Франческо Доменико Гверрацци - Итальянский с любовью. Осада Флоренции / Lassedio di Firenze
Giocavano: e quivi, come nei tempi andati e successivi, avresti potuto contemplare il riso ostentato di chi perdeva la sua ultima moneta, – riso che muove a compassione e spavento; la tristezza finta di chi vince, tristezza ch’eccita rabbia; poi le mani trepidanti di tutti; del perditore per passione di sapersi spogliato, del vincitore per cupidigia di rapire l’ultimo soldo; e gli occhi riarsi di cupa fiamma nel disperato, scintillanti di vivido splendore nel favorito dalla fortuna, e gli ammicchi, e le parole brevi susurrate dentro gli orecchi, e il furtivo stringersi delle mani.
“Io non ricusai i vostri conforti, ora abbiatevi i miei, e sappiate, principe, che io conosco una via per la quale non solo non perderete, ma accrescerete la reputazione da voi acquistata meritamente e mantenuta fin qui”.
“Davvero, Bandino? Oh! io ti saluterò angelo mio custode, – non tanto per me, vedi, quanto per la nobile madre mia; ella morirebbe di dolore, se sospettasse un simile fatto…, ella scenderebbe nel sepolcro contristata. Copritemi il volto del lenzuolo funerario, ond’io non veda il disdoro della mia famiglia, ella direbbe. Or dunque parla, Bandino, ridammi la vita e più che la vita…”
“Bisogna dar l’assalto a Firenze”.
“E quando?”
“Tra due ore”.
“Tra due ore, Bandino?”
“Nulla manca. I Sanesi provvidero quattrocento scale per salire, i ferri e gli uomini per trucidarsi sono pronti”.
“E a che mena l’assalto?”
“O voi espugnate la città, e allora avrete danaro più che non basta a soddisfare le paghe…”
“E se, come temo, non l’occupo?”
“Vi moriranno tutti o parte i creditori; e in ogni caso saranno tanto importuni di meno”.
“Giovanni Bandino, voi mi oltraggiate”.
“Dio me ne guardi! – le azioni meglio magnifiche che il mondo ammira trassero spesso principio da più ignobili cause: ormai ho passato il mezzo della vita, né già mi sono giocato gli anni, come voi i fiorini di papa Clemente; conobbi i grandi dell’età nostra; piuttosto che eroi davvero, mi parvero giocolieri di fama – e così penso che fosse la maggior parte degli antichi…”
“Ma la notte è troppo scura, e Dio manda giù acqua a bigonce… in qual modo si distingueranno le insegne? Come si ripareranno dal fango? I capitani biasimeranno questo mio ordine come pessimo accorgimento di guerra…”
“I capitani prima di tutto obbediranno, – e qui sta il meglio; – poi risponderemo loro essere capitani di vecchio stile: quanto più disagiato il tempo, tanto più verosimile si trovi sprovveduto il nemico; il certame a luogo e a giorno fissi occorrere nella tavola rotonda soltanto, e dal re Arturo in poi aver progredito l’arte militare: ancora, se, giusta il costume di Firenze, hanno le milizie nemiche festeggiato il presente giorno, come vigilia di San Martino, a quest’ora dormono sepolti nel vino: la pioggia stessa e la oscurità vi danno favore; a cagione della prima, la polvere bagnata non concederà si sparino le artiglierie; a cagione di questa, quando pure le potessero sparare, non saprebbero in che punto colpire… Sapienza militare; accorgimento astuto, amore di gloria – e sopratutto necessità di rifare i denari consigliano ad assalire Firenze tra due ore.
“Siete pure i cervelli sottili voi altri Fiorentini! Fra due ore l’assalto: è detto!”
…All’improvviso rimbomba un colpo d’artiglieria. Il cittadino di Firenze balza a sedere sul letto e tende l’orecchio, timoroso di non essersi ingannato. Un altro colpo, – Ch’ì questo? Qual nuovo caso ci minaccia adesso? Comincia la campana dei Signori, rispondono le campane di santa Reparata, tutti i campanili della città suonano a stormo; le artiglierie spesseggiano i tiri.
