Volodyk - Paolini3-Brisingr
L'immagine era affascinante. Posò la mano sulla superficie del fairth: avrebbe dato qualsiasi cosa per potervi penetrare e toccarle il braccio.
Mamma.
Oromis disse: «Brom mi ha dato il fairth perché lo custodissi, prima di partire per Carvahall, e ora io lo do a te.»
Senza alzare lo sguardo, Eragon disse: «Puoi continuare a conservarlo per me? Ho paura di romperlo, con tutti i nostri viaggi e combattimenti.»
La pausa che seguì catturò l'attenzione di Eragon. Alzò lo sguardo dal ritratto della madre e notò che Oromis aveva l'aria melanconica e preoccupata. «No, Eragon, non posso. Dovrai trovare un modo per portare il fairth con te.»
Perché? avrebbe voluto chiedere Eragon, ma la tristezza negli occhi di Oromis lo dissuase.
Poi il vecchio elfo disse: «Non potrai restare qui a lungo, e abbiamo ancora molte cose di cui discutere. Devo indovinare di quale argomento vuoi parlare adesso, o me lo dici?»
A malincuore, Eragon posò il fairth sul tavolo a faccia in giù. «Tutte e due le volte che ci siamo battuti con Murtagh e Castigo, Murtagh si è mostrato molto più potente di quanto dovrebbe essere un qualsiasi umano. Sulle Pianure Ardenti ci ha sconfitti perché io e Saphira non ci eravamo resi conto della sua forza. Se il suo cuore non avesse ceduto per quel breve istante, a quest'ora saremmo prigionieri a Urû'baen. Una volta mi hai detto che sai come Galbatorix è diventato tanto potente. Vuoi dircelo adesso, maestro? Per la nostra sicurezza, dobbiamo saperlo.»
«Non spetta a me dirvelo» rispose Oromis.
«E allora a chi?» domandò Eragon. «Non puoi...»
Alle spalle di Oromis, Glaedr aprì uno dei suoi liquidi occhi profondi, largo quanto uno scudo rotondo, e disse: A me. La fonte del potere di Galbatorix risiede nei cuori dei draghi. Da noi ruba la sua forza. Senza il nostro aiuto, Galbatorix sarebbe stato sconfitto dagli elfi e dai Varden tanto tempo fa.
Eragon corrugò la fronte. «Non capisco. Perché mai aiutereste Galbatorix? E come potreste? Ci sono soltanto quattro draghi e un uovo in Alagaësia... o no?»
Molti dei draghi i cui corpi furono uccisi da Galbatorix e dai Rinnegati oggi sono ancora vivi.
«Ancora vivi...?» Sbigottito, Eragon scoccò un'occhiata a Oromis, ma l'elfo rimase in silenzio, il volto imperscrutabile. Ancora più sconcertante era il fatto che Saphira non sembrava condividere la sua confusione.
Il drago dorato appoggiò la testa sulle zampe per guardarlo meglio; le squame sfregarono l'una sull'altra. A differenza delle maggior parte delle creature, disse, la coscienza di un drago non risiede solo nel suo cranio. Nel nostro petto si trova un oggetto duro come una pietra preziosa, simile per composizione alle nostre squame, chiamato Eldunarí, che significa "il cuore dei cuori". Quando un drago nasce, il suo Eldunarí è vuoto e opaco. Di solito resta così per tutta la vita del drago e si dissolve insieme a lui quando muore. Tuttavia, se vogliamo, possiamo trasferire la nostra coscienza nell'Eldunarí. Allora esso acquista lo stesso colore delle nostre squame e comincia a risplendere come brace. In tal caso, l'Eldunarí supererà il decadimento della carne e l'essenza del drago potrà continuare a vivere all'infinito. Un drago può anche liberare il suo Eldunarí mentre è ancora in vita. Così facendo, il corpo di un drago e la sua coscienza possono esistere separatamente pur restando legati. Questo si rivela molto utile in determinate circostanze, ma ci espone anche a un grosso pericolo, perché chiunque possieda il nostro Eldunarí possiede anche la nostra anima, e può obbligarci a fare il suo volere, comprese le cose più terribili.
