Анелия Ибарбия - Итальянские сказки / Fiabe Italiane
3. La Mariettina, ormai al sicuro in casa sua, (sgusciare) fuori dalla zucca, (chiudere) la finestra, e dietro i vetri (fare) le corna al lupo.
4. Le altre due sorelle (andare) innanzi e (incontrare) un loro zio, falegname.
7. Ответьте на вопросы:
1. Che cosa si ruppe il lupo?
2. Perché il lupo non potette rompere la casa di Marietta?
3. Dove si nascose Marietta?
4. Come si chiama la sorella maggiore?
5. Raccontare il testo.
Ответы:1. Il lupo ha mangiato Caterina e Giulia.
2. La casa era di ferro.
3.
1. Allora il fabbro prese il martello e i chiodi e gli aggiustò la spalla.
2. Così la scaltra Marietta si liberò dal nemico e visse tranquilla per tutta la sua vita.
3. La Mariettina, ormai al sicuro in casa sua, sgusciò fuori dalla zucca, chiuse la finestra, e dietro i vetri fece le corna al lupo.
4. Perciò l’indomani si alzò prima che facesse giorno, andò al campo dei ceci e ne raccolse una grembiulata.
4. gettò
5.
1. Perciò l’indomani si alzò prima che facesse giorno, andò al campo dei ceci e ne raccolse una grembiulata.
2. Il lupo, a sentir questo, sbatteva la testa contro le pietre.
3. Al mattino, corse al campo delle zucche prima di giorno, ma questa volta il lupo non aspettò le nove; e corse anche lui al campo delle zucche per mangiarsi la Marietta in un boccone.
4. Sono un povero pulcino, tutto bagnato; aprimi per carità.
Il contadino astrologo
Un Re aveva perduto un anello prezioso. Cerca qua, cerca là, non si trova. Mise fuori un bando[80] che se un astrologo gli sa dire dov’è, lo fa ricco per tutta la vita. C’era un contadino senza un soldo, che non sapeva né leggere né scrivere, e si chiamava Gàmbara. “Sarà tanto difficile far l’astrologo? – si disse. – Mi ci voglio provare”. E andò dal Re. Il Re lo prese in parola[81], e lo chiuse a studiare in una stanza. Nella stanza c’era solo un letto e un tavolo con un gran libraccio d’astrologia, e penna, carta e calamaio. Gàmbara si sedette al tavolo e cominciò a scartabellare il libro senza capirci niente e a farci dei segni con la penna. Siccome non sapeva scrivere, venivano fuori dei segni ben strani[82], e i servi che entravano due volte al giorno a portargli da mangiare, si fecero l’idea che fosse un astrologo molto sapiente. Questi servi erano stati loro a rubare l’anello, e con la coscienza sporca che avevano, quelle occhiatacce che loro rivolgeva Gàmbara ogni volta che entravano, per darsi aria[83] d’uomo d’autorità, parevano loro occhiate di sospetto. Cominciarono ad aver paura d’essere scoperti, e non la finivano più con le riverenze, le attenzioni: “Sì signor astrologo! Comandi, signor astrologo!” Gàmbara, che astrologo non era, ma contadino, e perciò malizioso, subito aveva pensato che i servi dovessero saperne qualcosa dell’anello. E pensò di farli cascare in un inganno. Un giorno, all’ora in cui gli portavano il pranzo, si nascose sotto il letto. Entrò il primo dei servi e non vide nessuno. Di sotto il letto, Gàmbara disse forte: – E uno! – il servo lasciò il piatto e si ritirò spaventato. Entrò il secondo servo, e sentì quella voce che pareva venisse di sottoterra: – E due! – e scappò via anche lui. Entrò il terzo: – E tre! I servi si consultarono: – Ormai siamo scoperti, se l’astrologo ci accusa al Re, siamo spacciati. Così decisero d’andare dall’astrologo e confessargli il furto. Noi siamo povera gente, – gli fecero, – e se dite al Re quel che avete scoperto, siamo perduti. Eccovi questa borsa d’oro: vi preghiamo di non tradirci. Gàmbara prese