– Misericordia! questa è l’ultima notte della mia vita! E il cittadino poc’anzi lieto delle tepide piume si gitta giù scalzo sul pavimento, apre le imposte e nudo si espone al gelato mordere dell’aria; ode un frastuono confuso di gente che corre e che grida, ma non gli riesce distinguere cosa che valga a toglierlo dall’ansietà. Si veste in fretta, cinge la spada e, nulla badando alla pioggia, al freddo, ai pericoli, precipita sulla pubblica via. Vi furono padri di famiglia i quali, inteso il primo colpo di artiglieria, si tolsero pianamente dal lato alla moglie, sperando e pregando ch’ella pure dormisse; ma la consorte si sveglia e desta i figli, e con essi loro si pone traverso la porta, contendendo al marito l’uscita; i figli gli stringono le ginocchia, la moglie lo abbraccia su i fianchi; pianti e singulti che spezzano il cuore: “Oh! non uscire, perderai la vita.” “Figliuoli miei” – parla blando il buon cittadino, – “mia dolce consorte, s’io pur rimango, il nemico espugnerà la terra, e me ucciderà con voi, meritamente, invendicato, Perché mancai alla patria: se mi lasciate correre alle difese, ributteremo i barbari… o in ogni caso non morirò senza vendetta… nì i vostri occhi saranno funestati dalla mia strage… Sgombratemi il passo, tacete – e datemi l’arme”, – tacquero. Lo armarono, e quando fu partito ripresero il pianto con l’impeto del fiume che rotto l’argine straripa. Altrove la madre destò il figlio e lo spinse fuori delle domestiche mura: non mancarono donne le quali, mentite o non mentite le vesti, vollero a ogni costo uscire a combattere con gli amanti o mariti loro.
“All’arme! all’arme! – il nemico appoggia le scale alle mura… Pieruccio le ha salite per darvene l’avviso”.
Un orlo di fuoco manifestò il contorno delle bastite di Firenze, le palle degli archibusi fioccarono spesse quanto la pioggia; gl’imperiali, disperati potersi più oltre nascondere, fatto buon viso alla fortuna, continuarono a salire, animosamente gridando: Sacco! palle! città presa!”
“Eretici senza fede! muggiva Lupo, udendo quel grido di sopra al suo campanile, città presa! Almeno aspettate a dirlo quando porrete il piede su la piazza dei Signori; mentre si allestisce la festa, io vi mando la treggea”. E qui, toccati i sagri con la corda accesa, lanciarono un nuvolo di schegge mortalissime contro il fianco degli assalitori.
Filiberto, sconfortato da tante morti ordinò si ritirassero le schiere, guardando prima di portar seco i cadaveri dei compagni, affinché i nemici, contemplata la mattina la strage, non avessero motivo di andare baldanzosi; e così, come ordinava fu fatto, tornandosi tristi là donde poc’anzi con tanta audacia d’orgoglio si erano dipartiti e maledicendo di cuor loro il misterioso signore, il quale, pochi anni avanti, gli aveva spinti ad incontrare morti e ferite contro un papa, a favore di cui mandavali adesso ad esporre la vita. Grange, camminando verso la tenda, si volse dintorno a sì, e scorgendosi prossimo il Bandino, gli disse in suono turbato:
“Or che cosa abbiamo guadagnato noi dal vostro consiglio, messer Bandino?”
“Parmi moltissimo”.
“E come?”
“Prima di tutto ci ha guadagnato il paradiso (ma questo, credo, meno di ogni altro), Perché se alcuna anima buona viveva tra noi, sciolta stanotte dai legami terreni, se ne andò diritta diritta alle dimore celesti”.
“Tregua ai motteggi… noi camminiamo sul sangue”.
“Con buona licenza vostra, messere lo principe, lasciatemi proseguire; in secondo luogo, più del paradiso per le allegate cagioni guadagnava l’inferno; – sopra tutti avete guadagnato voi, principe”.
“Io? tu mi deridi?”
“Dico da senno io; non sapete voi che il capitano Corrado Essio, venuto a morte, vi ha istituito erede d’ogni sua facoltà?”
“Corrado è morto? Ahi! mio buono, mio leale amico, io ne terrò il cuore afflitto fino…”
“A domani”.
Il Bandino, rimasto solo, stese la mano in atto di minaccia dalla parte ove giace Firenze ed esclamò:
“Quanto mi tarda la vendetta! Pur quando dovessi rimanermi solo ad oste contro di te, Firenze, o per forza o per tradimento vedrai il tuo giorno finale”.