Le implicazioni delle parole di Glaedr sbalordirono Eragon. Spostando lo sguardo su Saphira, le domandò: Lo sapevi già?
Le squame del collo ondeggiarono quando la dragonessa fece uno strano movimento serpentino con la testa. Sono sempre stata consapevole del mio cuore dei cuori. L'ho sempre sentito dentro di me, ma non ho mai pensato di parlartene.
E perché no, dato che è così importante?
Ti verrebbe mai in mente di dire che possiedi uno stomaco, Eragon? O un cuore, o un fegato, o qualsiasi altro organo? Il mio Eldunarí è parte integrante del mio essere. Non ho mai considerato la sua esistenza degna di nota... almeno non fino a quando siamo venuti l'ultima volta a Ellesméra.
Allora sapevi tutto!
Sapevo qualcosa. Glaedr mi aveva accennato al fatto che il mio cuore dei cuori era molto più importante di quanto immaginassi, e mi avvertì di proteggerlo, per evitare di consegnarmi per sbaglio nelle mani dei nostri nemici. Più di questo non mi ha spiegato, ma da allora ho dedotto gran parte di quello che adesso ci ha rivelato.
Però hai continuato a pensare che non valesse la pena parlarmene? domandò Eragon.
Io volevo parlartene, ruggì lei, ma come per Brom, Glaedr mi chiese di giurare che non ne avrei parlato con nessuno, nemmeno con te.
E tu accettasti?
Mi fido di Glaedr e mi fido di Oromis. Perché, tu no?
Eragon si accigliò e si voltò verso l'elfo e il drago dorato. «Perché non ce lo avete svelato prima?»
Stappando il fiasco di vino, Oromis si riempì di nuovo il calice e disse: «Per proteggere Saphira.»
«Proteggerla? Da cosa?»
Da te, disse Glaedr. Eragon fu così stupito e offeso da non riuscire a protestare prima che Glaedr proseguisse. Allo stato selvatico, un drago veniva informato del suo Eldunarí da uno degli anziani quando era grande abbastanza da capirne l'uso. In questo modo, un drago non avrebbe infuso tutto se stesso nel suo cuore dei cuori senza comprendere l'enorme entità del suo gesto. All'epoca dei Cavalieri si diffuse una diversa consuetudine. I primi anni di collaborazione fra un drago e un Cavaliere sono fondamentali per creare un sano rapporto fra i due, e i Cavalieri scoprirono che era meglio aspettare che i nuovi Cavalieri e draghi si conoscessero bene prima d'informarli dell'Eldunarí. Altrimenti, nella sventata follia della giovinezza, un drago avrebbe potuto decidere di liberare il suo cuore dei cuori solo per affascinare o impressionare il proprio Cavaliere. Quando noi rinunciamo al nostro Eldunarí, rinunciamo all'incarnazione fisica del nostro stesso essere. E non possiamo rimetterlo al suo posto, nel nostro corpo, una volta che ne è uscito. Un drago non dovrebbe prendere alla leggera la separazione dalla propria coscienza, perché cambierà il modo in cui vivrà il resto della sua vita. Anche se dovesse durare per altri mille anni.
«Tu hai ancora dentro di te il tuo cuore dei cuori?» chiese Eragon.
L'erba intorno al tavolo si curvò sotto il getto d'aria bollente che eruttò dalle narici di Glaedr. Non dovresti fare questa domanda a nessun drago, se non a Saphira. Non farmela mai più, cucciolo d'uomo.
Sebbene il rimbrotto di Glaedr lo avesse fatto avvampare, Eragon ebbe la prontezza di rispondere come si conveniva, con un inchino della testa e le parole: «No, maestro.» Poi chiese: «Che cosa succede se l'Eldunarí si rompe?»
Se un drago ha già trasferito la propria coscienza nel suo cuore dei cuori, allora morirà di vera morte. Glaedr batté le ciglia con un sonoro schiocco, le palpebre che si aprirono e si chiusero rapidamente sull'iride screziata. Prima del nostro patto con gli elfi, tenevamo i nostri cuori nelle Du Fells Nàngoröth, le montagne al centro del deserto di Hadarac. Poi, dopo che i Cavalieri si furono stabiliti sull'isola di Vroengard ed ebbero costruito un deposito per gli Eldunarí, sia i draghi selvatici che i draghi con un Cavaliere affidarono i loro cuori ai Cavalieri perché li custodissero.
