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Volodyk - Paolini1-Eragon.doc

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Passò in fretta una settimana. Le capacità di Eragon erano rudimentali, ma sapeva leggere intere pagine senza chiedere l'aiuto di Brom. Leggeva adagio, certo che col tempo sarebbe andato più veloce. Brom lo incoraggiava. «Non importa, andrà benissimo per quello che ho in mente.» Era pomeriggio quando Brom convocò Jeod ed Eragon nello studio. Brom fece un cenno al ragazzo. «Ora che sei in grado di aiutarci, è tempo di agire.»

«Qual è il tuo piano?» domandò Eragon.

Sul volto di Brom si dipinse un sorriso feroce. Jeod gemette. «Conosco quello sguardo: significa guai.»

«Andiamo, non esagerare» disse Brom. «D'accordo, ecco cosa faremo...»

Partiremo stanotte, o al più tardi domattina , disse Eragon a Saphira dalla sua stanza. Non me l'aspettavo. Sei sicuro che non ti succederà niente?

Eragon si strinse nelle spalle. Non lo so. Magari finiremo per fuggire da Teirm con i soldati alle calcagna. Avvertì la preoccupazione della dragonessa e cercò di rassicurarla. Andrà tutto, bene. Brom e io sappiamo usare la magia, e siamo dei bravi combattenti.

Si distese sul letto a fissare il soffitto. Gli tremavano le mani e aveva un nodo in gola. Mentre il sonno lo coglieva, si sentì pervadere da una profonda confusione. Non voglio lasciare Teirm, si scoprì a pensare. Il periodo che ho trascorso qui è stato... quasi normale. Che cosa non darei per mettere di nuovo radici, restare qui e vivere come tutti gli altri. Poi un altro pensiero lo colse. Ma non posso, se voglio, restare con Saphira. Non posso.

La sua coscienza fu invasa dai sogni, che la guidarono a proprio capriccio A volte Eragon gridò di paura; altre rise di gusto. Poi qualcosa cambiò, come se avesse aperto gli occhi, e fece il sogno più vivido che gli fosse mai capitato.

Vide una giovane donna, sofferente, incatenata in una cella fredda e buia. Un raggio di luna filtrò fra le sbarre di un'alta finestrella e le illuminò il viso. Una lacrima, una sola, le cadde lungo la guancia come un diamante liquido.

Eragon si svegliò di soprassalto e si scoprì scosso da violenti singhiozzi. Poi ricadde in un sonno tormentato.

LADRI AL CASTELLO

E

ragon si svegliò in un bagno di luce dorata. I raggi rossi e arancio del sole morente entravano nella stanza, inondando il letto di un dolce tepore. Non aveva alcuna voglia di muoversi e rimase in un quieto dormiveglia finché la luce non si ritrasse, e lui sentì freddo.

Il sole si tuffò oltre l'orizzonte, dipingendo il mare e il cielo di colori stupefacenti. È quasi l'ora! Si alzò e indossò il farsetto sulla camicia, annodando bene i lacci. Poi si mise l'arco e la faretra a tracolla, ma lasciò Zar'roc nella camera: la spada lo avrebbe impacciato, e ancora non si sentiva pronto a usarla. Se doveva bloccare qualcuno, preferiva farlo con la magia o una freccia. Attese impaziente nella sua camera finché la luce non svanì. Scrollò le spalle per far aderire meglio la faretra alla schiena e uscì nel corridoio, dove lo raggiunse Brom, armato di spada e bastone. Jeod, giubba nera e calzoni al ginocchio, li aspettava fuori. Alla cintura portava un elegante stocco e una bisaccia di pelle. Brom adocchiò lo stocco e osservò: «Quel pungolo è troppo sottile per un vero duello. Che cosa farai se qualcuno ti insegue con uno spadone o una flamberga?» «Sii realistico» disse Jeod. «Nessuna delle guardie ha una flamberga. Per giunta, questo pungolo è molto più veloce di uno spadone.»

Brom alzò le spalle. «Il collo è tuo...»

