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Volodyk - Paolini3-Brisingr

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Eragon indicò la banda grigia. «È la prima volta che mi capita di vederne una. Cos'è?»

«Il thriknzdal» rispose Fredric. «L'hanno inventato i nani. Temprano il profilo e la spina separatamente. Il filo è resistentissimo, più di tutte le nostre lame messe insieme. Il centro della spada e il dorso poi li ritemprano, così che il retro del falcione sia più morbido, abbastanza da piegarsi e flettersi e sopportare l'impatto dei colpi senza rompersi come una lima ghiacciata.»

«Tutte le spade dei nani sono così?»

Fredric scosse la testa. «Solo quelle a lama singola e le più belle a lama doppia.» Esitò, e il suo sguardo tradì incertezza. «Capisci perché ho scelto questa spada per te, vero, Ammazzaspettri?»

Sì, Eragon lo capiva. Con la lama alla giusta angolazione rispetto al terreno, a meno che non decidesse di proposito di inclinare il polso, ogni colpo dell'avversario avrebbe colpito il lato piatto, risparmiando così il profilo per il contrattacco. Per brandire il falcione nel giusto modo occorreva modificare appena la sua tecnica di combattimento.

Uscì dalla tenda e si mise in posizione. Fece roteare il falcione sopra la testa, lo abbatté sull'elmo di un nemico immaginario, si volse e fece un affondo, schivò una lancia invisibile, compì un balzo di sei iarde a sinistra, una mossa abile ma poco pratica, poi si passò l'arma dietro la schiena, spostandola da una mano all'altra. Con il respiro e il battito del cuore più regolari che mai, tornò da Fredric e Blödhgarm, che lo stavano aspettando. Era colpito dalla rapidità e dall'equilibrio del falcione. Niente a che vedere con Zar'roc, certo; ma comunque era una spada superba.

«Ottima scelta» dichiarò.

Fredric tuttavia colse in lui una certa reticenza e infatti rispose: «Però non sei del tutto soddisfatto, Ammazzaspettri.»

Eragon fece roteare il falcione, poi abbozzò una smorfia. «Vorrei solo non somigliasse tanto a un coltellaccio per scuoiare gli animali. Mi sento un po' ridicolo.»

«Ah, se i tuoi amici rideranno di te non badarci. Dopo che avrai mozzato loro la testa, non lo faranno più, vedrai.»

Divertito, Eragon annuì. «Lo prendo.»

«Un momento, allora» disse Fredric, e scomparve nel padiglione, poi tornò con un fodero decorato di ghirigori d'argento. Glielo consegnò e gli chiese: «Sei capace di affilare una spada, Ammazzaspettri? Con Zar'roc non ce n'era bisogno, vero?»

«No» ammise Eragon, «ma con la cote ci so fare. So affilare un coltello finché non è così aguzzo da spaccare un capello in due. E posso sempre usare la magia, se necessario.»

Fredric grugnì e si diede una pacca sulle cosce, facendo cadere dai gambali una dozzina di peli di bue. «No, no, una spada con il profilo affilato come un rasoio è da evitare. La smussatura deve essere spessa e resistente. Un guerriero si deve occupare al meglio del proprio equipaggiamento, compreso affilare la spada!»

Poi insisté per procurargli una nuova cote e, seduto per terra accanto al padiglione, gli mostrò come ottenere un filo adatto alla battaglia. Quando fu soddisfatto dei progressi di Eragon, disse: «Puoi combattere con un'armatura arrugginita e con l'elmo ammaccato, ma se vuoi veder sorgere il sole l'indomani, non combattere mai con una spada poco affilata. Se sei sopravvissuto a una battaglia e sei stanco come se avessi appena scalato i Monti Beor e la tua spada non è affilata quanto questa, non importa se ti senti male: appena ne hai la possibilità fermati, prendi la cote e affilala. La tua spada viene prima di ogni altra cosa; proprio come ti prenderesti cura del tuo cavallo o di Saphira prima di dedicarti a te stesso. Perché senza di essa per i tuoi nemici non sei altro che una facile preda.»