«Fu così dunque» disse Eragon «che Galbatorix s'impossessò degli Eldunarí?»
Contrariamente a quanto si aspettava, fu Oromis a rispondere. «Sì, ma non tutti. Era passato così tanto tempo da quando qualcuno aveva minacciato i Cavalieri che molti del nostro ordine avevano smesso di preoccuparsi di proteggere gli Eldunarí. All'epoca in cui Galbatorix si ribellò contro di noi, era abbastanza comune che il drago di un Cavaliere liberasse il proprio Eldunarí per pura praticità.»
«Praticità?»
Chiunque abbia uno dei nostri cuori, disse Glaedr, può comunicare con il drago cui appartiene, per quanto lontani siano. Tutta Alagaësia potrebbe separare un drago da un Cavaliere, e tuttavia se il Cavaliere ha con sé l'Eldunarí del drago, i due possono condividere i pensieri con la stessa facilità con cui comunicate tu e Saphira adesso.
«Inoltre» intervenne Oromis «un mago che possiede un Eldunarí può attingere alla forza del drago per arricchire i suoi incantesimi, ovunque si trovi quel drago. Quando...»
Un colibrì dai colori brillanti interruppe la conversazione sfrecciando sul tavolo. Con le ali velocissime che sembravano un'unica macchia pulsante, l'uccello si librò sulle scodelle di frutta e bevve avidamente il succo di un mirtillo schiacciato, poi si alzò in volo di scatto e scomparve fra i tronchi della foresta.
Oromis riprese a parlare. «Quando Galbatorix uccise il suo primo Cavaliere, rubò anche il cuore del suo drago. Nel corso degli anni in cui Galbatorix si diede alla macchia, spezzò la mente del drago e la piegò al suo volere, probabilmente con l'aiuto di Durza. E quando Galbatorix diede inizio alla vera insurrezione, con Morzan al suo fianco, era già più forte della maggior parte degli altri Cavalieri. La sua forza non era soltanto magica, ma anche mentale, perché la forza della coscienza dell'Eldunarí aumentava la sua.
«Galbatorix non cercò solo di uccidere i Cavalieri e i draghi. Il suo scopo era d'impossessarsi del maggior numero possibile di Eldunarí, o rubandoli ai Cavalieri, o torturando un Cavaliere finché il suo drago non cedeva il proprio cuore dei cuori. Quando ci rendemmo conto di quello che stava facendo, ormai era diventato troppo potente per fermarlo. Galbatorix fu aiutato dal fatto che molti Cavalieri viaggiavano non solo con l'Eldunarí del proprio drago, ma anche con gli Eldunarí di draghi il cui corpo non esisteva più, perché spesso si erano stancati di starsene rinchiusi in un deposito e desideravano l'avventura. E naturalmente, quando saccheggiò insieme ai Rinnegati la città di Doru Araeba, sull'isola di Vroengard, Galbatorix s'impossessò dell'intera collezione di Eldunarí lì custoditi.
«Galbatorix è riuscito ad arrivare dov'è oggi usando contro l'intera Alagaësia il potere e la saggezza dei draghi. All'inizio riusciva a controllare soltanto alcuni degli Eldunarí che aveva catturato. Non è facile sottomettere un drago, per quanto tu sia potente. Non appena Galbatorix sconfisse i Cavalieri e s'insediò sul trono di Urû'baen, si dedicò alla sottomissione del resto dei cuori, uno dopo l'altro.
«Riteniamo che il compito lo tenne occupato per i successivi quarant'anni, durante i quali si disinteressò agli affari di Alagaësia. È questo il motivo per cui il Surda riuscì a staccarsi dall'Impero. Quando ebbe finito, Galbatorix uscì dalla sua reclusione per riprendere il controllo dell'Impero e dei territori confinanti. Per chissà quale ragione, dopo due anni e mezzo di massacri e devastazioni si ritirò di nuovo a Urû'baen, e da allora lì è rimasto, concentrato su un progetto noto soltanto a lui. Sono molti i suoi vizi, ma non spreca il suo tempo nella dissolutezza. Questo è quanto le spie dei Varden hanno scoperto. Di più non sappiamo.»