S'incamminarono con fare disinvolto, cercando di evitare soldati e sentinelle. Eragon era teso e il cuore gli batteva all'impazzata. Quando passarono davanti al negozio di Angela, con la coda dell'occhio colse un rapido movimento sul tetto. Si volse, ma non vide.nessuno. La mano gli formicolava. Alzò di nuovo lo sguardo, ma il tetto era deserto.

Brom li condusse lungo la muraglia esterna di Teirm. Il tempo di raggiungere il castello, e il cielo si era fatto nero. A Eragon le mura invalicabili della fortezza diedero i brividi. Sarebbe stato orribile venire rinchiusi lì dentro. Jeod si pose alla testa del gruppo e si avvicinò al cancello, sforzandosi di avere un'aria tranquilla. Bussò forte e aspettò.

Si aprì una piccola griglia da cui si affacciò una guardia dall'espressione arcigna. «Sì?» grugnì soltanto, Eragon sentì una zaffata di rum.

«Dobbiamo entrare» disse Jeod.

La guardia squadrò meglio Jeod. «Perrrché?»

«Il ragazzo ha lasciato una cosa importante nel mio studio, e devo recuperarla subito.» Eragon chinò il capo con aria contrita.

La guardia aggrottò la fronte, chiaramente smaniosa di tornare alla sua bottiglia. «Ah, scerto» biascicò, gesticolando. «Ma dategli una bella sciuonata da parrrte mia.»

«Lo farò» disse Jeod, mentre la guardia apriva una piccola porta ritagliata nel cancello. Entrarono nel maschio, e Brom lanciò alla guardia qualche moneta.

«Grascie» borbottò l'uomo, allontanandosi con passo malfermo. Non appena se ne fu andato, Eragon sfilò l'arco dalla custodia e lo incordò. Jeod li guidò in fretta verso l'ala principale del castello, le orecchie pronte a cogliere il minimo rumore di soldati di pattuglia. Davanti alla sala dei registri. Brom provò ad aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Appoggiò la mano sulla porta e mormorò una parola che Eragon non riconobbe. La porta si schiuse con un lieve scatto metallico. Brom afferrò una torcia dalla parete e i tre entrarono, richiudendosi la porta alle spalle. Si ritrovarono in una stanza quadrata gremita di file di scaffali pieni di rotoli di pergamena. Sulla parete di fondo c'era una finestra con le sbarre. Jeod si addentrò nella foresta di scaffali, facendo scorrere lo sguardo sulle pergamene. «Quaggiù» chiamò gli altri. «Questi sono i registri degli ultimi cinque anni. Si può risalire alla data dal sigillo di ceralacca nell'angolo.»

«E adesso che cosa facciamo?» disse Eragon, sollevato di essere arrivato fino a lì senza che li avessero scoperti.

«Cominciamo dall'alto e scendiamo» disse Jeod. «Alcuni registri contengono solo le entrate provenienti dalle tasse. Possiamo ignorarli. Cerca qualunque cosa che menzioni l'olio di Seithr.» Estrasse dalla bisaccia un pezzo di pergamena, una bottiglietta di inchiostro e una penna. «Così possiamo annotare quello che troviamo» spiegò.Brom raccolse una bracciata di pergamene dalla cima dello scaffale e le depose a terra. Si sedette e cominciò a srotolare la prima. Eragon si unì a lui, prendendo una posizione che gli consentisse di controllare la porta. Il noioso lavoro si rivelò particolarmente complicato per lui: la scrittura minuta era diversa dalle lettere che Brom gli aveva insegnato.

Cercando solo i nomi delle navi che battevano le aree settentrionali, riuscirono a eliminare diversi rotoli. Ma anche in quel modo procedevano a rilento, annotando ogni spedizione di olio di Seithr che scoprivano.

C'era silenzio all'esterno, a parte le grida cadenzate del sorvegliante notturno. All'improvviso Eragon si sentì formicolare la nuca. Cercò di continuare a lavorare, ma la strana sensazione permaneva. Irritato, alzò lo sguardo e trasalì quando vide un ragazzino appollaiato sul davanzale. Aveva gli occhi a mandorla e una ghirlanda di agrifoglio intrecciata nei capelli neri e ricciuti. Ti serve aiuto? disse una voce nella sua testa. Sgranò gli occhi per la sorpresa. Sembrava la voce di Solembum.