Quando il maestro d'armi ebbe finito di dare a Eragon tutte le istruzioni del caso, ormai erano seduti al sole del tardo pomeriggio da più di un'ora. Un'ombra fresca fluttuò sopra di loro, poi Saphira atterrò lì vicino.

Hai aspettato, le disse Eragon. Hai aspettato di proposito! Avresti potuto salvarmi secoli fa, invece mi hai lasciato qui ad ascoltare Fredric blaterare di pietre d'acqua e coti, e spiegarmi se l'olio di semi di lino è meglio del grasso fuso per proteggere il metallo dall'acqua.

Ed è davvero meglio?

Assolutamente no, solo puzza meno. Ma non ha importanza! Perché mi hai abbandonato a questo supplizio?

Saphira gli strizzò l'occhio con indolenza. Non esagerare. Supplizio? Se non ci prepariamo a dovere, io e te dovremo affrontare supplizi ben più gravi. Mi sembrava importante che ascoltassi ciò che aveva da dire quell'uomo dai vestiti maleodoranti.

Be', forse sì, ammise Eragon. La dragonessa inarcò il collo e si leccò gli artigli della zampa destra.

Dopo aver ringraziato Fredric ed essersi congedato da lui, Eragon si accordò con Blödhgarm per incontrarsi più tardi, legò il falcione alla cintura di Beloth il Savio e si arrampicò sul dorso di Saphira. Lanciò un grido e la dragonessa ruggì mentre batteva le ali e saliva in cielo.

A Eragon vennero le vertigini, così si aggrappò alla punta cervicale e osservò le persone e le tende sotto di loro rimpicciolire fino a ridursi a versioni piatte e minuscole di se stesse. Dall'alto l'accampamento era una griglia di piramidi grigie con la facciata rivolta a est in ombra: sembrava una scacchiera. Le fortificazioni che correvano lungo tutto il perimetro spuntavano dal terreno come gli aculei di un istrice e le punte bianche dei pali in lontananza splendevano alla luce obliqua del sole. La cavalleria di re Orrin era una brulicante massa di puntini nel quadrante a nord-ovest. A est, invece, c'erano le tende degli Urgali, basse e scure sul pianoro ondulato.

Salirono ancora più su.

L'aria pura e gelida gli pungeva le guance e gli bruciava nei polmoni. Eragon inspirava solo a piccole boccate. Accanto a loro fluttuava una densa colonna di nubi, che sembravano solide come panna montata. Saphira le girò tutt'intorno a spirale; la sua ombra frastagliata sfrecciò fino alla punta della colonna. Quando passarono vicino alla nuvola, la condensa accecò Eragon per qualche istante, riempiendogli il naso e la bocca di fredde goccioline. Lui trattenne il fiato e si asciugò il viso.

Oltrepassarono anche le nubi.

Un'aquila rossa li superò, gridando.

Saphira cominciò a sentirsi affaticata, e a Eragon girava la testa. La dragonessa cessò di battere le ali e sfruttò una corrente ascensionale dopo l'altra, mantenendo un'altitudine costante.

Eragon guardò giù. Erano così in alto che ormai un centinaio di piedi in più o in meno non avrebbero fatto differenza: le cose sulla terra non sembravano più nemmeno vere. L'accampamento dei Varden era una scacchiera dalla forma irregolare suddivisa in minuscoli rettangoli grigi e neri. Il fiume Jiet era una corda d'argento contornata di tasselli verdi. A sud, le nubi sulfuree che si levavano dalle Pianure Ardenti formavano una catena di scintillanti montagne arancio, dimora di oscuri mostri che apparivano e scomparivano. Eragon distolse lo sguardo in fretta.

Per forse mezz'ora si librarono sospinti dal vento, godendo in piena tranquillità del conforto silenzioso della reciproca compagnia. Eragon pronunciò a mente un incantesimo per isolarsi dal freddo. Finalmente erano da soli, loro due insieme, come nella Valle Palancar prima che l'Impero si intromettesse nelle loro vite.

Saphira fu la prima a parlare. Siamo i padroni del cielo.

Sì, siamo sul tetto del mondo. Eragon alzò un braccio, come se potesse sfiorare le stelle.