Assorto nei suoi pensieri, Eragon guardava lontano. Finalmente tutte le storie che aveva sentito sul potere innaturale di Galbatorix acquistavano un senso. Si sentì rianimare da un lieve ottimismo, mentre diceva tra sé e sé: Non so come, ma se riuscissimo a sottrarre gli Eldunarí al suo controllo, Galbatorix non avrebbe più potere di un qualsiasi Cavaliere dei Draghi. Anche se era una piccola speranza, fu rincuorato dalla scoperta che il re aveva un punto debole, per quanto minimo.
Mentre continuava a riflettere, gli venne in mente un'altra domanda. «Perché nelle storie antiche non ho mai sentito parlare dei cuori dei draghi? I bardi e gli studiosi ne parlerebbero, se fossero così importanti.»
Oromis posò una mano sul tavolo e disse: «Di tutti i segreti di Alagaësia, quello degli Eldunarí è uno dei meglio custoditi, perfino fra la mia stessa gente. Da sempre i draghi hanno lottato per nascondere i loro cuori al resto del mondo. Ne rivelarono l'esistenza solo dopo il magico patto stretto fra le nostre due razze, e anche allora soltanto a pochi prescelti.»
«Ma perché?»
Ah, disse Glaedr, non ci piaceva il fatto di dover avere dei segreti, ma se l'esistenza degli Eldunarí fosse diventata di dominio pubblico, qualsiasi farabutto avrebbe tentato di rubarne uno e alla fine qualcuno ci sarebbe riuscito. Era un'eventualità da scongiurare a tutti i costi.
«C'è un modo in cui un drago si può difendere attraverso il proprio Eldunarí?» domandò Eragon.
L'occhio di Glaedr scintillò più del solito. Una domanda pertinente. Un drago che ha rigettato l'Eldunarí, ma che ha il corpo ancora vivo, può difendere il suo cuore con gli artigli e le zanne e la coda e le ali. Un drago il cui corpo e morto, ovviamente non ha mezzi per difenderlo. La sua unica arma e l'arma della mente e forse, se è il momento giusto, l'arma della magia, che però non sappiamo comandare a nostro piacimento. Questa è una delle ragioni per cui molti draghi scelsero di non prolungare la propria esistenza dopo la morte della carne. Non essere capace di muoverti quando vuoi, non poter percepire il mondo che ti circonda se non attraverso le menti degli altri, ed essere in grado di influenzare il corso degli eventi soltanto con i pensieri o con rari e imprevedibili lampi di magia... sarebbe un'esistenza difficile per qualunque creatura, ma lo è soprattutto per i draghi, che sono le più libere fra tutte le creature.
«Ma allora perché lo hanno fatto?» chiese Eragon.
A volte è successo per caso. Quando sentiva che il corpo stava per abbandonarlo, un drago poteva farsi prendere dal terrore e cercare rifugio nel suo Eldunarí. Oppure, quando un drago aveva espulso il proprio cuore prima di morire, non poteva far altro che continuare a esistere. Ma nella maggior parte dei casi i draghi che scelsero di vivere nel loro Eldunarí erano quelli vecchi oltre misura, persino più vecchi di quanto siamo io e Oromis adesso, tanto vecchi che la carne aveva smesso di avere importanza per loro e si erano chiusi in se stessi nella speranza di trascorrere il resto dell'eternità a riflettere su problemi che i più giovani non potevano comprendere. Noi onoravamo e tenevamo in gran conto i cuori dei cuori di quei draghi per la loro enorme saggezza e intelligenza. Era comune per i draghi selvatici e i draghi dei Cavalieri, come anche per i Cavalieri stessi, chiedere loro consiglio su questioni importanti. Che Galbatorix li abbia resi schiavi è un atto crudele e malvagio oltre ogni immaginazione.