Capitolo Decimoquarto
Il Morticino degli Antinori
Spunta il giorno: ma quantunque fosco, concede agli Orangiani la vista della bandiera imperiale inalberata su l’asta sotto la bandiera del comune di Firenze, e ciò li concita a rabbiosissimo sdegno; la luce ancora manifesta al nemico il piccolo numero dei nostri, e ciò gli partecipa ardimento. Filiberto spedisce ai colonnelli lontani messaggi con gli ordini accomodati alla occorenza; crollansi le compagnie e cambiano forma: era adesso suo disegno indirizzare alle punte estreme dell’ale della nostra milizia una mano di cavalleggeri e di fanti meglio spediti per circuirla, e così divisa dalle mura tagliarle la ritirata e poi a bell’agio piombar addosso col grosso dell’esercito e sterminarla senza rimessione; se gli veniva fatto di superare l’ale, non uno dei giovani fiorentini sarebbe tornato a Firenze. Il signore Stefano, se avesse condotto numero pari di gente, o lo avesse avuto di poco inferiore, certamente avrebbe disteso le file all’avvenante che le allargava il nemico, dopo attelati gli eserciti, non si sarebbe rimasto dallo ingaggiare battaglia sopra tutta la fronte; ma essendo pochi, conobbe non avanzargli a perdere più tempo e dover mettere ogni studio a ritirarsi; attese pertanto a rendere vano lo sforzo del nemico, prevenendo il suo moto; ordina ai capitani delle due punte girino velocissimi sul fianco destro i soldati che a lui posto nel centro stavano a mano sinistra, sul manco, quelli che gli stavano a destra; e descritta sul terreno una linea sferica, si uniscano in colonna ritirandosi per alla Porta di San Piero Gattolino; lui aveva molto bene considerato come così procedendo i cavalli nemici potevano cogliere di fianco la colonna, romperla quasi serpe sul dorso e impedirle ogni via di salute; e a questo sperò provvedere con la celerità dei passi, per cui, lasciato aperto certo spazio di terreno davanti i nostri, le artiglierie delle mura senza timore di offenderli potessero fulminare gl’imperiali e trattenerli da molestare la ritirata. Io non so quello sieno per dire i presenti uomini di guerra sopra tali ordinamenti di milizia; quello che so troppo bene si è che anche con quei modi la umanità si lacerava e faceva delle sue osse biancheggiare la campagna; miserabile nostro destino, di cui non ispero, almeno per qualche migliaio di secoli, la fine.
Non andarono falliti i concetti del Colonna: le artiglierie fecero buonissima prova; gli Orangiani, essendo stati alquanto sospesi, perderono il destro a inseguirli; posto uno spazio tra loro e i nostri, costoro diventarono segno della tempesta di fuoco e di ferro che prorompeva fuori delle mura; quasi a morte certa correva chiunque si fosse avventurato su quel terreno. O per prudenza del capitano, o per beneficio della fortuna, vedevano gli Orangiani sfuggirsi di mano una preda ormai tenuta sicura. Ora avvenne come tra i primi cavalleggeri spediti dal principe a circuire l’ala sinistra del nemico si trovasse Giovanni da Sassatello, soldato italiano quanto valoroso in arme, altrettanto perduto di fama. Lionardo Frescobaldi, giovane d’inestimabile bellezza di corpo e di animo ferocissimo, caro sopra modo al Morticino degli Antinori più per questa seconda che per la prima qualità, veduto per caso il Sassatello, lo chiamò con gran voce:
“O ladro, fàtti oltre! – O ladro, non hai le gambe, come le mani pronte? Fàtti oltre! Le palle di Firenze ti talentano meno dei suoi fiorini!”
Una palla vola tra la testa del cavallo e il capo del Sassatello, un’altra gli porta via il cimiero, un’altra interrandosi presso a lui lo cuopre di fango: ma i suoi giorni sono contati; lui procede sicuro come sotto le volte di Santa Maria del Fiore.