Sei tu? domandò incredulo.

Sono qualcun altro?

Eragon deglutì e si concentrò sulla pergamena. Se gli occhi non m'ingannano, sì.

Il ragazzo sorrise, rivelando denti aguzzi. Quello che sembro non cambia quello che sono. Non crederai che mi chiamino gatto mannaro per niente, no?

Che cosa ci fai qui? domandò Eragon.

Il gatto mannaro piegò la testa da un lato, come per decidere se la domanda meritava una risposta. Questo dipende da quello che ci fai tu, qui. Se stai leggendo questi registri tanto per divertirti, allora suppongo che la mia visita sia inutile. Ma se quello che stai facendo è illegale e non vuoi essere scoperto, allora potrei essere qui per avvertirti che la guardia che avete corrotto ha appena parlato di voi con il suo sostituto e che il secondo ufficiale dell'Impero ha mandato dei soldati a cercarvi.

Grazie di avermelo detto, disse Eragon.

Ti ho detto qualcosa? Immagino di sì, E ti suggerisco di farne buon uso.

Il ragazzo si alzò e si gettò indietro i capelli scarmigliati, Eragon gli domandò in fretta: Che cosa volevi dire l'ultima volta quando hai parlato dell'albero e della volta?

Precisamente quello che ho detto.

Eragon.cercò di chiedere altro, ma il gatto mannaro svanì oltre la finestra. A voce alta il ragazzo annunciò; «I soldati ci stanno cercando.»

«Come lo sai?» chiese Brom incuriosito.

«Ho sentito. Il sostituto della guardia ha appena mandato degli uomini a cercarci. Dobbiamo andarcene in fretta.

Probabilmente hanno già scoperto che l'ufficio di Jeod è vuoto.»

«Sei sicuro?» domandò Jeod.

«Sì!» esclamò Eragon impaziente. «Stanno arrivando.»

Brom sfilò un altro rotolo dallo scaffale. «Non importa. Dobbiamo finire adesso!» Lavorarono come forsennati per il minuto seguente, scorrendo i registri il più in fretta possibile. Quando ebbero finito con l'ultimo rotolo. Brom lo infilò al suo posto nello scaffale; Jeod ripose pergamena, inchiostro e penna nella bisaccia, ed Eragon prese la torcia.

Corsero fuori dalla sala e si chiusero la porta alle spalle. In quel momento udirono i passi pesanti dei soldati in fondo al corridoio. Stavano per andarsene quando Brom mormorò fra i denti: «Dannazione! Non ho chiuso a chiave.» Appoggiò la mano sulla porta; la serratura scattò nello stesso momento in cui tre soldati armati comparvero.

«Altolà! Allontanatevi da quella porta!» gridò uno di loro. Brom si fece da parte, assumendo un'espressione sorpresa. I tre soldati marciarono verso di loro. Il più alto chiese: «Perché volevate entrare nella sala dei registri?» Eragon strinse forte l'arco, pronto a scappare.

«Temo che ci siamo persi.» La tensione nella voce di Jeod era evidente. Una goccia di sudore gli colò dalla tempia.

Il soldato lo fissò sospettoso. «Controlla la sala» ordinò a uno degli altri.

Eragon trattenne il fiato mentre il soldato provava invano ad aprire la porta e la tempestava di pugni. «La porta è chiusa a chiave, signore.»

Il capo si grattò il mento. «D'accordo, allora. Non so che cosa avevate in mente di fare, ma dato che la porta è chiusa, immagino che siate liberi di andare. Seguiteci.» I soldati li circondarono e li scortarono nel maschio.

Non posso crederci, pensò Eragon. Ci stanno aiutando a uscire!

Davanti al cancello principale, il soldato indicò e disse: «Adesso uscite e andatevene. Vi osserveremo. Se dovete tornare indietro, fatelo domattina.»

«Ma certo» promise Jeod.

Eragon sentì gli occhi delle guardie incollati alle loro schiene mentre si affrettavano a lasciare il castello. Nel momento in cui i cancelli si chiusero dietro di loro, un ghigno di trionfo gli si stampò sul volto e fece un balzo di gioia. Brom gli scoccò un'occhiataccia di ammonimento. «Cammina come al solito. Avrai modo di festeggiare a casa.»