la borsa e disse: – lo non vi tradirò, però voi fate quel che vi dico. Prendete l’anello e fatelo inghiottire a quel tacchino che c’è laggiù in cortile. Poi lasciate fare a me. Il giorno dopo Gàmbara si presentò al Re e gli disse che dopo lunghi studi era riuscito a sapere dov’era l’anello. – E dov’è? – L’ha inghiottito un tacchino. Fu sventrato il tacchino e si trovò l’anello. Il Re colmò di ricchezze l’astrologo e diede un pranzo in suo onore, con tutti i Conti, i Marchesi, i Baroni e i Grandi del Regno. Tra le tante pietanze fu portato in tavola un piatto di gamberi. Bisogna sapere che in quel paese non si conoscevano i gamberi, e quella era la prima volta che se ne vedevano, regalo d’un Re d’altro paese. – Tu che sei astrologo, – disse il Re al contadino, – dovresti sapermi dire come si chiamano questi che sono qui nel piatto. Il poveretto di bestie così non ne aveva mai viste né sentite nominare. E disse tra sé, a mezza voce: – Ah, Gàmbara, Gàmbara. Sei finito male. – Bravo! – disse il Re, che non sapeva il vero nome dei contadino. – Hai indovinato: quello è il nome: gamberi! Sei il più grande astrologo del mondo.
La madre schiava
C’era una volta un marito e una moglie, massari comodi, che tenevano masseria del primo signore della provincia, dalla parte d’Otranto. Avevano cinque figli, e la massara, dopo aver fatto tutti i servizi e messo la pignatta sul fuoco per gli uomini che rientravano dalla fatica, si sedeva ogni sera sulla soglia di casa e diceva il rosario[84]. Una sera, mentre stava per farsi il segno della croce, senti cantare la civetta, e la civetta diceva: – Massara, massara! Quando vuoi la ricchezza, in gioventù o in vecchiezza? – Gesù Maria! – disse la massara, facendosi in fretta il segno della croce. Era l’ora che gli uomini tornavano da fuori. Si sedettero a tavola e mangiarono in grazia di Dio. Quella povera cristiana era un po’ frastornata. – Che hai? – le chiesero il marito e i figli. Rispose che non si sentiva bene. La sera dopo, quando si rimise a dire il rosario, di nuovo sentì la civetta: – Quando vuoi la ricchezza, in gioventù o in vecchiezza? – Madonna santa! – disse la massara. – Questa non è cosa buona! – Pigliò e andò a dirlo al marito. – Moglie mia, – disse il massaro, – se ti succede un’altra volta, digli che è in vecchiezza che vuoi la ricchezza, perché la gioventù bene o male la si passa, ma è in vecchiezza che c’è bisogno di tanti agi. Difatti, quando la terza sera sentì la civetta, – Eh, – disse la massara, – sei ancora qui? In vecchiezza la voglio, hai capito? Passò del tempo. Una sera, il marito e i figli, stufi di mangiar legumi[85], dissero: – Mamma, domani, se Dio vuole, facci due foglie molli. Alla mattina, la massara prese cappuccio e coltello, e andò a cogliere foglie. La masseria era su una punta di mare, e più avanti lei andava, più belle foglie trovava. “Che bellezza! – diceva. – Che bellezza di fogli! Stasera i figli miei e l’umno mio hanno da scialare!” Cogli di qua, cogli di là, era arrivata proprio sulla spiaggia. E mentr’era chinata a cogliere, le arrivano dietro certi Turchi, l’ afferrano, la trascinano su una barca e via per il mare. Ebbe un bel gridare, un bel supplicare per pietà! per misericordia! che la lasciassero andare: fu inutile. Ma lasciamo lei che s’uccideva dai pianti, e prendiamo il povero marito e i figli, la sera quando si ritirarono. Invece della casa aperta, come sempre, con la cena pronta, trovarono la porta chiusa. Chiamarono, bussarono, finirono per sfondar la porta. Quando videro