Lionardo afferra con ambe le mani la picca, che in quei tempi le fanterie usavano lunghissima, ed aspetta a piì fermo il momento di spingerla nel collo del cavallo; dove ciò gli venga fatto, il destriere stramazzerà in un viluppo col suo signore, e mentre questi grave di armatura tenterà sollevarsi, lui, stretta la spada, lo spaccerà da questo mondo. E se il destriero non era più sagace del suo signore, senza fallo gli riusciva; ma l’animale saltando destramente da parte, schiva la punta la quale sfiorò in passando la gamba al Sassatello. Lionardo subito si volge impetuoso per timore di essere preso alle spalle; la troppa previdenza e la troppa prestezza gli nocquero; forte tenendo pur sempre nelle mani la lunga picca, imbatte nelle groppe del cavallo, che un’altra volta girandosi offerisce campo al Sassatello di ghermire il suo nemico pel collo, e così fece, e trattolo a sì, lo levò da terra. Lionardo si sentiva strangolare; tentò rompersi il collarino e non potè aiutarsi; allora si risovvenne avere la daga, la trasse fuori, e sollevato il braccio incise profondamente il cavallo nella spalla; inferocito l’animale dallo spasimo, imperversa per la campagna traendo in sua balìa cotesti due inferociti. Lionardo agita le gambe per l’aria e stretto alla gola non profferisce parola alcuna di resa; al Sassatello sbattuto dalla corsa non é concesso assestare un colpo; fuga d’inferno era quella.
Né però alcuno si moveva di schiera; solo il Morticino degli Antinori, per ordinario pallido, adesso poi cosperso di più spaventevole pallore, accorre come forsennato, e giungendo le mani gridava da lontano:
“Capitano Giovanni, deh! per Dio, lasciatelo, lui ì un fanciullo: non gli far male, in nome del tuo Cristo; bada.... rammentati che tu pure hai un figlio di età uguale alla sua… Lasciatelo, Giovanni, io vi verrò prigione invece di lui…”
“Vedi il gagliardo! io lo tengo come un’oca… Forse dalle oche imparò a gridare; da cui il combattere? Per avventura, Antinori, da te?”
“Sì, via, ma rendilo.”
“Io non lo tengo, per soldato, e ne voglio per riscatto mille fiorini d’oro”.
E disparve galoppando. L’Antinori cammina a capo basso e non profferisce parola.
Tornato a casa, chiese bruscamente alla serva: “Dov’è mia madre?”
“Badate, Giovanfrancesco, – pensate ai comandamenti della legge di Dio; io vi sono madre di latte… ma madonna v’è di sangue, non le mancate di rispetto…”
Il Morticino non l’ascoltava e prorompendo nella stanza della madre trovò seduta sopra un seggiolone la vecchia madonna assopita di un sonno leggiero. La vecchia donna, altera del nobil sangue che le scorreva nelle vene, piena della reverenza dovuta alla materna autorità, si levò subito con tale una forza di cui si sarebbe riputata incapace, allontanò da sé la sedia, mosse un passo in avanti e sollevò il braccio destro in sembianza d’imprecare; una striscia di fuoco le attraversò le guancie; gli occhi le si dilatarono minacciosi e terribili: era una figura da Michelangelo.
“Tu tronchi la mia agonia, non la mia vita; per pochi momenti vuoi tu renderti parricida? Va… io…”
“Per Dio, arrestatevi, madre… Io! Qual demonio vi caccia questo pensiero nella mente? Conoscete voi Lionardo Frescobaldi… quel nobile giovanotto che sovente usa qui in casa? Sì, voi lo conoscete… or lui cadde testè prigioniero, e gli hanno posto il riscatto addosso di mille fiorini d’oro: ora nel pensiero di torli in prestanza da altri la mia anima geme per immensa amarezza. Oh! casa Antinora decaduta, quanto t’era lieve un giorno trovare nei tuoi forzieri mille fiorini d’oro!… ”
La vecchia madonna declinò il braccio e sciolse un sospiro; poi strinse in amplesso amorosissimo il Morticino esclamando:
“Sangue superbo – e figliuol mio! tu sei la mia consolazione… Aspetta… Prendi questo scrignetto, Giovanfrancesco; io gli aveva serbati per qualche estremo bisogno della vita… spero che basteranno; or volgono forse cinquanta anni che non gli ho annoverati, quanti essi sieno ignoro… ma spero che basteranno. Va… lasciami in pace… e non farmi più così paurosamente aprire le palpebre… le tengo chiuse per insegnare loro a morire”.