Mortificato, Eragon assunse un fare contegnoso, anche se dentro si sentiva fremere di energia. Una volta al sicuro nello studio della casa di Jeod, esclamò: «Ce l'abbiamo fatta!»

«Sì, ma adesso dobbiamo scoprire se il gioco è valso la candela» disse Brom, Jeod prese una mappa di Alagasëia e la dispiegò sulla scrivania.

Sulla sinistra della mappa l'oceano si estendeva verso l'ignoto occidente. Lungo la costa cresceva la Grande Dorsale, un'immensa catena di montagne. Il Deserto di Hadarac riempiva tutto lo spazio al centro, con la parte più a est vuota. In quel vuoto, da qualche parte, si nascondevano i Varden. A sud c'era il Surda, un piccolo paese che si era separato dall'Impero dopo la caduta dei Cavalieri. Eragon sapeva che il Surda appoggiava in segreto i Varden.

Oltre il confine orientale del Surda si ergeva una catena di monti chiamati Beor. Eragon li aveva sentiti nominare molto spesso nei racconti: si diceva che fossero alti dieci volte quelli della Grande Dorsale, ma in cuor suo era convinto che fosse un'esagerazione. A est dei Beor, la mappa era vuota. Al largo delle coste del Surda sorgevano cinque isole:

Nía. Parlim. Uden. Illium e Beirland. Nia era poco più grande di uno scoglio, ma su Beirland, la più estesa, sorgeva una piccola città. Risalendo verso Teirm, si incontrava un isolotto frastagliato chiamato Dente di Squalo. E ancora più a nord c'era un'isola enorme a forma di mano tozza. Eragon la riconobbe senza nemmeno leggerne il nome: Vroengard, l'antica dimora dei Cavalieri, un tempo luogo glorioso, ora soltanto un guscio vuoto e saccheggiato, abitato da strane creature. Al centro di Vroengard c'era la città abbandonata di Dora Areaba.

Carvahall era un puntino in cima alla Valle Palancar. Alla stessa altezza, ma dall'altra parte delle pianure, si estendeva la foresta Du Weldenvarden. Come nel caso dei Monti Beor, la sua estremità orientale non era mappata. Alcune zone del margine occidentale della Du Weldenvarden mostravano insediamenti, ma il suo cuore restava misterioso e inesplorato. La foresta era un luogo più ostile della Dorsale; i pochi che avevano osato sfidare i suoi recessi ne erano riemersi fuori di senno, oppure non erano tornati affatto.

Eragon rabbrividì quando vide Urú'baen al centro dell'Impero. Il re Galbatorix governava da lì con il suo drago nero, Shruikan, al fianco. Eragon posò un dito su Urû'baen. «I Ra'zac di sicuro hanno un nascondiglio qui.»

«Faresti meglio a sperare che non sia il loro solo rifugio» disse Brom in tono piatto. «Altrimenti non potrai mai avvicinarli.» Con la mano rugosa spianò meglio la mappa crepitante. Jeod estrasse dalla bisaccia la pergamena e disse: «Da quello che ho letto sui registri, ci sono state delle spedizioni di olio di Seithr verso ciascuna città importante dell'Impero negli ultimi cinque anni. Apparentemente potrebbero essere state tutte ordinazioni da parte di gioiellieri facoltosi. Temo che non potremo restringere la lista senza altre informazioni.»

Brom fece scorrere l'indice sulla mappa. «Credo che qualche città la possiamo eliminare. I Ra'zac devono viaggiare dove ordina il re, e sono sicuro che li tiene piuttosto impegnati. Perciò se devono essere pronti a partire in qualsiasi momento per una qualsiasi destinazione, l'unico luogo ragionevole dove stabilire la propria base dev'essere un crocevia da dove possano facilmente raggiungere ogni luogo del paese.» Eccitato, prese a misurare la stanza a grandi passi. «Inoltre deve essere un posto dove sono frequenti gli scambi commerciali, affinchè ogni richiesta insolita, cibo speciale per le loro cavalcature, per esempio, passi inosservata.»

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