che in casa non c’era, si misero a domandare[86] tra i vicini, chi l’aveva vista. – Sì, – dissero i massari vicini, – l’abbiamo vista uscire col cappuccio, ma non l’abbiamo più vista tornare. Figuratevi la pena di quei cristiani! Veniva notte, e accesero le lucerne, e andarono in mezzo alla campagna aperta gridando: – Mamma! Mamma! – e a cercare nei pozzi. Ma quando persero la speranza di trovarla, tornarono a casa e si misero a piangere. Poi si vestirono di nero e ricevettero le visite per tre giorni. Ma siccome tutte le cose di questo mondo passano, incominciarono un’altra volta a mettersi alla fatica come prima. Passati due anni da quel fatto, capitò che avessero da arare una gran “chiusura” per seminarla a grano. I figli e il vecchio presero una coppia di buoi per uno e si misero ad arare. Arando, al vecchio gli s’incagliò la punta dell’aratro. Poiché a liberarlo da solo non ce la faceva, chiamò il figlio grande, e, tira tira, videro che s’era impigliato in un anello di ferro. Tirarono l’anello e si sollevò una gran pietra piatta. Sotto, c’era una stanza. – Uh, tato mio! – disse il figlio, – sapessi cosa vedo qua sotto… Ci scendo? – No, – disse il vecchio. – Lasciamo tutto come sta. Stanotte torniamo e vediamo di cosa si tratta. – E così si separarono. La sera, ritirandosi coi servi alla masseria, li ubriacarono per bene[87]. Quando videro i servi che ronfavano, il vecchio e i cinque figli andarono al luogo della pietra a urne di lucerna. La sollevarono, scesero, e trovarono sette vasi pieni di monete d’oro. Si guardarono in faccia uno con l’altro. Non sapevano né che dire né che fare. – Figli miei, – disse il vecchio, – non è tempo di stare qui come tanti babbei. Andate, mettete sotto una carretta e venite. I figli corsero a prendere la carretta, si caricarono tutto il tesoro e lo nascosero. Il giorno dopo – erano giusto due anni e un mese dalla scomparsa della povera massara – andarono dal padrone e gli dissero che non volevano più stare alla masseria, che di restare lì non avevano più cuore. Fecero le consegne, offrirono una gran mangiata ai servi di masseria, si misero in cammino e andarono a Napoli. Là si tolsero i loro panni da contadini e si vestirono pulito; comprarono un palazzo; chiamarono maestri di scuola, maestri di lingue, che gli insegnassero da signori; e poi teatri, e così via. Il vecchio si fece il codino, come si usava allora; presero a parlare[88] alla napoletana: isci ccà, isci là; anche i nomi si cambiarono: non più Renzo, Cola, ma don Pietrino, don Saveruccio, ogni bel nome che sentivano, se l’appiccicavano. A vederli, non li avrebbe riconosciuti più nessuno. Un giorno, si trovarono tutti e cinque i fratelli insieme, in piazza dell’Immaccolatella; c’era mercato di schiave, more e bianche, e tra le bianche ce n’erano una bellezza. Appena furono a casa: – Papà, papà! – dissero (ormai non lo chiamavano più tato). – Che c’è, figli miei? – Abbiamo visto tante belle schiave. Ce ne compriamo una? – Eh, – disse il padre, – volete portarmi una sgualdrinella per casa! No, no! Se ce n’è una vecchia, pigliamo quella. Andò lui in piazza, guardò le schiave, e ne vide una vecchia, anzi, pareva invecchiata innanzi tempo, dalle fatiche e dalle busse, povera cristiana. – Quanto ne volete? – domandò a quello che le portava. – Cento ducati. Pagò, e la portarono in casa. Questa cristiana, poverina, andava tutta lacera che faceva pena vederla; allora le comprarono vesti nuove e la fecero maestra di casa. Alla sera, di solito, i figli se ne andavano a