Virando a sinistra, Saphira intercettò una folata d'aria più calda che proveniva dal basso, poi si riportò in orizzontale. Domani unirai in matrimonio Roran e Katrina.

Che strano. È strano che Roran si sposi e ancora più strano che sia io a officiare la cerimonia... Roran sposato. Se ci penso, mi sento più vecchio. Nemmeno noi, che fino a poco tempo fa eravamo due ragazzi, possiamo sfuggire all'inesorabile avanzare del tempo. Le generazioni passano e presto toccherà a noi mandare i nostri figli a coltivare la terra.

Solo se riusciremo a sopravvivere ai prossimi mesi.

Già, hai ragione.

Investita da una turbolenza, Saphira ondeggiò. Poi si rivolse di nuovo a Eragon e gli chiese: Pronto?

Vai!

Sporgendosi in avanti, la dragonessa ripiegò le ali lungo i fianchi e si lanciò in picchiata verso terra, più veloce di una rapidissima freccia. Via via che la gravità svaniva, Eragon rideva sempre più forte. Si tenne saldo con le gambe per evitare di cadere, poi, in uno slancio sconsiderato, lasciò andare la punta cervicale e alzò le mani sopra la testa. La terra sotto di loro girava come una ruota mentre Saphira perforava l'aria. Poi la dragonessa rallentò, si volse sul fianco destro e si lanciò in picchiata a testa in giù.

«Saphira!» gridò Eragon, battendole sulla spalla.

Dalle narici le uscì un nastro di fumo, poi la dragonessa si raddrizzò e di nuovo puntò dritto verso la terra, che si avvicinava velocemente. A Eragon si tapparono le orecchie, e prese a deglutire via via che la pressione aumentava. A meno di mille piedi dall'accampamento dei Varden, pochi secondi prima di schiantarsi contro le tende e scavare un cratere ampio e sanguinolento, Saphira dispiegò le ali e lasciò che il vento le gonfiasse. Il sussulto scagliò Eragon in avanti, e la punta cervicale a cui si era aggrappato per poco non gli trafisse un occhio.

Dopo tre poderosi battiti d'ali, Saphira rimase immobile. Tenendo le ali dispiegate, cominciò poi a scendere con dolcezza, volando in circolo.

È stato fantastico! esclamò Eragon.

Non esiste un passatempo più eccitante del volo, perché se sbagli sei morto.

Ah, ma io ho piena fiducia nelle tue capacità; non ci faresti mai spiaccicare a terra. Al complimento, la dragonessa irradiò un immenso piacere.

Virando verso la tenda di Eragon, Saphira scosse la testa, facendolo tremare tutto, poi disse: Ormai dovrei essermi abituata a te, ma ogni volta che mi tuffo così, alla fine il petto e le ali mi fanno tanto male che il mattino dopo riesco a stento a muovermi.

Eragon la accarezzò. Be', domani non devi volare. Non abbiamo altri impegni oltre al matrimonio, e puoi venirci a piedi. Saphira grugnì e atterrò in mezzo a una nuvola di polvere, abbattendo una tenda vuota.

Eragon smontò e la lasciò a riassettarsi in compagnia di sei elfi, mentre lui corse con gli altri sei per l'accampamento finché non trovò Gertrude la guaritrice, che gli insegnò il rito che avrebbe dovuto pronunciare l'indomani alle nozze. Si esercitò insieme a lei, così da evitare errori imbarazzanti.

Poi tornò nella sua tenda, si sciacquò la faccia e si cambiò d'abito prima di andare a cena insieme a Saphira da re Orrin e dalla sua corte, come promesso.

A tarda sera, quando la festa fu terminata, tornarono alla tenda, ammirando le stelle e parlando di ciò che era successo e di ciò che sarebbe accaduto in futuro. Ed erano felici. Arrivati a destinazione, Eragon si fermò, alzò la testa e guardò Saphira: il suo cuore era così colmo d'amore che pensava che avrebbe smesso di battere.

Buonanotte, Saphira.

Buonanotte, piccolo mio.

