «Ci vorrebbe una seconda cottura, ma non abbiamo tempo. Usiamo solo i pezzi che già vanno bene per una spada. Per i fili della lama serve un acciaio più duro...» e toccò un cumulo di frammenti dalla grana brillante «... perché la parte sia affilata. L'anima della lama invece dovrà essere fatta con un acciaio leggermente più morbido...» e toccò un cumulo di frammenti di una tonalità più grigia, non così luminosa «... perfetto per flettersi e assorbire il colpo. Ma prima di dargli la forma desiderata, il metallo deve essere ancora lavorato, per eliminare le ultime impurità.»

Come? chiese Saphira.

«Lo vedrai fra un momento.»

Rhunön si avviò verso uno dei pali di sostegno del tetto della fucina, sedette a terra appoggiandovi la schiena, incrociò le gambe e chiuse gli occhi, il volto immobile e composto. «Sei pronto, Ammazzaspettri?» chiese.

«Sì» disse Eragon, malgrado un nodo di tensione gli serrasse lo stomaco. Quando le loro menti s'incontrarono, la prima cosa che Eragon percepì furono i bassi accordi che riecheggiavano nell'oscuro, intricato paesaggio dei pensieri di Rhunön. La musica era lenta e posata, intonata su una chiave strana e inquietante che lo irritò. Eragon non era sicuro di che cosa la melodia gli rivelasse sul carattere di Rhunön, ma cominciò a chiedersi se aveva fatto bene a concederle il controllo del proprio corpo. D'altra parte il pensiero di Saphira accovacciata di fianco alla fucina che lo sorvegliava lo tranquillizzò, e alla fine abbassò l'ultima delle difese intorno alla propria coscienza.

Eragon ebbe l'impressione di sentirsi scivolare sulla pelle un pezzo di lana grezza quando Rhunön gli avvolse la mente, insinuandosi nelle zone più intime del suo essere. Tremò al contatto e fu sul punto di ritirarsi, ma poi la voce ruvida dell'elfa risuonò nel suo cranio: Rilassati, Ammazzaspettri, andrà tutto bene.

Sì, Rhunön-elda.

Allora Rhunön cominciò a muovergli le braccia, le gambe, gli fece ruotare la testa e saggiò le altre capacità di movimento del suo corpo. Per quanto fosse strano per Eragon sentire la testa e le membra muoversi senza il suo controllo, fu ancora più strano quando i suoi occhi cominciarono a guizzare da un parte e dall'altra come per volontà propria. Provò un'improvvisa sensazione d'impotenza che lo gettò nel panico. Quando Rhunön lo fece camminare e il suo piede urtò lo spigolo della fucina, Eragon riprese subito il controllo di sé e afferrò il corno dell'incudine per paura di cadere.

Non t'immischiare, lo rimbrottò Rhunön. Se ti cedono i nervi nel momento sbagliato mentre stiamo forgiando, potresti farti molto male. Potresti farmelo tu, se non stai attenta, ribatté Eragon.

Abbi pazienza, Ammazzaspettri. Avrò imparato prima che faccia buio.

Mentre aspettavano che l'ultima luce svanisse dal cielo di velluto, Rhunön preparò la fucina e si esercitò a maneggiare i diversi strumenti. L'impaccio iniziale con il corpo di Eragon presto scomparve, anche se a un certo punto, allungando la mano per prendere un martello, gli fece urtare la punta delle dita contro il bordo del tavolo. Per il dolore a Eragon vennero le lacrime agli occhi. Rhunön si scusò e disse: Hai le braccia più lunghe di me. Qualche minuto dopo, quando stavano per iniziare, commentò: È una fortuna che tu abbia la forza e la velocità di un elfo, Ammazzaspettri, altrimenti non avremmo speranza di finire entro stanotte.

Rhunön prese i pezzi di acciaioluce morbido e duro che aveva deciso di utilizzare e li sistemò nella forgia. Dietro sua richiesta, Saphira scaldò il metallo, schiudendo appena le fauci per sprigionare un sottile getto di fiamme blu e bianche. La ruggente vampa di fuoco illuminò l'intero patio di una potente luce azzurra, che fece scintillare le squame di Saphira di un bagliore accecante.

Quando l'acciaioluce divenne di un rosso incandescente, Rhunön fece prendere a Eragon un paio di tenaglie per toglierlo dal torrente di fiamme. Lo posò sull'incudine e con il martello cominciò a battere rapidamente i blocchi di metallo per appiattirli fino a farli diventare spessi meno di un quarto di pollice. La superficie del metallo arroventato scintillava di pagliuzze incandescenti. Non appena finiva una lastra, Rhunön la faceva cadere in un trogolo di acqua salata lì accanto.

Dopo aver battuto tutto l'acciaioluce, Rhunön estrasse dal trogolo le lastre - Eragon sentì sulle braccia il calore emanato dal liquido - e le strofinò a una a una con un pezzo di arenaria per rimuovere le scaglie nere che si erano formate sulla superficie. La pulizia portò alla luce la struttura cristallina del metallo, che Rhunön studiò con grande interesse. Divise ulteriormente il metallo per durezza e purezza, secondo le qualità mostrate dai cristalli.

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