teatro. Il vecchio invece non usciva mai. Quella cristiana, quando vedeva uscire i cinque fratelli, cominciava a sospirare e a piangere. Una sera, dopo aver fatto luce ai signorini per le scale, si ritirava piangendo, e il signore vecchio chiuse il libro che stava leggendo e la chiamò. – Perché sospiri e piangi quando vedi i miei figli? – Signore mio, – disse la schiava, – se sapesse quel che tengo in cuore, non me lo chiederebbe! E il vecchio. – Prendi una sedia, e racconta, – disse. – Allora sappia che non sono mai stata schiava, ma ero massara, avevo marito e cinque figli come quelli di vossignoria, – e cominciò a raccontare la sua storia. Quando arrivo alla sera in cui doveva andare a cogliere le foglie molli, ed erano scesi i Turchi e l’avevano rapita, il vecchio s’alza, l’abbraccia e la copre di baci. – Moglie mia, moglie mia, sono io il massaro e quelli sono i cinque figli tuoi, che dopo anni di triboli credendoti morta, un giorno arando abbiamo trovato un tesoro. Ed ecco avverato quel che ti diceva la civetta. Figuratevi la consolazione della cristiana di ritrovare per miracolo il marito e i figli dopo diciassett’anni di schiavitù. Mentre lei raccontava i suoi patimenti, e lui il dolore di crederla morta, e si tenevano stretti, tornarono i figli dal teatro. Vedendo i due vecchi che si facevano tante carezze, dissero: – E non voleva che ci comprassimo una giovane! – No, figli miei, – disse il padre, – questa è la madre vostra, che abbiamo pianta per morta per tanti anni. Figuratevi i figli! Ad abbracciarla, a baciarla, a dirle: – Mamma mia, basta con quel che hai faticato e patito. D’ora in poi[89] comanderai e ti godrai ogni ricchezza. Vennero cameriere e serve e la vestirono da quella signorona che era, col manicotto e lo scaldino d’inverno, e l’estate col ventaglio. Così stettero felici e contenti, e la vecchiezza passarono in ricchezza.
Упражнения1. Выберите правильный вариант:
1. La donna era in schiavitù per dieci anni.
2. La donna era in schiavitù per tre anni.
3. La donna era in schiavitù per dicassette anni.
4. La donna era in schiavitù per cinque anni.
2. Подберите синонимы:
fattore – pietà —
servitù – tristezza —
miseria – successo —
bacucco – ricchezza —
3. Вставьте пропущенные слова:
1. Una sera, mentre stava per farsi _________ della croce, senti cantare la civetta.
2. Quando videro i servi che ronfavano, il vecchio e i cinque figli andarono al _________ della pietra a urne di lucerna.
3. Ma siccome tutte le cose di questo mondo passano, incominciarono un’altra volta a mettersi alla _________ come prima.
4. Ma lasciamo lei che s’uccideva dai ________, e prendiamo il povero marito e i figli, la sera quando si ritirarono.
4. Выберите нужный глагол:
Quella cristiana, quando vedeva uscire i cinque fratelli, ___________ a sospirare e a piangere.
1. finiva
2. cominciava
3. smetteva
4. taceva
5. Выберите нужный предлог:
a – di – su – per
1. ____ mattina, la massara prese cappuccio e coltello, e andò _____ cogliere foglie.
2. ____ sera, _____ solito, i figli se ne andavano _____ teatro.
3. E mentr’era chinata ___ cogliere, le arrivano dietro certi Turchi, l’ afferrano, la trascinano ____ una barca e via ____ il mare.
4. Figuratevi la consolazione ______ cristiana _____ ritrovare ____ miracolo il marito e i figli dopo diciassett’anni di schiavitù.
6. Поставьте глаголы в нужную форму:
1. Là (togliersi) i loro panni da contadini e (vestirsi) pulito; (comprare) un palazzo; (chiamare) maestri di scuola, maestri di lingue, che gli (insegnare) da signori.