OSPITI INATTESI

L'indomani mattina Eragon prese posto sul retro della sua tenda, si tolse gli strati di abiti più pesanti e cominciò a eseguire le pose del secondo livello della Rimgar, la serie di esercizi inventati dagli elfi. Ben presto non sentì più freddo. Anzi, cominciò ad ansimare per lo sforzo e si ritrovò con il corpo madido di sudore; quando si contorceva in una posizione, era così difficile tenersi in equilibrio su mani e piedi che aveva la sensazione che i muscoli gli si sarebbero strappati dalle ossa.

Un'ora dopo terminò la Rimgar. Si asciugò le mani nella stoffa della tenda, prese il falcione e si esercitò nella scherma per altri trenta minuti. Avrebbe preferito continuare a impratichirsi con l'arma per il resto della giornata, perché sapeva che la sua vita dipendeva dall'abilità con cui sapeva usarla, ma il matrimonio di Roran era imminente e agli abitanti del villaggio serviva tutto l'aiuto possibile per terminare in tempo i preparativi.

Dopo essersi riposato un po', fece un bagno nell'acqua fredda e si vestì, poi si incamminò insieme a Saphira verso le cucine, dove Elain vegliava sulla preparazione delle pietanze per il ricevimento. Blödhgarm e i suoi compagni li seguivano a una dozzina di iarde di distanza, scivolando agili tra le tende.

«Ah, bene, Eragon» gli disse Elain. «Speravo proprio che venissi.» Era in piedi, con le mani premute sulla parte bassa della schiena per alleviare il peso della gravidanza. Gli indicò con un cenno del capo una fila di spiedi e calderoni sospesi sopra un letto di braci, un gruppo di uomini che stavano macellando un maiale, dei forni di fortuna costruiti con pietra e fango e una pila di barilotti: al di là c'era una fila di assi appoggiate su ceppi di legno che sei donne stavano usando come piano di lavoro. Poi aggiunse: «Ci sono ancora venti pagnotte da impastare. Te ne puoi occupare tu, per favore?» Tuttavia si accigliò quando gli vide i calli sulle nocche. «Cerca di non far finire anche quelli nell'impasto, d'accordo?»

Quando Eragon prese posto tra loro, le sei donne, tra cui Felda e Birgit, ammutolirono. I suoi pochi tentativi di ravvivare la conversazione fallirono, ma dopo un po', quando ormai aveva rinunciato a farle sentire a loro agio e si stava concentrando sulla pasta, ripresero a parlare spontaneamente. Discussero di Roran e Katrina, di quanto erano fortunati, della vita all'accampamento e del viaggio che avevano intrapreso per arrivare fin lì; poi, senza tanti preamboli, Felda guardò Eragon e gli disse: «L'impasto mi sembra un po' troppo molle. Non è il caso di aggiungere un po' di farina?»

Eragon ne verificò la consistenza. «Sì, hai ragione. Grazie.» Felda sorrise, e da lì in poi le donne lo coinvolsero nelle loro chiacchiere.

Mentre Eragon impastava, Saphira si crogiolava al sole in un praticello vicino. I bambini di Carvahall giocavano addosso a lei e nelle vicinanze; risa acute punteggiavano il mormorio più profondo delle voci degli adulti. Quando un paio di cani rognosi cominciarono ad abbaiarle contro, la dragonessa alzò la testa e grugnì, e i due animali corsero via tra i guaiti.

Eragon si guardò intorno: conosceva tutti, era cresciuto insieme a quelle persone. Horst e Fisk erano dalla parte opposta degli spiedi a costruire tavoli per la festa. Kiselt si sciacquava gli avambracci sporchi di sangue. Albriech, Baldor, Mandel e molti altri ragazzi trasportavano pali decorati con nastri verso la collina dove Roran e Katrina si sarebbero sposati. Morn il taverniere preparava da bere e sua moglie Tara lo aiutava reggendo tre caraffe e un barile. A poche centinaia di piedi di distanza, Roran gridava qualcosa a un uomo che cercava in tutti i modi di far voltare il suo mulo carico. Loring, Delwin e il piccolo Nolfavrell erano radunati nei paraggi a guardare. Con una sonora imprecazione, Roran afferrò il mulo per i finimenti e si affannò a farlo girare su se stesso. Quella scena divertì Eragon; non immaginava che il cugino potesse scaldarsi tanto né perdere le staffe così in fretta.

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